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La Roma di Pasolini. Dizionario urbano | Dario Pontuale
N
ova Delphi editore, 2017 


nota e intervista a cura di Emanuela Chiriacò

Pier Paolo Pasolini arriva a Roma nel 1950 su un treno lento come un merci. È l’anno del Giubileo voluto da Papà Pio XII. Nell’anno della remissione dei peccati, della riconciliazione e della conversione, il poeta friulano accompagnato dalla madre Susanna Colussi si trasferisce nella capitale a causa della sua omosessualità. Nel 1975, la relazione con Roma si interrompe bruscamente nella notte tra il primo e il due novembre. A cavallo tra ognissanti e il giorno dei morti dell’anno che celebra le sue nozze d’argento con la metropoli più bella e più brutta del mondo, la Roma Malandrina (1957) dove splendore e laidezza si compensano e la prima offusca la seconda, il poeta muore per mano di Pino Pelosi, uno dei ragazzi di vita su cui ha concentrato la sua ricerca di autore, antropologo e linguista.

Cosa accade nei venticinque anni che passano dal 1950 al 1975, ce lo racconta Dario Pontuale nel saggio La Roma di Pasolini in un modo insolito e originale. L’autore costruisce minuziosamente un dizionario urbano della Roma incontrata e vissuta da Pier Paolo Pasolini attraverso 122 lemmi (con la sola esclusione delle lettere h, l, n e z) per donarci uno stradario, come lo definisce Simona Zecchi nella sua introduzione, con cui sciamare cioè sfogliare partendo da qualsiasi lettera dell’alfabeto o lemma che più […] aggrada.

La Roma di Pasolini è una guida multilayer e bidimensionale che si può leggere a distanza e sul posto.

Nel primo caso, si tratta di un viaggio verticale sulla carta, uno scivolamento dall’alto per atterrare nelle pagine tra ricordi e strade silenziose come un film muto che lascia scorrere immagini e suggestioni; nel secondo, uno strumento da camminamento lento per scandire il passo del turista che cerca itinerari alternativi e inusuali o un accompagnamento allo scalpiccio di un romano calato nella sua quotidianità.

I luoghi da archeologia industriale e quelli evanescenti della memoria e del convivio (bar, ristoranti e trattorie frequentati da Pasolini con gli amici) si mescolano a poeti, scrittori, registi, attori, ragazzi di vita, film, raccolte poetiche, romanzi, quartieri e borgate.

È sufficiente scorrere l’indice per capire che Pontuale sceglie scientemente di non dividere i lemmi per categorie, ne asseconda l’ordine alfabetico, lo segue rendendo tutto e tutti importanti e funzionali. Probabilmente è il suo studio approfondito su Pasolini che lo guida alla scelta; lo stesso poeta friulano nei tre componimenti Ricordi di miseria, Il privilegio del pensare e La Ricchezza del sapere, contenuti ne La religione del mio tempo, parla della percorrenza a piedi e con i mezzi pubblici della città per mescolarsi e vivere a stretto contatto con l’umanità che la popola facendosi linea sottile e potente di giuntura tra il paesaggio urbano e umano. Vive la geografia di Roma composta da rioni, quartieri e suburbi a cui aggiunge la parte negata, rimossa: le borgate; le periferie linguistiche e culturali con cui inaugura una letteratura nazional-popolare che rifiuta categoricamente qualsiasi forma di sudditanza nei confronti della politica. Perché Pasolini è un uomo del suo tempo ma è extra ideologico, intrinsecamente engagé e di conseguenza tremendamente scomodo. Impossibile da assimilare o incasellare per essere immediatamente riconosciuto e classificato. Ha un suo piglio rivoluzionario in continuo sviluppo che lo rende inafferrabile, pericoloso. Lo testimonia la sua arte. È poeta, scrittore e poi investiga e sperimenta la drammaturgia, il documentario e il cinema con attori professionisti supportati da ragazzi di borgata la cui spontaneità e verità lo spingono un passo oltre il neorealismo.

