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LA FRETTA
Racconto di Alessandra Nenna


Anche questa mattina apro gli occhi prima che la sveglia suoni. L’inquietudine ha il sonno leggero.
Guardo verso la finestra e nel tono di blu che occupa lo spazio vuoto (non srotolo la tapparella completamente dalla fine di marzo alla fine di ottobre) provo a indovinare l’ora, forse le 04.46. Mi volto verso l’orologio satellitare sul comodino: 04.44.
Le lenzuola fanno attrito con il pigiama e il cotone grezzo sulla pelle pizzica, ma oggi è lieve; certe mattine come questa le gambe sono due pezzi di legno: anestetizzati, estranei al resto del corpo o chissà, finalmente arresi all’incapacità di sostenerne il peso. Mi volto sul fianco e facendo leva con le braccia provo a sollevarmi, poi, lascio scivolare le gambe penzoloni oltre il bordo.
Uno, due, tre… dieci, dodici, lentamente… venti, ventuno, nulla, venticinque, trenta: una lieve scarica, il sangue che casca giù nelle mie gambe e mi dà un brivido. Trentuno, trentadue, ancora lentamente… quarantuno e una fitta, puntuale nel polpaccio destro. Tra dieci sarà nel tibiale anteriore e poi come se risalisse dal peroneo sinistro all’adduttore, fino a contare settanta. Il dolore oggi arriva prima sotto la pianta del piede, a settantasei, è il segno che dopo altri dieci potrò sollevarmi senza cadere. Una volta la conta e il mio corpo si sono fatti beffe di me o sono stato semplicemente più veloce e sono caduto. Tre punti di sutura sul sopracciglio destro. Era il 4 novembre del 2008.

Nel varcare la soglia della stanza tendo l’orecchio. Non avverto il ronzìo dei computer nello studio e il respiro affannato di Luigi prende il sopravvento. I miei tentativi di accelerare trovano i miei arti semirigidi, quasi conficcati nel pavimento. Il temporale deve aver creato uno sbalzo di tensione. Raggiungo lo studio trascinando i piedi e usando le pareti come stampelle. Pigio sull’interruttore della luce ed espiro sollevato; non devo scendere in cortile per riattivare il contatore. Luigi è infastidito dalla luce improvvisa, serra gli occhi ma non si muove ulteriormente.
– Sarai mica stato tu, vero? – gli dico quasi allegro pensando che dopotutto oggi sono a riposo e avrò tempo di risolvere l’imprevisto. Mi guarda scontroso attraverso le sue fessure molli. Riavvio le macchine e sento uno slancio di magnanimità verso questo piccolo uomo che fino a trenta giorni fa era incapace di comprendere quanto tutto, anche il più piccolo gesto, sia la risultante di un perfetto equilibrio tra Male e Bene.
– Luigi – gli dico – oggi è festa. Meriti un ricostituente. Inizia ad agitarsi guardandomi con aria di sfida, ma non ho intenzione di liberargli la bocca per ascoltare le sue lamentele. Gli esseri umani sanno solo lamentarsi. E avere fretta.
Mi distrae lo schermo del computer che mi elenca le operazioni non portate a termine: 175. Centosettantacinque di oltre 500 download avviati ieri sera: libri, riviste, musica, film, serie tv di cui ora smarrirò ogni traccia perché non appunto quello che decido di archiviare. Da quindici anni attuo questa regola: tutto ciò che tra le 17 e le 21 di ogni giorno mi capita di vedere e leggere tra video, notizie e social ne conservo copia. Per uso futuro. Credo che tutto accada in un preciso momento e non in un altro. Nel mio salone-archivio ho più di cento unità di memoria esterna capienti fino a 3 o 4 terabyte. Oltre tutto il resto.
– Luigi – dico al mio ospite forzato – cosa non era necessario conoscere dunque? Mi avvicino al suo letto e gli sussurro all’orecchio, come ogni mattina da 22 giorni a questa parte: “E tu, hai compreso perché sei qui? Mi guarda con un’espressione di disgusto o forse sgomento come quella che gli ho colto quando ha scoperto di essere imprigionato due condomini più giù del suo.
Mi avvio verso la cucina per preparare la colazione a Puddy e Briciola. Mi aspettano accanto al portone all’alba, ogni giorno. Mi hanno insegnato loro a seguire i cicli del sole per le mie ore di veglia e sonno anche se il grasso, ospite forzato anch’esso, mi obbliga a respirare per due. E’ più facile che io riposi sulla sedia di cucina. Tra le 21 e le 23. Questa settimana è già successo quattro volte. E la scorsa tre. Per fortuna ho iniziato ad appuntarlo nel Diario.

Trovo Briciola seduta sul tappeto di cortesia. Sola. Mi segue subito e inizia a chiamare i piccoli. Riconosco il suono diverso. Ho confrontato le registrazioni. E’ cambiato da quando ha avuto i piccoli. E’ sopravvissuto solo Briciola. Nero e Tigre dopo una settimana sono spariti, ma lei chiama tutti ancora. Luigi ha investito Macchia alle 05.24 del 20 marzo mentre stava attraversando per venire da me. La fretta.
Vedo illuminarsi i fari dell’auto della signora Adalgisa. Ogni giorno da quattro anni è questa la sua ora: lavora per una famiglia benestante. Per lei i giorni di festa non sono i rossi del calendario. Guardo l’orologio: le 05.45. E’ in ritardo di 5 minuti. Fa un cenno con la mano e ricambio sollevando appena la testa. Briciola è abituato alle carezze mentre mangia. Le abitudini sono importanti. Penso a Luigi, a quando sarà stato il suo ultimo pasto e se abbia mai ricevuto carezze. La fretta, certe volte.

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La fretta – Alessandra Nenna

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