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In Cina, a Nandaihe Biblioteca sulla spiaggia

Suggerimenti della Redazione di ZEST e dei lettori

 


Il pianeta umano, come abbiamo creato l’antropocene,
L. Lewis, Mark A. Maslin (Einaudi 2019) – Trad. S. Frediani

«Questo libro, scritto in modo splendido, è davvero uno dei libri piú importanti che abbia mai letto». Ellie Mae O’Hagan, «The Guardian» Meteoriti, metano, megavulcani e oggi gli esseri umani; alle vecchie forze naturali che trasformarono la Terra molti milioni di anni fa se ne è aggiunta un’altra: noi. Le nostre azioni hanno portato la Terra in una nuova epoca geologica, l’Antropocene. Per la prima volta nei quattro miliardi e mezzo di storia del nostro pianeta, una specie ne sta determinando il futuro. Per alcuni, l’Antropocene simboleggia un futuro di controllo superlativo dell’ambiente. Per altri, è la massima hybris, l’illusione di dominare la natura. Comunque la pensiate, appena sotto la superficie di questo termine scientifico un po’ strano, Antropocene, troverete un entusiasmante miscuglio di scienza, filosofia, religione e politica collegato alle nostre paure piú grandi e alle nostre visioni utopistiche. Ricostruendo i nostri impatti sull’ambiente nel corso del tempo per capire quando gli esseri umani iniziarono a dominare la Terra, gli scienziati Simon Lewis e Mark Maslin ci mostrano in modo magistrale che cosa significa la nuova epoca per tutti noi.


Il sussurro del mondo,
Richard Powers (La nave di Teseo 2019) – Trad. L. Vighi
Patricia Westerford – detta Patty-la-Pianta– comincia a parlare all’età di tre anni. Quando finalmente le parole iniziano a fluire, assomigliano piuttosto a un farfugliare incomprensibile. L’unico che sembra capire il mondo di Patricia, sin da piccola innamorata di qualsiasi cosa avesse dei ramoscelli, è suo padre – “la sua aria e la sua acqua” – che la porta con sé nei viaggi attraverso i boschi e le foreste d’America, a scoprire la misteriosa e stupefacente varietà degli alberi. Cresciuta, dottorata ribelle in botanica, Patty-la-Pianta fa una scoperta sensazionale che potrebbe rappresentare il disvelamento del mistero del mondo, il compimento di una vita spesa a guardare e ascoltare la natura: le piante comunicano fra loro tramite un codice segreto. Ma questo è solo l’inizio di una storia che si dipana come per anelli concentrici: intorno a Patty-la-Pianta si intrecciano infatti i destini di nove indimenticabili personaggi che a poco a poco convergono in California, dove una sequoia gigante rischia di essere abbattuta. Il sussurro del mondo è un’opera immensa, un appassionato atto di resistenza e impegno, un inno d’amore alla letteratura, al potere delle storie, alla grandiosità della natura. Dalla motivazione del Premio Pulitzer 2019 per la Narrativa: “Un romanzo dalla costruzione geniale, rigoglioso e ramificato come gli alberi di cui racconta: la meraviglia della loro interazione evoca quella degli uomini che vi vivono accanto.”


Giona delle sequoie,
Tiziano Fratus, (Bompiani 2019)
Ci sono viaggi che ti portano là dove le tue radici risuonavano ben prima che tu arrivassi. In California Tiziano Fratus ha scoperto una terra dello spirito. Nel continente delle sequoie, la Sequoia Belt – una delle più grandi cattedrali naturali del pianeta insieme all’Amazzonia e alla foresta del Borneo – ha respirato il vento che l’oceano riversa fra i giganti rossi che popolano luoghi mitici quali Big Sur, Humboldt County, Jedediah Smith; ha deviato verso i luoghi sacri in Sierra Nevada, da Calaveras a Yosemite, da Mariposa alla Giant Forest, dal General Grant Grove a Mountain Home. All’ombra di questi Eden verticali si spalancano le pagine di una storia leggendaria, fatta delle imprese di uomini che hanno avuto un ruolo centrale nell’incredibile conquista di terre sconosciute: i primi avventurieri, i taglialegna, i cacciatori di grizzly, i guardiaparco, i conservazionisti e gli amanti della natura che hanno lottato per la loro salvaguardia inventando l’istituzione della riserva naturale così come oggi noi la conosciamo. E poi scrittori, poeti, fotografi e artisti che si sono lasciati ispirare dal canto di una Madre Natura esuberante e gargantuesca.


