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PASSEGGIATA SOTTO GLI ALBERI
Philippe Jaccottet
Marcos Y Marcos 2021

Che il poeta sia un albero coperto di parole più o meno profumate non è un’immagine molto giusta, poiché le sue parole cambiano e non è possibile prevederle; è comunque vero che arriva un giorno in cui sembra disfarsi proprio come l’albero, e marcire. Ma non senza prima aver tentato tutto il possibile per far sì che ciò che cade non sia altro che un abito superfluo, l’uniforme del suo servizio terrestre, affinché non si riduca tutto a quelle spoglie.

di Fabrizio  Piazza


In silenzio, come usa tra persone discrete al limite dell’invisibilità, se ne sono andati a distanza di un mese l’uno dall’altro due grandi poeti europei, due voci limpide nel vuoto fragore del mondo: il polacco Adam Zagajewski e lo svizzero di lingua francese Philippe Jaccottet. Entrambi candidati al Nobel, ma letti pochissimo, se non da una ristretta cerchia di rabdomanti. Eppure ai poeti dovremmo dar retta, concedere loro un ascolto lento e profondo, e non frequentarli soltanto quando cerchiamo la frase giusta per un tweet o un’efficace didascalia alla nostra ultima immagine di Instagram. Lungi dal voler analizzare la poetica di questi due straordinari sebbene appartati testimoni del nostro tempo, vorrei qui soffermarmi sull’attenzione, sul respiro, sull’imperduto (per riprendere il termine usato da Anne Carson nel suo bellissimo saggio sull’ispirazione poetica, edito da Utopia), sulle parole che restano quando l’inessenziale scompare. I versi dei poeti, di quelli con la P maiuscola, sono messaggi in bottiglia che ci vengono recapitati dal passato, arrivano a noi in forme e modi misteriosi, attraverso strade che portano dall’immaginazione al pensiero alla pagina scritta.

Così è per questa inattesa Passeggiata sotto gli alberi di Jaccottet, apparsa per la prima volta nel 1957 quando il poeta era poco più che trentenne, e tradotta adesso da Cristian Rossatti per Marcos y Marcos. Non si tratta di un testo poetico, ma di prose comunque molto vicine alla poesia in quanto a vigore metaforico e slancio dell’immagine. Nella prefazione, Fabio Pusterla lo definisce un libro “stupefacente e bellissimo”. Si inscrive a pieno titolo in quella affascinante letteratura del vagabondare, del cercare, del procedere per tentativi, per approssimazioni, spesso e volentieri immersi nella natura, tra campagna e montagne soprattutto, nel paesaggio poco antropizzato, nei residui, nelle riserve. Rousseau, Thoreau, Walser, per fare solo tre nomi.

Attraverso quali vie arriva Jaccottet al centro della realtà? Anzitutto volgendosi alle sorgenti temporali della poesia, alle statue egizie e sumere, alle epopee assire e babilonesi. A Omero (di cui tradusse l’Odissea) e in anni più recenti ad Hölderlin e al poeta irlandese George William Russell. Di quest’ultimo in particolare Jaccottet condivide il percorso, almeno fino a quando esso non prende la strada del misticismo, del soprannaturale, del ‘superiore’. Quanto a me, – scrive Jaccottet – mi era sembrato di vedere il segreto nella terra, la chiave tra le erbe. Senza dubbio ciò che ci attende alla fine non può essere concepito; tuttavia mi sembrava necessario avanzare nella direzione dell’inconcepibile (che ci affascina come ogni abisso) attraverso lo spessore del Visibile nel mondo delle contraddizioni, con modalità e sentimenti ambigui, in particolare mescolando amore e distacco, accanimento e negligenza, ambizione e ironia. Un cammino in punta di piedi, senza far prevalere l’io sulle cose, divenendo così un vero e proprio servitore del Visibile. La voce di Jaccottet non è un grido ma un mormorio, una confidenza che può facilmente essere scambiata per il vento tra gli alberi. E dunque vorrei solo che queste parole scambiate sotto gli alberi non ci facessero più ombra di loro.

Protagonisti di queste prose non sono persone, ma la luce e le ombre del nostro passaggio sul mondo. È un libro che dopo la prima lettura ne richiede subito un’altra, e un’altra ancora, come per un viandante che torna sui propri passi per rivedere una foglia dalla forma inusitata o una traccia nascosta nel sentiero. Prendete questo brano: Ci sono delle persone che respirano agevolmente solo alle soglie dell’infinito; io prediligo piuttosto quegli spazi che le montagne definiscono ma non imprigionano, come a qualcuno può piacere il muro del proprio giardino tanto perché suscita l’estraneità di un altrove quanto perché delimita il suo sguardo; quando si osservano le montagne, c’è sempre in noi, in modo più o meno forte e più o meno cosciente, l’idea di valico, di passaggio, l’attrazione di quello che non abbiamo visto…. Questa Passeggiata sotto gli alberi ci conduce per mano nei pressi dell’imperduto, di ciò che resta quando si fa buio, e della luce che si intravede anche alla fine della strada. Per Jaccottet, scomparso a 95 anni lo scorso 24 febbraio, anche la morte era un ostacolo necessario all’esplodere della vita e della sua bellezza.


Fabrizio Piazza si avvia svogliatamente verso i 50 anni. Per un po’ di tempo ha fatto il giornalista, adesso fa il libraio a Palermo. Dopo, non sa.
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Passeggiata sotto gli alberi – Philippe Jaccottet

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