VIA DEGLI ANGELI | Angela Bubba e Giorgio Ghiotti
Bompiani 2016
di Paolo Risi
Girare per Roma a piedi, a cavallo di un motorino o lasciandosi trasportare da un mezzo pubblico, di per sé un’attività piacevole, se non si è costretti a rispettare delle scadenze, se non si è semplicemente indaffarati o di passaggio. Non sono le passeggiate lunari di Robert Walser, avvolte da un misterioso filo conduttore (Roma non consentirebbe, forse, di estasiarsi e morire lungo un sentiero innevato) ma le ricognizioni in un passato evanescente, che ogni mattino viene lavato via dalle strade e accompagnato verso le canaline di scolo della Città Eterna.
Angela Bubba e Giorgio Ghiotti sfidano l’insipienza e la voracità dei ritmi quotidiani affidandosi a destrieri scalpitanti e vagamente inaffidabili. La loro è una caccia a profili invisibili, all’aura o semplicemente a ciò che rimane di scrittori e artisti che hanno abitato Roma, città che si rivela sui pianerottoli come nell’abbacinante reticolo di storia e mondanità. Cacciare non è un termine corretto, perché le ambizioni, certe passioni, vanno sedotte da lontano e lasciate maturare: il lavoro di preparazione è già archiviato nella sensibilità naturale, per il resto è vento ponentino e l’attesa di una risposta, l’intuito che individua un testimone nel grigio del disamore, una persona che sa, che può alimentare e modellare il racconto.
Il numero 3 di piazza Campo Marzio. Un appartamento all’ultimo piano, la riservatezza di Natalia Ginzburg, lineamenti fossili che ridestano la memoria del signor Nazareno, il proprietario della celeberrima gelateria-pasticceria adiacente: “Prendeva qualcosa al banco. Non mi pare si sedesse, no. E chi lo sapeva che era una scrittrice così famosa. Sai cosa? Che a volte uno li conosce come clienti ma non sai chi sono. E poi lei era, come posso dire… basso profilo, capito che intendo?”.
Via delle Mole dè Fiorentini n. 28. Il sottoscala dove abitò Sandro Penna. Nessuno sembra sapere, gli incontri sfociano nel grottesco, nella paralisi allucinatoria, ma senza volerlo le frasi smozzicate, i ricordi di un vicino di casa, compongono un quadro di attimi e bagliori che avrebbe divertito il grande poeta.
“Anche Laura Betti conoscevo, eravamo amici. Che persona buona, una matta totale, l’angelo più eccentrico che sia mai stato mandato su questa terra, senza dubbio…” ricorda Piero Albertelli, titolare “dal 1967” della Camiceria di Piero, che nel suo negozio al numero 11 dei Prefetti ospitò personaggi illustri: la mitica attrice Laura Betti, appunto, e poi Federico Fellini, il suo costumista e scenografo Danilo Donati, Goffredo Parise, narratore squisito, scivolato ai nostri giorni nel limbo degli scrittori dimenticati.
Via dell’Oca 27. Uno dei recapiti romani di Elsa Morante. Decollano le suggestioni di un tempo andato, la parata di celebrità che si allungava verso l’appartamento della scrittrice: Pasolini, Visconti, Saba, l’attrice Anna Magnani. Al termine una signora impellicciata che discetta di botole sospese, di amanti in fuga sospinti dalla Morante sui leggendari tetti capitolini.
La città distratta, per gran parte anestetizzata, movimenta l’escursione sentimentale. Uno dopo l’altro indirizzi e targhe evocative che pizzicano la curiosità, semplicemente commuovono: lungotevere Sanzio 5, Amelia Rosselli pare abbia abitato qui insieme a Dario Bellezza. Piazza Ennio 11, un palazzo oggi ricoperto di edera in cui visse la scrittrice Anna Maria Ortese. Alberto Moravia, il civico numero 1 del lungotevere della Vittoria, la passione dello scrittore per i frutti tropicali, certificata dal suo fruttivendolo di fiducia: “Moravia sfiorava quella frutta come se fosse la copertina di un libro… un libro bellissimo. Non sapevo mai cosa dover provare. Se emozione o imbarazzo. Aveva sempre in mano una delle mie papaye e io non sapevo che fare. Una volta mi disse: ‘Dovrei mangiarne di meno, ma sono un debole.’”
Esplorare vicoli, ingressi, vecchi negozi, per raccogliere storie e frammenti biografici: pellegrinaggio che fa pensare ad un viaggio iniziatico, più o meno come allargare il torace e lasciarsi travolgere, un po’ come abbandonarsi alla vita. Angela e Guido, due giovani scrittori per le strade di una città che ciclicamente perde e recupera le sue coordinate geografiche, pronti a raccogliere gratitudine o indifferenza nella stessa misura, ma in fondo perché scoraggiarsi: i “non ricordo”, i “non mi dice niente”, i “mai sentito” compongono essi stessi il mosaico della Via degli Angeli e danzano con il lampo accorato della memoria, lo sguardo acceso di chi ha un frammento di cronaca da offrire e lo porge dopo averlo recuperato dal fondo di una tasca.
“Perché memoria e smemoratezza si danno felicemente il cambio in questo libro, sono sentinelle alla pari” scrive nella prefazione Sandra Petrignani, anch’essa rabdomante della letteratura, autrice fra gli altri del bellissimo La scrittrice abita qui... “Non è così importante stabilire una gerarchia fra vero e falso, si lascia alla fantasia dei testimoni tutto il margine possibile di approssimazione ed errore e, alla fine, le tante voci dei diversi cittadini, romani e non romani, cinesi o africani, formano un’unica voce, la voce di una città più meticcia che mai, obliosa, ma insieme affamata di storia, la sua propria ibrida storia”.