Che cosa è la bioeconomia,
Mario Bonaccorso, Irene Baños Ruiz, (Edizioni Ambiente 2019)
Cambiamenti climatici, aumento della popolazione, degrado dei suoli, perdita di biodiversità. Sono le principali sfide che l’umanità è chiamata ad affrontare in questo inizio di millennio. La bioeconomia è una delle chiavi per affrontarle e vincerle, riconciliando economia, ambiente e società. Basata sull’impiego delle risorse biologiche rinnovabili come materie prime per la produzione industriale, energetica, alimentare e mangimistica, secondo l’Unione europea ha il potenziale per creare almeno un milione di posti di lavoro entro il 2030. Il libro di Mario Bonaccorso e Irene Baños Ruiz traccia un quadro preciso e aggiornato del concetto di bioeconomia, delle sue origini, delle connessioni con la sostenibilità e l’economia circolare e delle molteplici applicazioni che ritroviamo in diversi prodotti della nostra vita quotidiana. Ci guida inoltre nelle importanti ripercussioni che questo nuovo modello economico e sociale sta avendo sul mondo della formazione, della finanza e delle politiche di sviluppo locale.

Il bruciacadaveri,
Ladislav Fuks, (Miraggi Edizioni 2019) – Trad. Alessandro De Vito
Torna disponibile nella nuova traduzione dal ceco di Alessandro De Vito un romanzo che ha fatto storia. 
Il bruciacadaveri”, uscito per la prima volta negli anni della Primavera di Praga, divenne celebre anche per la trasposizione cinematografica degli stessi anni, “L’uomo che bruciava i cadaveri” del regista Jurai Hertz https://www.imdb.com/title/tt0063633/
Recensione su ZEST QUI


Settembre 1972,
Imre Oravecz (Anfora Edizioni 2019) – Trad. V. Gheno
Settembre 1972 è un romanzo in versi che racconta in 99 istantanee la storia di un amore, dal suo prologo al suo epilogo. Pubblicato per la prima volta nel 1988 in Ungheria, le copie vennero esaurite in tempi brevissimi e il libro divenne un caso letterario.
La trama è quasi banale. Una donna e un uomo si conoscono, si innamorano, si sposano, hanno un figlio e poi si separano perché la donna non può vivere con l’uomo, che anche lei ama, ma non sopporta di essere proprietà di un solo uomo, anche se è padre del loro figlio. Il testo racconta minuziosamente i fatti. Il primo incontro, i primi amplessi, le prime gelosie e i primi tradimenti, di lui e di lei. Poi segue la storia della separazione fisica e spirituale.”
La prima persona singolare, la voce che guida ogni capitolo, ricorda il diario, il monologo, il romanzo di ricordi. Oravecz percorre l’intera strada tra l’intimo e il sofferto, sottolineando tutte le varie sezioni del nostro affresco dei sentimenti, ma tutto è rappresentato senza sentimentalismo, con l’uso di un’espressione linguistica del tutto originale, oggettiva, crudele e distaccata.


Lontano da casa,
Pinar Selek (Fandango 2019) – Trad. M. Maddamma, V. Tomassetti
Lontano da casa narra il dolore dell’esilio involontario e, al di là, la speranza e il coraggio di una donna libera che fa sue le parole di Virginia Woolf: “Come donna, non ho paese. Come donna il mio paese è il mondo intero”. Pinar Selek si è esercitata sin dall’infanzia a respingere le pareti degli spazi, reali o immaginari, nei quali ha vissuto. Tinto da mille sfumature poetiche il suo racconto esplora le tensioni tra la nostalgia per il passato e l’attrazione per l’altrove. Evoca la familiarità rassicurante della lingua e delle cose con le quali si è cresciuti, l’audacia che spinge ad avventurarsi sempre più lontano, e lo sgomento di fronte all’ignoto, dopo lo strappo brutale dagli esseri e dai luoghi. La bellezza degli incontri, anche, e il piacere di tessere legami nei margini immensi che si prendono gioco delle frontiere. “Se mi domandano come sto, rispondo che resisto, che ho imparato a giocare con questi venti che all’inizio mi hanno depistata. Ma che non posso avviarmi verso il luogo di cui parlo, il paese che mi manca.” Vittima di un processo senza fine, che è in sé una forma di tortura, ancora oggi Pinar Selek rischia una condanna all’ergastolo.