Lui sceglie di raccontare il contingente attingendo da vissuti e storie parlate con una lingua primitiva, carica di enfasi e spontaneità: la lingua delle borgate, di quei luoghi stratificati simili a campi di segregazione, dei baraccamenti spontanei dove ritrova una concentrazione alta di umanità sottoproletaria. Sergio Citti è il campione filosofico dell’abitante di Roma, un post gamin tra i post gamin di derivazione hugoliana che narra un’umanità scevra di sovrastrutture che sopravvive, che inventa la vita a mezza giornata, che nulla possiede se non il suo corpo e la sua lingua: quel dialetto che discende dal romanesco poetico di Gioacchino Belli che si mescola con quello vivo e mutevole della quotidianità. Ne è affascinato e non si limita all’ascolto, ne fa studio filologico e applicazione. Lo usa nei suoi romanzi e nei suoi film, i protagonisti lo parlano e lo rendono lirico anche nella sua crudezza e nel suo cinismo. E non si ferma, studia in modo comparato la differenza tra il romanesco parlato dagli anziani e quello dei giovani, una sorta de querelle linguistica de l’antichi e de li moderni che si risolve in una critica dura al mezzo televisivo colpevole di avere colmato il gap generazionale per produrre in quella umanità il senso dell’invidia sociale. Pasolini la registra come la perdita dell’innocenza, della spontaneità naïve che vede scivolare quell’umanità nell’omologazione livellante della finta uguaglianza. La Roma di Pasolini di Pontuale è lo story-board di un momento sociale delicato e affascinante che racconta attraverso i luoghi e gli affetti del poeta, la città di Roma, simbolo che maggiormente riflette il cambiamento nazionale dell’epoca e la fascinazione che procura nel giovane poeta friulano che si ritrova a capirne l’anima e a denudarla. Pontuale ce lo restituisce con passione e profondità regalando un lavoro nuovo e interessante; un punto di vista colto e acuto che omaggia la vita del poeta sfiorando solo il triste epilogo e la loro città .

dialogo con l’autore Dario Pontuale: 

Come definiresti il tuo lavoro La Roma di Pasolini? Quale urgenza ti ha portato a scriverlo?
Lo definirei come un testo utile per conoscere Pasolini a Roma, uno strumento forse comodo per osservare il “fermento intellettuale” dello scrittore, poeta, saggista, regista, giornalista etc., nell’Urbe. Non ho sentito “urgenze” di scriverlo, lo confesso, ho soltanto tentato di organizzare una mole considerevole di dati e a questi dare una coerenza formale. Ho cercato di mettere vicine tessere di un mosaico molto ampio, molto variopinto, provando a disegnarne l’insieme.

Cosa ha significato Roma per Pier Paolo Pasolini e Pier Paolo Pasolini per Roma?
Sono elementi complementari per venticinque anni, praticamente si vivono addosso con un’intensità totalizzante capace di generare riflessi inattesi. Dentro un quarto di secolo imparano a capirsi diventando un corpo unico, un segmento caratterizzato e caratterizzante. Un rapporto difficile alle volte, idilliaco molte altre; un legame che li stringe senza strozzarli e svela aspetti spesso indecifrabili anche per chi conosce bene l’autore o la città.

A Più libri, più liberi lo scorso dicembre, insieme all’editore di Nova Delphi Germano Panettieri e al giornalista Enzo Di Brango presentando il libro hai detto che Pasolini era un antropologo dal carattere profetico che ha compreso a fondo il contesto in cui viveva e anticipato le dinamiche del cinquantennio successivo. Cosa credi abbia contribuito a sottrarre paradossalmente memoria alla sua opera?
Certamente l’accusa dell’omosessualità ha contribuito enormemente a screditare le parole, i film, le interviste di Pasolini, soprattutto nell’Italia dell’epoca. Era la soluzione più facile, più bieca, più scontata. Ancora oggi in Italia assume un peso non marginale, figuriamoci allora, quantomeno all’epoca l’ipocrisia appariva meno smaccata. Purtroppo, sappiamo, quanto confondere i costumi con il pensiero sia un errore comunissimo e banale.

