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di Paolo Risi

 

La raccolta di Luca Baldoni consta di quattro sezioni più una: le prime corrispondono alle stagioni, la quinta fa da perno, ospitando liriche e riscritture che omaggiano poeti e filosofi del passato (Anassimandro, Eraclito, Democrito, Epicuro, Leonardo, Giordano Bruno).

Anno naturale è un’opera organica – anche sotto l’aspetto compositivo – e da ciò promana un’impressione di esattezza, di un concatenarsi armonico.

Il teatro delle occasioni, dell’ispirazione poetica, è il balcone di un appartamento: in quel luogo d’arte Baldoni osserva la natura e il paesaggio, descrive specie vegetali che ha in cura e che sono fonte di stupore e perlustrazioni di senso.

Vanno di pari passo descrizioni di carattere tecnico e registrazioni del flusso emozionale, moduli del presente che schiumano nell’equazione dei viventi. Scrive Tommaso Lisa nella prefazione: <<Non è un esercizio di versificazione d’un manuale di piante da appartamento e neppure indulge su una calligrafia da illustratore: chi legge tali versi riscontra sempre vivo l’elemento esperienziale, di cura pratica e appassionata che il soggetto pone nella relazione con l’oggetto. Tratto che stempera l’algore della notazione di carattere prettamente scientifico.>>

Il luogo custodito dispone a una visione panoramica. Non sono necessarie verifiche: come in una compressione informatica i singoli dati generano l’esperienza, la complessità a portata di mano. I tipi vegetali incorniciano il terrazzo, aprono le danze i volatili sul tetto di fronte e nel cielo, la galassia freme e concerta come in un gioco di fanciulli, ciò che si mostra fa capo alla ciclicità e ai mutamenti, a una coltura dell’infinito fecondata da leggi amorevoli.

Accade (nel componimento Bianco) che un’occhiata da un punto di osservazione alternativo abbracci la scenografia dei monti, dagli Appennini alle Apuane, e la comparsa della neve suggerisca al poeta la contemplazione del bianco, mentre – in un effluvio di assonanze – un monaco scintilla su rupi himalaiane. Tutto si compie, eppure riverberano gli attriti, lo spaesamento come concessione al reale, e sono tali sobbalzi a causare il botto, l’alchimia del possibile. Elementi collerici (Oh vento che ti abbatti dalle oscurate altezze / di abissi rovesciati, perturbazioni erranti) rimescolano i protocolli terrestri, scompigliano la progressione attendibile per poter prendere parte al gioco (e dopo il tuo passaggio è tutto frastornato: l’aria come un cristallo scintilla la tua forza). Terremoto, inverni non più tali: accadimenti che travalicano il frangente, implacabilmente inscritti nella misura cosmica, nel ventre della composizione geologica.

Continuità e dissolvenza si articolano in una prassi non del tutto imperativa, che considera – anzi stimola – la meraviglia e il paradosso. Da una profondità siderale l’ordine si fa poroso, incontra la sapienza. Colpisce nel testo Intelligenza degli stormi la parola concordia (rete che raccoglie molteplice concordia). Base ritmica, compimento orchestrale: il succedersi delle stagioni sembra contenere di esse il seme, la ragione ultima. Liriche del paesaggio nell’antologia Anno naturale, e di noi che ne siamo complemento, auspicabile particella (e fattore) di concordia.

PAESAGGIO

Pianoro di tegole opposto al mio balcone
con le sue elevazioni: comignolo fumante,
l’arca del lucernario, la breve verticale
di un muro che s’innesta; e sono luce e ombra
radenti queste forme nel ripido mattino

di scaglie alcune file asciutte illuminate
tra altre ancora acquose di gelo accarezzato,
negli angoli protetti la brina che resiste
trattiene la sferzata, il bacio della notte

fissando l’orizzonte minuto familiare
con occhio-cannocchiale sei dentro a quel paesaggio,
scivoli sui lastroni, ti affanni sopra i coppi

in lividi valloni che non raggiunge il sole
sino alla primavera – a nuova congiunzione.


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