Un soffio di vita,
Clarice Lispector (Adelphi 2019) – Trad. R. Francavilla
Libro postumo, libro testamento – ma anche «intrepido e scherzoso libro di vita», debordante di «frasi sconnesse come in sogno», di «idee allo stato grezzo», formato di «resti della demolizione di un’anima» e di «estasi provvisorie» –, Un soffio di vita mette in scena due personaggi (l’Autore e la sua creazione, o creatura, Ângela) che dialogano affrontando tutti i temi sui quali la Lispector si è incessantemente interrogata: le parole, il tempo, il mondo, la storia, la preghiera, gli esseri viventi e quelli inanimati. Infine: la grazia. La scrittrice non nasconde affatto le sue intenzioni e, perentoria come sempre, esordisce: «Voglio scrivere movimento puro». Quel che si propone, infatti, non è una stesura coerente, una trama qualsivoglia, bensì il definitivo esorcismo dell’indicibile. Quando compone gli ultimi frammenti, le è stata diagnosticata una malattia mortale, e la morte pervade questo testo, che lei stessa confessava essere stato «scritto nella sofferenza». Olga Borelli, l’amica-assistente che per otto anni le è stata vicina, annotando i suoi pensieri e battendo a macchina i suoi manoscritti, ha affermato che Un soffio di vita doveva essere il suo «libro definitivo», scaturito com’è «da uno slancio doloroso che lei non era in grado di trattenere».


La realtà rappresentata. Antologia della critica sulla forma romanzo 2000-2016,
a cura di Raffaello Palumbo Mosca (Quodlibet 2019)
Roberto Saviano fino a Preghiera per Cernobyl’ del premio Nobel Svjatlana Aleksievič e molti altri – ha rappresentato negli ultimi anni l’occasione di un ripensamento critico profondo della forma-romanzo, tanto nella sua morfologia quanto nelle sue declinazioni particolari. È vero, come afferma Mario Vargas Llosa, che solo il romanzo può darci una «presa diretta e totalizzante dell’essere umano» o ha forse ragione Berardinelli quando parla, denunciandolo, di un genere ormai «più merceologico che letterario»? E quali sono oggi i rapporti tra la rappresentazione romanzesca e una realtà percepita come sempre più complessa, se non sul punto di dissolversi nell’immateriale della mediatizzazione?
Attraverso le pagine di molti fra i contributi critici più interessanti degli ultimi anni, l’antologia permette di comprendere le rappresentazioni romanzesche della realtà, aprendo così anche ad una più articolata comprensione del mondo contemporaneo. I cappelli introduttivi premessi ad ogni brano antologizzato permettono inoltre di contestualizzare e mettere a fuoco i nodi teorici principali della letteratura critica. Il volume si apre con un saggio che analizza la forma-romanzo sia da un punto di vista strutturale – la lingua, la funzione dei personaggi, la componente narrativa – sia dal punto di vista della sua evoluzione storica.
Estratto su ZEST QUI


