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Duchamp e Leonardo da Vinci – due primi gemelli
(Ipotesi novella, anche…)

di Giovanni Nuti

in Rubrica di ZEST  Sezione Aurea
(il punto di contatto tra estetica e matematica)


So che non mi crederai. Soprattutto non crederai che ci siano due forme dello stesso uomo. Prima e seconda forma divise da una scala.
Del resto è destino di tutti i visionari e degli ingenui sfidare i buoni consigli e avventurarsi nelle ipotesi più selvagge, anche se, per la precisione, qui non si tratterebbe di un’ipotesi, piuttosto di un presentimento che può rarissimamente – come in questo caso – mutarsi in visione certa. È la visione che trova i fatti, gli indizi, li vede e li organizza.
Ma stiamo appunto ai fatti. Il più sconcertante è quel suo appunto vergato in un angolo di pagina dedicata alla quadratura del cerchio, sàtura di strutture geometriche che paiono tutte uguali, ma sono ognuna diversa per dettagli minuti, che sfuggono all’abitudine dello sguardo. Qui ho imparato che scoprire è appunto sconfiggere l’abitudine nello sguardo.

In quell’angolo del foglio, inaspettato per noi e forse anche per lui, si legge:
Sarò là dove non mi conosceranno, in la stagione nova che mi diranno inimico di me, in forme e nome. Eppur farò delle mie macchine di tanta eccellenza che fia manifesta segreta armonia, qual fanno le cose tutte, miserrime e nobili, de lo monno intiero.”

Tutti gli studiosi hanno interpretato questo brano come un indovinello, addirittura una scaramanzia o una previsione di gloria in un viaggio verso terre straniere, dove il nostro genio vagheggia di costruire macchine meravigliose, come promise nella famosa lettera di presentazione al Duca di Milano.
Anch’io penso si tratti di un viaggio, ma non in terre remote geograficamente, piuttosto in terre lontane nel tempo.
Sì, son certo che qui si profetizzi un viaggio nel tempo. “Sarò là dove non mi conosceranno…”, potremmo leggere: “non mi riconosceranno”.
Lui – che viveva tra nobili, papi e re, che si aggirava nel mondo vestito e riverito come un principe, la cui fama precedeva la sua opera – solo in un’altra epoca, “in la stagione nova”, lui non sarebbe stato riconosciuto davvero.

Tu mi chiederai, ma in quale epoca? Nel tempo “che mi diranno inimico di me, in forma e nome”. Quindi nel tempo in cui l’arte fu nemica dell’arte.
Il Novecento, mio caro lettore, che – citando Tabucchi – ha cantato la macchina e che fu contemporaneamente decadente, futurista e dadaista.
Dada! Ecco che ci appare già accennato il mistero incompreso, alluso da una scala.
Però andiamo per ordine, ché vorrei condurti per mano, lentamente, nell’ordine di questa lucida follia.
Ho dichiarato che l’arte del Novecento fu nemica dell’arte: almeno in parte fu così: mi pare di sentire le urla dei futuristi che accusano musei e accademie di “passatismo” e non furono da meno i cubisti, i dadaisti, i surrealisti: fu arte contro.
Ma nella profezia si afferma che “non mi riconosceranno e mi diranno inimico di me, in forme e nome”: qui l’arte contro è ad personam. E chi nel Novecento, “in forme”, fu inimico dell’arte di Leonardo? Chi prese di mira l’immagine emblematica della sua Monna Lisa del Giocondo?
Quel tale fu Marcel Duchamp.
La “sua” Gioconda, L. H. O. O. Q., viene comunemente ricordata come il manifesto Dada. L’emblema dell’ironia annichilente dell’arte moderna e ancora di molta arte contemporanea.

Adesso, finalmente, i due nomi sono detti e congiunti. Tu non immagini quanto per me siano congiunti.

Certamente avrai già notato l’incompletezza della mia argomentazione. So che non mi crederai, ma so pure che non ti sfugge mai qualcosa delle questioni filosofiche e letterarie. Infatti, tu mi diresti: “Leonardo scrive che non lo riconosceranno e che, per la forma della sua arte e per il suo nuovo nome, lo considereranno nemico di sé stesso. Cioè, Leonardo contro Leonardo”.

Esatto, mia mente diletta!

È qui che ti volevo portare: Leonardo contro Leonardo, cioè Duchamp contro Leonardo, che è la stessa cosa. Infatti qual è il suo nuovo nome se non Marchel Duchamp? Ti immagino seduto, posare le mie carte sulle ginocchia – magari potessero caderti di mano, per sempre! -, guardare oltre la finestra, con quell’espressione sconsolata e smarrita di chi non può credere che un amico stimato sia precipitato in una trappola così evidente e smisurata.
Forse la commiserazione, se continuerai a leggere, si muterà in rabbia e strapperai, come una liberazione, la mia lettera in brani minuti. Ma le novelle sono giochi duri a morire, come quella di Pollicino che seminò i sassolini per ritrovare la strada di casa.
A proposito di tracce, se la glossa profetica di Leonardo è un fatto, ho trovato qualche indizio per tenere in vita la storia.

Primo indizio: i padri di Leonardo e di Duchamp furono entrambi notai, ser Piero di Antonio da Vinci, monsieur Eugène Duchamp. Non solo. Riconobbero e incoraggiarono il talento dei figli. Ser Piero introdusse Leonardo nella bottega del Verrocchio; Eugène sostenne Marcel, appena diciassettenne, nelle sue prime esperienze artistiche parigine.
Lo so. La vita è piena di coincidenze. Tuttavia la teoria della coincidenza potrebbe essere solo un modo sbrigativo per non vedere un disegno più sottile nella trama del destino. In questo caso, due vite lontane nel tempo avrebbero simmetrie che le renderebbero vicine: l’una il completamento dell’altra?