Hai affermato che «La fascia media, la piccola e media borghesia, non l’ha mai considerata. Frequentava o gli intellettuali o il sottoproletariato». Oggi che la fascia media sembra quasi non esistere più, gli intellettuali chissà, resta forte la fascia del sottoproletariato. Di questa configurazione sociale, cosa credi avrebbe detto Pasolini oggi?
Pasolini non avrebbe potuto dire nulla sul sottoproletariato, perché il sottoproletariato come concetto, come identità unitaria non esiste più da molto tempo. La fascia della piccola e media borghesia dopo mezzo secolo di una certa comunicazione, di una certa eduzione, di una certa abitudine ha fagocitato tutto: proletariato e intellettuali. Ha compiuto il suo più alto compito, ha completato cioè il lungo progetto dell’omologazione culturale. Un’unica massa omologata, infatti, risponde più facilmente agli stessi bisogni, alle stesse necessità, alle stesse debolezze. Un’unica massa è più semplice da controllare, prevedere, anticipare. “Siamo tutti in pericolo” avrebbe detto Pasolini, difficile dagli torto.

Helga Marsala su Artribune ha scritto delle opere di muralismo urbano a Roma. Tra il Pigneto e Torpignattara, ci sono omaggi di street artist a Pier Paolo Pasolini. Vorrei chiederti di commentare queste opere per dire qualcosa di Pasolini e del tuo lavoro che di lui parla.

FMauro Pallotta aka Maupal, L’occhio è l’unico che può accorgersi della bellezza, 2014 – via Fanfulla da Lodi, Romaoto credit e fonte: Mauro Pallotta aka Maupal, L’occhio è l’unico che può accorgersi della bellezza, 2014 – via Fanfulla da Lodi, Roma

Avevo letto il lavoro di Helga Marsala, è stato utile anche per orientarmi in un mondo interessante e in forte crescita, una spinta artistica che a Roma sta portando cambiamenti urbani sintomatici. Simbolicamente l’occhio di Pallotta è un lavoro molto significativo, rappresenta l’occhio attento di Pasolini che osserva la città, la protegge, ma al contempo l’accusa. Con rabbia scrutatrice la spia senza farsi vedere, restando nell’ombra e appuntando tutto quello che assimila. Non vediamo il resto della faccia, ma possiamo immaginarla, possiamo intuirla altrettanto simbolica, con le rughe della sfida.

Omino 71, Io so i nomi, 2014 – via Fanfulla da Lodi, RomaFoto credit e fonte: Omino 71, Io so i nomi, 2014 – via Fanfulla da Lodi, Roma

L’accusa, la grande accusa Pasoliniana del “Io so”. Lui sapeva i nomi e sapeva con esattezza le colpe, soprattutto quelle future e come un supereroe ha preso le difese dei deboli. Li difende con coraggio e determinazione, con una passione che sfiora lo squilibrio e lo conduce fino all’invettiva. Pasolini non indietreggia mai, anzi procede fino al baratro e ne paga le spese.

c) Nicola Verlato, Hostia, 2015 (in via Galeazzo Alessi, denominata La Cappella Sistina di Tor Pignattara)Foto credit e fonte: Nicola Verlato, Hostia, 2015 (in via Galeazzo Alessi, denominata La Cappella Sistina di Tor Pignattara)

Altro riferimento dotto e simbolico giocato con dei chiaroscuri sorprendenti. Pasolini viene scacciato dal Paradiso, ammesso che la terra sia un Paradiso, è viene spinto nel gorgo dei morti, dei disperati, dei poveri, degli esiliati. L’angelo più bello che sfida dio non merita perdono. L’inferno per Pasolini è linfa vitale, però, un’energia creativa che nemmeno dio poteva immaginare.


note biografiche:

(Roma, 1978) scrittore, saggista e studioso di letteratura otto-novecentesca, è autore dei romanzi La biblioteca delle idee morteL’irreversibilità dell’uovo sodoNessuno ha mai visto decadere l’atomo d’idrogeno.
Nel 2015 per Nutrimenti ha scritto la biografia critica Il baule di Conrad (Le malle de Conrad – Editions Zeraq, 2016), “Una tranquilla repubblica libresca”(Ensamble 2017), “Ciak si legge” (Ianieri 2017) e “La Roma di Pasolini”(Nova Delphi 2017). Ha curato edizioni di Flaubert, Maupassant, Zola, Musil, Stevenson, Conrad, London, Svevo, Salgari, Puškin, Tolstoj, Čechov. Sito Web: www.stradariopontuale.com/

 

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Incontro con l’autore: Dario Pontuale ci racconta la Roma di Pasolini

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