Le galanti (quasi un’autobiografia),
Filippo Tuena (Il Saggiatore 2019)
La letteratura è un grattacielo nel deserto, un atrio nobiliare abitato da fantasmi, una galleria d’arte con pareti d’alabastro, pellucide, lattescenti, dove file interminabili di quadri ci trafiggono la vista, riempiendo lo spazio di volti e scenografie sfuggenti. A frotte compaiono davanti ai nostri occhi, ci disorientano, ammiccano verso di noi, ci traggono in inganno. È in quel momento, quando incrociamo il loro sguardo, che la galleria si tramuta in una stanza degli specchi: ogni cornice, a ben vedere, raccoglie al suo interno un’immagine di noi, e allora seguiamo il nostro doppio, con la coda dell’occhio lo pediniamo mentre svolta in un caleidoscopio senza fondo. È questo lo scenario allestito da Filippo Tuena nelle Galanti: una Wunderkammer sorprendente di storie, immagini, ricordi, incontri amorosi, le cui stanze hanno ornamenti Rococò, baldacchini ottocenteschi, ceramiche protocorinzie e lampadari Art Nouveau. Chi vi entra può scorgervi il passo agguerrito di Ulisse, gli occhi avvitati al passato di Van Gogh, i fianchi sensuali dell’Ermafrodito. Qui Roma brucia ancora una volta e crollano le alte mura di Troia, l’Italia è invasa dai nazisti e la Medusa di Géricault veleggia verso l’ignoto – mentre lì vicino, a pochi metri di distanza, si consumano feste galanti in cui coppie di giovani amanti si avvinghiano sul talamo del più sfrenato erotismo. Un’opera-mondo, Le galanti, che ha il gusto della storia umana e il sapore dell’introspezione biografica. In queste pagine Filippo Tuena ha convocato tutte le sue muse artistiche, letterarie e pittoriche, da Michelangelo a Velázquez, da Venere alle Sirene omeriche, da Bernini a Stendhal, per raccontare le loro storie e farci scoprire come le ha incontrate; e ha riavvolto i fili di tutti gli amori di una vita: quelli passionali, quelli drammatici e quelli consumati solo nella luce fioca della letteratura. Un viaggio diurno e notturno fatto di narrazioni, ekphrasis raffinate, poesie e riflessioni accumulate nell’arco di una vita intera. Diventate libri, a volte, altre volte invece rimaste in apnea nella ghiacciaia dell’immaginazione, e raccolte tutte qui – mutata veste – nella loro dialogante complessità, a comporre il libro definitivo di un autore magistrale.
Intervista a Filippo Tuena su ZEST QUI


Vintage (o più o meno)

I nuovi limiti dello sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio,
Donella Meadows, Dennis Meadows, Jorgen Randers (Mondadori 2006)
Nel 1972 tre giovani scienziati del celebre MIT di Boston pubblicarono un rapporto destinato a fare epoca. Si intitolava “I limiti dello sviluppo” e nel giro di poco tempo diventò un bestseller assoluto. In quel saggio gli autori, pionieri delle scienze informatiche, gettavano uno sguardo verso il futuro e, grazie a modelli di calcolo computerizzati, riuscivano per la prima volta a mostrare in modo inequivocabile le conseguenze della crescita incontrollata su un pianeta dalle risorse non infinite. Trent’anni dopo, armati di strumenti informatici ben più raffinati e di una mole enorme di dati statistici, quegli stessi autori si sono riuniti per lanciare ancora il loro grido d’allarme. Con uno stile semplice e piano e con rigore scientifico i tre scienziati non possono fare altro che confermare le previsioni di trent’anni fa, e metterci in guardia sui devastanti effetti dell’azione umana sul clima, la qualità delle acque, la biodiversità marina, le foreste e tutte le altre risorse naturali. Prima che sia troppo tardi.

