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Il portacenere| un racconto inedito di Božidar Stanišić
(titolo originale Pepeljara)

Introduzione a cura di Laura Toppan

Un piccolo oggetto d’alluminio a forma di ala d’aereo con residui di colore rosso chiaro, e ricordo della compagnia aerea nazionale delle ex-repubbliche jugoslave, diventa fonte di ispirazione di questo nuovo racconto lungo di Božidar Stanišić, intitolato Portacenere – all’origine L’ospite -, con un riferimento a Čechov, come ci suggerisce la citazione di Henry Troyat in exergo. Siamo immersi in uno spazio-temporale che procede per blocchi: la primavera del 1992, anno dell’inizio dei conflitti in Bosnia, e che segna anche la data di una dolorosa cesura nella vita dell’autore costretto ad un esilio forzato; il dicembre del 1951, anno in cui uno dei protagonisti viene fatto prigioniero e trasportato nell’isola Calva (in croato Goli otok , che significa ‘isola nuda’), situata nel mare Adriatico a qualche chilometro dal litorale croato, un luogo roccioso, quasi privo di vegetazione, ‘inanimato’, e trasformato in campo da ‘lavoro’ nel secondo dopoguerra, dove erano trasportati gli oppositori al regime di Tito; la primavera del 2016, in cui il narratore sottolinea la fatica dello scrivere e il ricorso al presente storico, il tempo migliore per ricordare il passato. La struttura del racconto è caratterizzata da un va et vient tra ricordi, necessari come atto di testimonianza, e riflessioni sull’oggi, su un paese disgregato da una terribile ed assurda guerra fratricida che ha portato a trasformare in “solo-Bošniacchi”, “solo-Serbi”, “solo-Croati” coloro che prima erano uniti sotto un’unica bandiera, di cui rimane, come superstite, solo un minuscolo portacenere, riapparso per caso, disseppellito da strati di humus e di foglie marcite, come cumuli di ricordi accantonati, pronti a sorgere in qualsiasi momento. Anche i nomi dei personaggi richiamano il passato: lo Spagnolo, soprannome dell’ospite arrivato improvvisamente in un giorno di sole nel cortile del protagonista e poi scomparso nel nulla; Okeyboy, soprannome del ragazzino protagonista che assiste a questa strana visita e che poi, una volta adulto, diventerà ‘Un-tempo-Okeyboy’, con quella sottile ironia che contraddistingue lo stile di Stanišić e a cui ci ha abituati. Ironia che ritroviamo alla lettura del dépliant per turisti in cui dall’Isola di Veglia si può fare un’escursione all’Isola Calva per poter “sentire il vero profumo dei tempi passati…” oltre alle visite nelle cantine e nei ristoranti locali. I segni terribili di ieri impressi in quel paesaggio stridono con le attività del turismo di massa di oggi, come tuffarsi in un mare, seppur limpido e meraviglioso, ma divenuto contenitore di corpi dispersi in fuga o gettati senza pietà perché non sono riusciti a resistere ai soprusi. Gli unici a non fare il bagno sono gli sloveni, che visitano i luoghi in religioso silenzio, rispettosi di un passato ancora troppo recente e dalle ferite “innocenti” ancora aperte. È un ex-prigioniero che fa visitare l’isola e spiega agli astanti tutte le umiliazioni, le sevizie e vessazioni subite in quel campo di concentramento dimenticato da tutti, una sorta di gulag, che ricorda i racconti terribili di Shalamov, quelli sui campi nazisti, e che fa tornare alla mente Levi.
L’isola Calva smise di essere un campo di “rieducazione politica” – come lo chiamavano – nel 1956, ma la colonia penale fu chiusa solamente nel 1988. La guida-memoria, che i turisti ascoltano con religiosa attenzione, non è rimasta intrappolata nel proprio trauma, non è una vittima passiva, perché riesce a stare in piedi rispetto all’arbitrarietà esterna senza rimanerne paralizzata. L’ex-prigioniero si sente investito del ruolo di testimone, affinché la memoria non vada perduta. Ed è questo il compito di Stanišić scrittore, che proprio nello spazio immaginativo del racconto, riesce a ‘respirare’ e ‘tollerare’ le situazioni in cui i suoi personaggi soffrono, proprio come quelli di David Grosmann, che con il romanzo
La vita gioca con me, ripercorre la vita di un’anziana donna che rievoca gli anni passati in prigionia proprio sull’isola Calva.

