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Sotto il ghiacciaio | Halldór Laxness
Iperborea 2011
traduzione di Alessandro Storti

Lettura e commento di Roberta Costi aka @lacollinadellefarfalle

Ho letto Sotto il ghiacciaio del premio Nobel Halldór Laxness Iperborea per scoprire qualcosa sull’Islanda e i giganti dai quali prende il nome.

Sotto il ghiacciaio è un romanzo affollato di personaggi stravaganti, con molte chiavi di lettura, meditativo e dubitativo. Il romanzo moderno è una passione calma – scrive Amitav Ghosh ne La grande cecità, il romanzo di Laxness si fa beffe delle buone maniere.

Un giovane teologo, non che sia un gran credente, viene inviato dal vescovo a compiere l’indagine più importante dai tempi di Jules Verne sotto il ghiacciaio di Snæfel: lo stesso ghiacciaio che il professor Lidenbrock, Axel e Hans iniziano a scalare la mattina del 23 giugno 1863 nel Viaggio al centro della terra. Qualcosa di strano accade da anni sotto il ghiacciaio: ..ma dove sta il crimine? Tocca al riluttante teologo scoprirlo, scrivendo anzi trascrivendo quel che viene detto e quel che viene taciuto, verità e bugia. Da questo viaggio non potrà che tornare cambiato, chiedendosi se riuscirà mai a ritrovare la via maestra. Sorprendentemente divertente e dissacrante fin dalle prime battute, il resoconto dell’emissario del vescovo narra una farsa come se fosse una cosa seria ovvero una cosa seria come se fosse una farsa.

Susan Sontag, scrittrice e intellettuale, scrive nella postfazione che Sotto il ghiacciaio è il titolo di ben cinque romanzi: un libro di fantascienza, un romanzo filosofico, uno comico… Ci sarebbe posto anche per un sesto romanzo, erotico, ma fermiamoci ai principali. Cos’altro aggiungere?

Beh, per esempio Sontag non parla del ghiacciaio. Di come la vita, sotto-il ghiacciaio, sia profondamente modellata dall’ambiente. Degli uccelli e dei fiori, del fango e delle stoppie. Del silenzio e della musica. Dell’acqua.

Laxness dà l’impressione di scrivere vicino alla terra, inginocchiato o in bilico sui talloni, su un prato ai margini di una scogliera o su una pietra . Non guarda la natura né dall’alto né dal basso, ma da vicino. Ci invita ad assumere il “punto di vista delle pecore”, a vivere l’ora indistinguibile. Sta in ascolto. La natura è così com’è, senza enfasi, lirismi, punti esclamativi. Non un bello spettacolo, tanto meno consolatorio. “Le montagne.. sono nere in cima. Qua e là qualche chiazza di neve, pendii avvizziti, grandi acquitrini color caffè. Ma dai fiumi e dai laghi uno strano bagliore illumina il viaggiatore, per quanto il tempo sia uggioso e lo scopo del viaggio poco entusiasmante”. Le cose, sotto il ghiacciaio, arrugginiscono, sciaguattano, seccano, si disfano, crollano.

Eppure questo mondo desolato, animato dal trillo del tordo e dalle strida affannate dei gabbiani, pervaso da Grandi Domande, è bello.

Come l’inverno ci rivela la forma degli alberi, così Laxness mette a nudo la crudeltà e la bellezza della natura.

Il saggio di Susan Sontag che Iperborea pubblica come postfazione del libro di Laxness è estratto da Nello stesso tempo ( Mondadori), dove si trova anche “Ipotesi sulla bellezza”. Bellezza, la parola di cui nessuno conosce il significato e di cui ognuno dà una definizione diversa; una di quelle parole che per prudenza è meglio non usare, né per un ghiacciaio, né per altre cose.

Il bello ci richiama alla mente la natura in quanto tale — qualcosa che è al di là dell’umano e di quel che l’uomo crea — e di conseguenza risveglia e approfondisce in noi il senso della vastità e della pienezza del reale… che ci circonda
Susan Sontag

Il ghiacciaio si svela piano piano, prima ironicamente emerge fra la nebbia come il coperchio della zuppiera del mondo, poi è una fotografia sgranata, il ghiaccio macchiato di pioggia, rigato. “Per la verità …e’ uno spettacolo troppo semplice per poterne parlare in termini di bellezza.” Ma “..in certe ore del giorno..si rischiara di una luminosità particolare…uno sfavillio dorato..e ogni altra cosa intorno appare insignificante”. C’è una “forza magnetica..che attrae l’occhio verso la vetta congelata”…Il suo segreto è che “non afferma niente. Non vuole imporre niente a nessuno. Non assilla mai nessuno.” Sta lì, anche lui, come in ascolto. Che differenza con lo Snæfell di Verne da conquistare in tutti e i suoi “cinquemila piedi… “, con i suoi picchi impossibile da vedere, battuti da immense nuvole “di polvere di pietra pomice, di sabbia e di polvere…” dove le pietre vorticano “in una pioggia di schegge come durante un’eruzione”.