La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile

Amitav Gosh, (Neri Pozza 2017) – Trad. A. Nadotti. N. Gobetti

Nei primi anni del XXI secolo Amitav Ghosh lavorava alla stesura de Il paese delle maree, il romanzo che si svolge nelle Sundarban, l’immenso arcipelago di isole che si stende fra il mare e le pianure del Bengala. Occupandosi della grande foresta di mangrovie che le ricopre, Ghosh scoprì che i mutamenti geologici che ciclicamente vi avvenivano – un argine poteva sparire nell’arco di una notte, trascinando con sé case e persone – stavano diventando qualcos’altro: un cambiamento irreversibile, il segno di un inarrestabile ritrarsi delle linee costiere e di una continua infiltrazione di acque saline su terre coltivate. Che un’intera area sotto il livello del mare come le Sundarban possa essere letteralmente cancellata dalla faccia della terra non è cosa da poco. Mostra che l’impatto accelerato del surriscaldamento globale è giunto ormai a minacciare l’esistenza stessa di numerose zone costiere della terra. La domanda, per Ghosh, nacque perciò spontanea. Come reagisce la cultura e, in modo particolare, la letteratura dinanzi a questo stato di cose? La risposta è contenuta in questo libro in cui l’autore della trilogia della «Ibis» ritorna con efficacia alla scrittura saggistica. La cultura è, per Ghosh, strettamente connessa con il mondo della produzione di merci. Ne induce i desideri, producendo l’immaginario che l’accompagna. Una veloce decappottabile – un prodotto per eccellenza dell’economia basata sui combustibili fossili – non ci attrae perché ne conosciamo minuziosamente la tecnologia, ma perché evoca l’immagine di una strada che guizza in un paesaggio incontaminato; pensiamo alla libertà e al vento nei capelli; a James Dean e Peter Fonda che sfrecciano verso l’orizzonte; a Jack Kerouac e a Vladimir Nabokov. Questa cultura, così intimamente legata alla storia del capitalismo, è stata capace di raccontare guerre e numerose crisi, ma rivela una singolare, irriducibile resistenza ad affrontare il cambiamento climatico. Quando il tema del cambiamento climatico appare, infatti, in una qualche pubblicazione, si tratta quasi sempre di saggistica. La rara e fugace comparsa di questo argomento in narrativa è sufficiente a relegare un romanzo o un racconto nel campo della fantascienza. Che cosa è in gioco in questa resistenza? Un fallimento immaginativo e culturale che sta al cuore della crisi climatica? Un occultamento della realtà nell’arte e nella letteratura contemporanee tale che «questa nostra epoca, così fiera della propria consapevolezza, verrà definita l’epoca della Grande Cecità»?

La speculazione edilizia,
Italo Calvino (Einaudi 1963)
La speculazione edilizia è un romanzo di Italo Calvino, pubblicato nel 1963 nella collana “Coralli” (n. 189) di Einaudi.Si tratta di una storia ambientata in un’ignota località della riviera ligure (indicata nel testo con ***), nella quale Quinto, un giovane intellettuale che lavora in una grande città del Nord, personaggio che Calvino definisce semiautobiografico, fa ritorno. Siamo nel mezzo degli anni ’50, in un’epoca di bassa marea morale e Quinto, in una crisi di pensiero dovuta ai cambiamenti e al malessere sociale e intellettuale da essi causato, si trova a reagire attraverso la repressione delle sue naturali inclinazioni: mettendo in secondo piano il suo impegno intellettuale, si mette in affari, per sentirsi al passo coi tempi; così diventa socio di un impresario di cattiva fama dedito alla speculazione edilizia, collaborando ad ingrigire lo spettacolo paesaggistico della riviera ligure. Questa vicenda è definita dall’autore storia d’un fallimento: Quinto attua un processo di mimesi dello spirito dei tempi corrotti, spinto quasi da un desiderio di fallimento, perché in questo gioco sono sempre i peggiori che vincono. (Fonte wikipedia).

Biliardo alle nove e mezzo,
Heinrich Böll (Mondadori 2017) prima pubblicazione 1959
Biliardo alle nove e mezzo, che si svolge in un’unica giornata, accoglie in sé una serie di flashback a coprire cinquant’anni di eventi. Come la dimora dei Buddenbrook, l’Abbazia di Sant’Antonio svolge qui la funzione di realtà-simbolo: edificata dal vecchio Fähmel, distrutta dal figlio e in procinto di essere riedificata dal nipote, è l’emblema di una vicenda familiare, delle sue traversie, dei suoi dissidi, dell’incomunicabilità fra generazioni diverse, ciascuna delle quali ha un suo personale rapporto con la storia, che prima di tutto è la storia della Germania: difficile, contraddittoria, dolorosa.