Così Portacenere è una piccola pietra preziosa, che ri-evoca, ri-memora e com-memora una parte della storia europea recente, oggetto centrale di studio di Božidar Stanišić.

Laura Toppan insegna Letteratura Italiana all’Université de Lorraine (Nancy). Studiosa di poesia italiana e francese del Novecento e degli anni Duemila, ha pubblicato articoli e saggi sull’opera di Luzi (“Le chinois”. Luzi critico e traduttore di Mallarmé, Metauro, 2006), Parronchi, Caproni, Romagnoli, Zanzotto, Cecchinel e Frénaud. Si interessa da tempo anche di poesia italofona (Confini di-versi. Frontiere, orizzonti e prospettive della poesia italofona contemporanea, F.U.P., 2019)

‘Volete sapere come scrivo i racconti? Ecco!’ Gettò
un’occhiata sul tavolo, afferrò un portacenere. ‘Domani
questo sarà un racconto; titolo: Il portacenere’.

Henry Troyat, Čechov

1

Il ragazzino è sorpreso dall’arrivo di uno sconosciuto che entra silenziosamente nel cortile, e dal suo saluto a mezza voce, come se avesse sbagliato ingresso.

Sì, risponde alla domanda se fosse il figlio del padrone di casa.

Alla domanda successiva – se suo padre fosse in casa – scrolla soltanto le spalle e, mostrando le mani sporche d’argilla – ecco, io del lavoro più importante ne ho abbastanza! – dice che suo padre c’è, ma forse no.

Sì o no?

Eh, dice il ragazzino mentre osserva lo sconosciuto accendersi una sigaretta, e se non è in casa magari è nel frutteto.

Lo sconosciuto è curioso, si interessa a cosa faccia il ragazzino con l’argilla, davanti al tavolino a tre gambe accanto al lavabo di pietra.

Il ragazzino si meraviglia perché all’uomo che parla senza togliersi la sigaretta di bocca e che chiude frequentemente gli occhi dietro gli occhiali dalle lenti tonde – solo per il fumo? – non è chiaro che lui, sulla tavoletta di legno, stia facendo un monte fuori dal comune. E che tutti lo sappiano: non è soltanto il più alto della Bosnia, ma di tutto il mondo! Dopo aver pronunciato il nome di quel monte, col dito indica la cima illuminata dal sole di quell’estate bollente.

Certo, dice lo sconosciuto. Data l’altezza a chi non importerebbe saperlo?

Sì, il ragazzino è d’accordo, è davvero così alto che tocca il cielo.

Ah, esclama lo sconosciuto, tocca il cielo?

Proprio così, conferma il ragazzino, e se Gagarin conoscesse questo monte, da buon astronauta partirebbe da lì alla volta delle stelle!

Così? Alla volta delle stelle? Lo sconosciuto ripete le parole del ragazzino come se avesse qualche dubbio. Il ragazzino dapprima tace come se non ricordasse il suo nome, poi risponde che un nome c’è l’ha, ma che sua sorella ultimamente lo chiama Okeyboy.

Okeyboy? Perché?

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Božidar Stanišić (Visoko, 1956) è uno scrittore, poeta e traduttore bosniaco.
Si è laureato alla Facoltà di Filosofia all’Università di Sarajevo presso il dipartimento di storia e letteratura jugoslava. Dal 1981 molte sono le sue pubblicazioni, critiche e saggi nonché radiogrammi per libri d’infanzia. Già scrittore e docente di lingua e letteratura presso il liceo di Maglaj, località a nord di Sarajevo, dal 1992 insieme alla famiglia abita in Friuli a Zugliano in provincia di Udine in seguito al suo rifiuto di imbracciare le armi e portare una divisa in conseguenza allo scoppio delle guerre jugoslave in Bosnia ed Erzegovina. (Fonte Wikipedia)

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A
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