Secondo indizio: le date di nascita. 15 Aprile 1452, 28 Luglio 1887. Sommiamo i singoli numeri e riduciamo ad una sola cifra.

15/4/1452: 1 + 5 + 4 + 1+ 4 + 5 + 2 = 22: 2 + 2 = 4.
28/7/1887: 2 + 8 + 7 + 1 + 8 + 8 + 7 = 41: 4 + 1 = 5.

Si tratta, ovviamente, di un’applicazione ‘esoterica’ della computazione a modulo 9, perché sommiamo unità non omogenee (giorno, mese, anno), ma il risultato di queste ‘somme magiche’ è suggestivo: le due date, ridotte ad una cifra, presentano la sequenza di due numeri in progressione: 4 e 5.
Sembrano considerazioni di un’ovvietà disarmante, ma in termini pitagorici nel 5 si compie ciò che nel 4 è posto come seme, similmente al pentagono che è un’apertura del quadrato verso la perfezione del cerchio.

Il 5 di Duchamp segue e svolge il 4 di Leonardo.

Il metodo è esoterico non solo per l’applicazione incongruente della matematica, ma soprattutto perché crea un ponte simbolico tra soggetti eterogenei. Eterogenei?

C’è di più. Applichiamo la somma a modulo 9 ai due anni di nascita.

1452: 1 + 4 + 5 + 2 = 12: 1 + 2 = 3
1887: 1 + 8 + 8 + 7 = 24: 2 + 4 = 6

Sei è due volte tre. Lapalissiano, diresti anche qui, a meno che non si rifletta bene su quel “due volte”.
Nelle date di nascita si nasconderebbero simbolismi numerici che collegano sincronicamente “progressione”, 4 versus 5, e “ripetizione”, 6 = 3 x 2.

Terzo indizio. Nel 1905 Marcel, all’età di 18 anni, torna da Parigi a Rouen e si iscrive ad un corso per diploma di stampatore. È un diploma molto importante, perché è la prima certificazione che attesti l’appartenenza di Duchamp al settore dell’arte. All’esame finale viene interrogato su… Leonardo da Vinci.

Quarto indizio. 1452, 1952. Dopo cinquecento anni, appunto nel 1952, la rivista Life uscirà con una cronofotografia di Duchamp, ritratto mentre scende le scale. Sono le scale del suo famoso dipinto Nudo che scende le scale, n° 2.
Si tratta di una scala temporale?

Quinto indizio. Alcune opere. 1912, Vierge, n. 1. “Il disegno rivela la volontà di creare qualcosa di nuovo, una forma che ha in sé componenti umane e meccaniche […]. Il tema si avvicina alle dissezioni anatomiche di Leonardo da Vinci, che Duchamp può certo aver conosciuto attraverso riproduzioni”. Attraverso riproduzioni? Certo, sarebbe assurdo che una studiosa di storia dell’arte come Roberta D’Adda, voglia immaginare un’altra spiegazione per questa sintonia Leonardo-Duchamp. Noi potremmo ammettere una reminiscenza? Memoria di un’estetica dove si confondono arte e scienza e il corpo si fa macchina meravigliosa e la macchina corpo meraviglioso.

Ancora. Sempre 1912, Mariée, olio su tela. Per ottenere le superfici levigate e brillanti della Sposa Duchamp abbandona a tratti il pennello e utilizza le dita: fu Leonardo a portare ad esiti altissimi questa tecnica. In opere come Ginevra de’ Benci si ritrovano le sue impronte digitali, negli incarnati, nei sottili passaggi tonali.
1919. L. H. O. O. Q. “Realizzando la propria gioconda – scrive ancora Roberta D’Adda – Duchamp si assimila a Leonardo, un artista che come lui era anche e soprattutto un intellettuale”.

Come lui”?
Se ancora stai leggendo queste pagine, forse vorresti che scrivessi, finalmente, a chiare lettere – senza ammiccamenti, senza le classiche allusioni dei romanzieri – il senso del mio affannarmi intorno a indizi che temo non convinceranno nessuno e confessassi l’ipotesi tormentata da tutte queste parole.
Forse vorresti sapere anche se l’ipotesi contiene uno sviluppo narrativo inatteso.
Già, perché ho iniziato la novella sostenendo, alla base di tutto, un presentimento, e un presentimento si giustifica da sé, va pronunciato senza vergogna, foss’anche un miserabile sogno, nonostante l’anacronismo, la sproporzione e l’imprevedibilità del suo sguardo irrazionale.

Dunque, eccoci al dunque.
Pessoa direbbe che Duchamp fu eteronimo di Leonardo e questi ortonimo dell’altro. Io ti dico, più poveramente, che i due sono uno.
Nell’agorà dei benpensanti udirei lo schiamazzo delle risate e il veleno dei sorrisi a labbra strette, ma in segreto confido nella tua spregiudicatezza.
Leonardo scrisse in quella profezia che sarebbe stato altro da sé e quest’altro fu Marcel Duchamp. Lo spirito di Leonardo ci visitò due volte, si nascose agli occhi dei moderni e li blandì con l’ironia.
Nonostante qualità, composizione, bellezza della materia fossero per Duchamp tutte nozioni da rimproverare ad un’arte attuale, Leonardo (in Duchamp) occultamente attuò nel ‘900 il suo colpo di scena. Costrui macchine inutili e bellissime, rese “nobili” cose “miserrime” come un urinatoio, portò a compimento l’alchimia.

Quando morì, per la seconda volta, mostrò postuma “Dati: 1° la cascata 2° il gas d’illuminazione”: la terza e definitiva versione de La Vergine delle rocce.

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Duchamp e Leonardo da Vinci – due primi gemelli

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