Tropismi,
Nathalie Serraute (nonostante edizioni 2016) – Trad. O. Del Buono
«In biologia movimento orientato di un organismo, animale o vegetale, o di una sua parte, determinato dall’azione di uno stimolo esterno (luce, temperatura, umidità, gravità, fattori chimici, ecc.)». Così alla voce Tropismo della Treccani. Se Anthime Armand-Dubois, lo scienziato massone de I sotterranei del Vaticano, pretendeva, «in attesa di affrontare l’uomo, […] di ridurre a “tropismi” tutta l’attività degli animali che osservava», Sarraute è invece proprio il sottosuolo della vita psichica dell’uomo che si prefigge di sondare e scandagliare, in una sorta di spedizione speleologica alla ricerca di quei moti inafferrabili e indefinibili che a suo dire «sono all’origine dei nostri gesti, delle nostre parole, dei sentimenti che manifestiamo», e il cui gioco «costituisce la trama invisibile di tutti i rapporti umani e la sostanza stessa delle nostre vite». Quella a cui Sarraute ci costringe è, come scrive Arnaud Rykner nella postfazione, «una discesa nelle voragini della nostra psiche», consapevoli che «per raggiungere il luogo del tropismo, bisogna scavare in sé, sotto di sé e lasciarsi, per così dire, cadere nel tropismo». Una letteratura verticale dunque che ci conduce al piano soggiacente (quello che Sarraute chiama sotto-conversazione) la superficie placida della chiacchiera quotidiana (Gerede), dove nulla in apparenza sembra accadere, ma sotto la quale invece pulsa e ribolle, per citare ancora Rykner, «la vita stessa, la vita informe, allo stato puro». Ecco che allora il ricorso alla biologia – bacino semantico cui attinge di frequente nei suoi romanzi – assume per Sarraute una valenza più generale, quella cioè di riportare la parola (logos) nel luogo stesso della vita (bíos).

Suggerimenti dei lettori di ZEST:

Imperfezione,
Telmo Plevani, (Raffaello Cortina 2019)

Noi siamo il risultato di una serie di imperfezioni che hanno avuto successo. Il nostro cervello e il nostro genoma, due tra i sistemi più complessi che la natura abbia prodotto, sono pieni di imperfezioni. Sono le strutture imperfette a farci capire in che modo funziona l’evoluzione: non come un ingegnere che ottimizza sistematicamente le proprie invenzioni, ma come un artigiano che fa quel che può con il materiale a disposizione, trasformandolo con fantasia, arrangiandosi e rimaneggiando. Anche la storia naturale che ci ha condotto fin qui è un catalogo di imperfezioni che hanno funzionato, a partire da quella infinitesima deviazione nel vuoto quantistico primordiale da cui è nato l’universo. Il filosofo della scienza ed evoluzionista Telmo Pievani, tra i più affermati scrittori di scienza italiani, ritorna con un saggio sorprendente in cui Lucrezio e la scienza del XXI secolo vanno a braccetto. Ripercorrere la storia dell’imperfezione è importante perché oggi una potentissima specie imperfetta domina il pianeta: dunque, comprereste un’auto usata da Homo sapiens?


La natura geniale. Come e perché le piante cambieranno (e salveranno) il pianeta,
Barbara Mazzolai (Longanesi 2019)
Cosa hanno da insegnarci organismi apparentemente tanto diversi da noi come una quercia, una pianta rampicante o un polpo? Quali dei loro segreti potrebbero aiutarci a costruire un futuro migliore e meno fosco di quello che oggi iniziamo a intravedere? La tecnologia sarà mai in grado di riprodurre la potenza nascosta e pulita del mondo vegetale? La risposta a tutte queste domande è racchiusa nel lavoro pionieristico della donna che ha inventato il primo robot della storia ispirato al mondo delle piante. Perfettamente adattate al loro habitat, le piante rappresentano un’alternativa evolutiva quasi speculare a quella del mondo animale: mentre uomini e animali si sono evoluti privilegiando caratteristiche legate al movimento e alla velocità, il mondo vegetale ha fatto della lentezza l’origine della propria resilienza. Se fino a ieri non avevamo dubbi su quale tra le due fosse la strategia di maggior successo, oggi qualche dubbio c’è, sollevato dalla crisi ecologica globale che abbiamo scatenato. Dal suo eccezionale osservatorio di protagonista della rivoluzione tecnologica in atto Barbara Mazzolai ci conduce, con rigore scientifico e facilità divulgativa, in un’appassionante esplorazione della Natura, tra bizzarri animali, piante dalle capacità misteriose, enigmi naturali che ancora oggi arrovellano gli scienziati. Il suo libro offre spunti e riflessioni illuminanti per capire meglio il presente, e un valido aiuto per iniziare a immaginare il futuro del nostro bel «pianeta azzurro».