Insieme al ghiacciaio spiccano due personaggi, Jón il pastore e la donna-pesce. Jón Primus, la copia in positivo dell’avido pastore che, con la sua gigantessa, ospita Professore e compagni nel “Viaggio al centro della Terra” . Jón Primus conosce e accetta la vanità della vita e proprio per questo sceglie sempre di vivere. Sceglie di stare dalla parte dei gigli e del ghiacciaio, del tarassaco fra le pietre e del ranuncolo pronto a sbocciare, dei cavalli selvaggi, dello zigolo delle nevi e dei gabbiani; sceglie di essere uno che ripara, che aggiusta le cose e che se ne assume l’enorme responsabilità. Sceglie di accettare che a certe domande non ci sono altre risposte che accettare che non esista risposta. Sa di possedere solo quello che conserva dentro di sé, quindi e’ un uomo ricco.’ Su di lui scivolano via le regole della Chiesa e quelle della società – il possesso, l’affermazione, l’orgoglio. È  infatti un uomo che ha poca fede nelle parole e molta nella poesia; ama davvero umani e non umani e, conoscendone l’infelicità, li abbraccia con affettuosa ironia. Ha il coraggio di arrendersi. Úa, la donna-pesce, è moglie, figlia adottiva, amante, cattolica, tenutaria di bordello, suora, madre in lutto, sferruzzatrice di guanti di lana, donna matura, di complessione robusta, icona d’erotismo. Simbolo di tutte, è una donna intrepida e vitale, che sa la profonda ipocrisia sulla quale si fonda il potere ed ha il coraggio di essere sempre e solo sè stessa, imprendibile e fuggitiva ma sempre a suo modo fedele e sempre pronta a seguire la propria energia. E’ come i cinque-romanzi-in-uno di Laxness: non può essere posseduta, definita. Sontag scrive che Sotto il ghiacciaio è un’opera di “suprema libertà” e Jón e Úa sono due creature libere.

In Svizzera, a meno di novanta km in linea d’aria da casa mia, c’e il ghiacciaio più grande e lungo delle Alpi, l’unico con le stesse caratteristiche dei ghiacciai himalayani: l’Aletsch. Un mare di ghiaccio, bianco e grigio e striato di marrone scende sinuoso tra le pareti di roccia e terra, impossessandosi dello spazio visivo. Sembra quasi di vederlo muoversi, respirare: una lunga onda che ci riporta al silenzio, all’essenza delle cose. I ghiacciai sono creature dotati di straordinaria forza e di grande pazienza. Si formano per via della neve che non si scioglie durante l’estate e si compatta, strato dopo strato, per effetto del suo stesso peso. La trasformazione richiede anni, spesso decenni. E il ghiacciaio è lì, paziente, ad accogliere questa trasformazione. Intanto si muove, anche più di cento metri l’anno. I più lenti sono i granelli di ghiaccio schiacciati sul fondo: il loro viaggio verso valle può durare migliaia di anni.

L’anno scorso ho accolto con sgomento la notizia che il 75% dei ghiacciai svizzeri, tre su quattro, entro il 2050 sarà scomparso: duemilaecinquanta, sono trent’anni.

Cosa faranno allora le anime dei defunti, che espiano sull’Aletsch i loro peccati?

Il ghiacciaio dell’Aletsch è per me qualcosa di molto concreto, tangibile; mi è proprio parso di poterlo toccare, allungando la mano, come tutti quelli che sono saliti a Riederalp. Se si dice “lo perderemo”, in quel “lo” ci sono inequivocabilmente anch’io. Quando le persone che amiamo, spariscono, anzi muoiono, conosciamo il vuoto. Il vuoto è quello che rimane, quando abbiamo perso. Se chiudo gli occhi e immagino il letto dell’Aletsch vuoto, ho come il senso che sparisca con lui non solo un pezzo di Terra, un elemento fondamentale per l’equilibrio di un intero pianeta, ma anche un pezzo di me, la mia anima, che dovrà pure cercare un altro posto, lontana dai ghiacci.


Roberta Costi: Leggo. Amo il microcosmo, la natura,  l’arte contemporanea e relazionale,  le “arti pratiche” femminili.  Mi interesso di questioni ambientali. Quando non sono immersa nei libri faccio la dirigente in una Camera di commercio. Le restanti 24 ore sono la mamma felice di un preadolescente. Cammino, quando posso.  Ho lanciato il Silent Book Club Mergozzo: si chiacchiera un po’ e si legge, in silenzio, ognuno il suo libro.  La mia alias @lacollinadellefarfalle  condivide le mie passioni. 

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