Amore,
Hanne Ørstavik (Ponte alle Grazie 2019) – Trad. L. Spagnol
“Amore” racconta la storia di Vibeke e Jon che sono madre e figlio, appena arrivati in un paesino dell’estremo nord. È il giorno prima del compleanno di Jon e un luna park è arrivato in città, Jon esce per vendere i biglietti della lotteria e Vibeke va in biblioteca. Da lì seguiamo i due attraversare una serata e una notte di gelido inverno, mentre una crescente irrequietudine si fa strada. “Amore” dimostra come attraverso il linguaggio ognuno di noi costruisce la propria verità, e come madre e figlio possano vivere ciascuno nel proprio mondo. C’è distanza, non solo tra le persone, ma anche tra ogni persona e sé stessa.


Sogni e favole,
Emanuele Trevi (Ponte alle Grazie 2019)
Roma, 1983. Il Novecento brilla ancora. Emanuele, neppure ventenne, lavora in un cineclub del centro. Una notte, al termine di un film di Tarkovskij, entra in sala e vi trova un uomo solo, in lacrime. È Arturo Patten, statunitense trapiantato a Roma, uno dei più grandi fotografi ritrattisti. Per tutto lo scorcio del secolo, Emanuele ascolterà la lezione del suo amico, Lucignolo e Grillo Parlante assieme, che vive la vita con invidiabile intensità, e grazie a lui incontrerà Cesare Garboli, il «grande critico» cui è qui dedicato uno splendido cammeo, che prima di morire gli affiderà la missione di indagare su Metastasio e sul suo sonetto Sogni, e favole io fingo. «Favole finge» tutta la grande letteratura moderna qui evocata, da Puškin a Pessoa fino ad Amelia Rosselli, somma poetessa italiana del Novecento, che abita nella stessa strada di Arturo e che come lui lascerà la vita per scelta; Emanuele incontrerà più volte quel meteorite umano, sempre in fuga da oscuri e spietati nemici, e con Arturo è lei, e la sua eredità, l’altra protagonista di questo folgorante «libro strano» di Trevi – romanzo autobiografico e divagazione saggistica assieme, sette anni dopo Qualcosa di scritto. Arturo, Amelia, Metastasio guidano lui e noi nel cuore di una Roma piovosa e arcaica, nel cerchio simbolico della depressione e dell’insensatezza, verso l’approdo vitale dell’illusione: se, come scrive Metastasio, le storie inventate suscitano in noi la stessa commozione delle vicende reali, forse di sogni e favole è fatta la vera vita.


Dopo il diluvio,
Leonardo Malaguti (Exorma 2018)
Un paese incastrato in una conca profonda sotto il livello del mare e una pioggia fitta e insistente (un diluvio) che finisce per riempirla fino all’orlo. Il paese è sommerso: c’è qualcosa che ottura la valvola del canale di scolo… Siamo in un luogo senza tempo da qualche parte nel cuore dell’Europa; forse nella prima metà del ’900, così sembrano suggerire alcuni dettagli come il telegramma, la sigaretta, il furgoncino del latte, i caratteri tipografici del passaporto di Lisetska. Allo stesso tempo, sembra di essere entrati in un buio Medioevo dove quel diluvio e la follia che scuote e inebria i personaggi fanno pensare alle storie sulla fine del mondo… Fin dall’inizio il macabro cede il passo al grottesco, a un’abile narrazione in chiave comica dal ritmo incalzante che investe e travolge ogni cosa trasformando la tragedia in farsa: Krauss si suicida tagliandosi le vene con un pennino, il mite Signor Keller si rivela un folle che stupra la giovanissima Nana, l’adultera Lisetska diventa per il Pastore Thulin la strega che ha portato la sciagura sul paese. Personaggi che sembrano usciti dai dipinti di Bruegel e Bosch ma anche Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, divertenti e inquietanti allo stesso tempo.


Alexander Calder. La scoperta della felicità,
Alessandro Zaccuri (Sillabe 2019)
In un secolo drammatico e tormentato come il Novecento, l’opera di Alexander Calder (1898-1976) occupa una posizione del tutto particolare: americano di nascita ma ugualmente a suo agio in Francia, l’artista ci si presenta come il testimone di una felicità possibile, incontrata nella leggerezza dei famosi mobiles e ribadita dalla consistenza dei non meno celebri stabiles. Sono gli estremi di una ricerca nella quale la dimensione artigianale o addirittura ingegneristica viene sempre messa al servizio di una visione libera e giocosa della realtà, toccando maestri come Marcel Duchamp, Jan Arp e Joan Miró, che di Calder fu amico inseparabile. Un’avventura sempre sorprendente, che ha il suo emblema nell’irresistibile Cirque in miniatura.


Due pub, tre poeti e un desiderio,
Franco Buffoni (MarcosyMarcos 2019)
Byron, Wilde e Auden furono poeti e uomini d’azione, grandi narcisisti e personaggi pubblici: presero coraggiose posizioni politiche e civili e le difesero, vennero esaltati, adorati, ma conobbero anche l’esilio e la polvere. Due pub, tre poeti e un desiderioracconta la loro storia come se insieme avessero vissuto una vita sola. Come se fossero stati una sola persona, che fino a trentasei anni è Byron, dai trentasei ai quarantasei è Wilde, dai quarantasei ai sessantasei è Auden. Questioni di gender, vita intima e arte universale, rapporto con la società e le sue leggi in tre vicende umane esemplari, che si snodano dallo ‘scandalo’ londinese dello White Swan alla rivolta di Stonewall.


La gente non esiste
Paolo Zardi (Neo Edizioni 2019)
Anna sussurra una frase: “sotto ogni cuscino c’è un Dio”. Lo dice senza un motivo apparente, quasi sovrappensiero, prima di lasciare una sua amica. È una considerazione tanto vasta quanto intima. L’improvvisa consapevolezza che dietro ogni cosa ci sia una sorta di grazia, come un nucleo primigenio, nascosto e inafferrabile. Ognuno dei racconti qui raccolti sembra una tappa verso questo svelamento; i personaggi, protagonisti inconsapevoli di questa ricerca squisitamente terrena e laica. Una voce si muove tra ombrelloni e corpi distesi al sole, ne coglie il chiacchiericcio ingombrante, i movimenti imperscrutabili. Coinquilini di un condominio si cercano come fossero l’ultimo avamposto di un’umanità che scompare. Un uomo riceve mail da una misteriosa ragazza russa e decide di credere all’amore più finto che possa esistere. Due fratelli scoprono nella vecchiaia della madre un segreto capace di cambiare le loro vite.Significati da dare a attimi o a intere esistenze che Paolo Zardi racconta con una levità apparente per poi fare affondi che toccano il cuore e aprono la mente. La sua scrittura indaga un tempo sempre più confuso, in cui il passato stenta a resistere mentre il presente si carica di indizi paradossali, a volte raggelanti. La gente non esiste dice l’autore. Esistono gli uomini, i loro insopprimibili desideri, le speranze insondabili, le misteriose direzioni che tessono ogni vita.


L’ultima bambina d’Europa
Francesco Aloe (Alter Ego Edizioni 2019)
Un terribile quanto improvviso cambiamento climatico ha reso invivibile la maggior parte delle terre emerse. Il freddo e la neve hanno preso il sopravvento in tutta l’Europa e i pochi esseri umani rimasti, per lo più uomini adulti, lottano per la sopravvivenza, tra insidie ambientali e pattuglie militari senza scrupoli intenzionate a evitare l’emigrazione di massa verso l’Africa, un continente lontano ma che sembra immune alla dilagante disgrazia. Con un vero e proprio omaggio letterario allo straordinario La strada di Cormac McCarthy, Francesco Aloe immagina il cammino di una famiglia su una via lunga e rischiosa. La strada in questo romanzo è percorsa da un uomo, una donna incinta e una bambina. A unirli e tenerli in vita non sono solo il poco cibo e qualche coperta ma soprattutto il desiderio profondo di raggiungere incolumi la terra “dove ancora vivono gli uccelli” e ricominciare, da lì, un nuovo futuro, lontano dalle violenze e dalle atrocità a cui hanno assistito durante il loro lungo viaggio.

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Suggerimenti di lettura della Redazione di ZEST e dei lettori

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