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TEODORA MASTROTOTARO, “LEGATI I MAIALI” (Saya Edizioni, 2020)

La fissità di una porta rotta
dove avrò da bere.
La nostra razza non resta nelle case
ma in porcili di saliva.
Necrologi senza storia.
In ogni scatola partorisce una madre
interrotta nel rovescio della carne.
Il mio destino è avere fame.
Dove tu coli, madre, non c’è stagione da salvare.
Ingozziamoci di latte per ritornare belli!
Colostro al fianco destro e a sinistra
la famiglia è incatenata.
Il cordone ombelicale rimasto impigliato
tra il pane e la morsa, alla luce la merda
diventa una rosa – simile la forma.

Al capezzale del tuo seno la notte si volge agli steli.
Venite sintesi di cadaveri, venite. Senza bambini
o neonati, venite. Qui ci vendono oltre l’amore
e oltre l’amore le carni e morire.

*

Madre, non ho il permesso per le stagioni:
devo crepare in assenza di stelle, in assenza di sole.
Nella trappola la verità di un fiore tagliato mi meraviglia
la sua crudeltà: siamo orfani da quando siamo stati partoriti
Madre, andrò a dormire senza invecchiare, senza avere armi,
senza leccare la neve se mai arriverà.
Madre che infliggi la vita, guardami!
Non piango più, ormai ci somigliamo.

*

Sottratta alla maternità
sono corpo morto che cade senza figli,
senza fili a cucirmi il cuore che resiste
nell’attesa della morte.
Sopravvivo al denudarmi del mio sangue
finché mi rendi spoglia dei miei figli.
Amami, mio amore, quando ancora ti sentivo
nel vagito del tuo primo pascolo
all’aria chiusa del mio ventre.

Madre tu che insegui il mio cadavere in prigione
portami del latte – che io ne senta l’odore –
perché mi fanno cieco – ed è giusto che tu sappia –
che ogni tuo vitello è diventato un necrologio
scritto sulla pietra ancora prima di morire.

*

Siamo Mucche a terra,
mendicanti della nostra stessa carne.
Bestia che cade non riposa.
Con il trattore mi sollevi insieme all’erba nera
dove ho cacato immobile.
Sono il punto di partenza delle mosche.
Madre dalle mammelle che puzzano, dai capezzoli sporchi,
dal latte finito e dal figlio morto senza essere ammazzato.
China su di me rinnego il cielo e mangio la terra.
Divento la tua preda senza che tu possa turbarti
col sorriso che ti pende sottovoce.
Corpo senza bara scaricato come scarto
dentro al camion: scompaio.

*

Ancora cosciente mi rivolti vivo nella vasca,
l’acqua bollente rende tenera la morte.
Un paio di minuti è il tempo che ci vuole
per far puzzare il cielo.
Il porco dopo di me non sa nuotare,
gli basterà un secondo per farsi trasformare
nel bianco del carcame scolorito.
Un braccio meccanico mi spinge giù in fondo
nel mare sospeso di rosso.
Il porco ha gli occhi fissi su di me che fremo,
mi opprimo, continuo a calare.
Quando l’inferno non ti brucia più ne fai parte
o non esisti.

*

Lo storditore punta la pistola
all’altezza della macchia a forma di stella
sulla fronte del cavallo in fila.
L’occhio che schizza dalla cavità orbitale
lascia una scia luminosa di plasma
visibile per pochi secondi.
La stella è diventata una cometa.
Lo storditore esprime un desiderio
ammirando quel corpo celeste morente
che attraversa un pezzo di cielo.

*

Gli occhi dei deportati sono l’unica zona
visibile attraverso le lastre del carro bestiame.
Il cielo si fa strada dove trema il sole
tra quei volti tanto densi da sprofondare
l’ultimo spazio.
Sul retro Trasporto Animali Vivi,
i fanali anteriori tendono al cancello di entrata,
i maiali stipati spingono il muso che penetra il culo
di un compagno, il culo appesta l’aria per la paura.

Il cielo è di un rosso sventrato.
Gli animali scendono nella zona di scarico del mattatoio,
l’ultimo annusa l’aria che puzza di carne,
riconosce l’odore di chi lo aveva stuprato.

*

Quando scarichiamo la carne in macelleria
la sequela delle carcasse sembra un corteo funebre.
La pausa tra la carne e il mondo si è ridotta
e tra il cielo e la macelleria c’è un punto di svolta.
L’operaio più robusto trasporta sulle spalle
la carcassa più pesante come un cristo
crocifisso durante una via crucis rovesciata.
Esposti i corpi nel banco frigo:
Bollo Sanitario, Peso Netto, Specie, Taglio, Lotto.

Nessun animale che sia degno di lutto.

*

Alcuni maiali arrivano congelati
per aver viaggiato vicino alle pareti del carro bestiame.
La realtà dell’inverno è nella durezza dei pezzi di pelle
rimasti attaccati alle pareti di metallo quando
legati i maiali vengono strappati con forza e portati fuori.
Gli operai li gettano sulla pila dei morti, tanto moriranno
prima o poi, con la stagione del freddo.

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Teodora Mastrototaro, nata a Trani nel 1979. Vive a Roma. 

Ha pubblicato Afona del tuo nome (La Vallisa, 2009), tradotta dal poeta americano Jack Hirschman con il titolo Can’t voice your name (CC. Marimbo,2010), e Legati i maiali (Marco Saya, 2020), finalista al Premio Arcipelago Itaca – sezione Raccolte Inedite, Vince il Premio Speciale del Presidente di Giuria al concorso Bologna In Lettere 2021.

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Immagine in copertina: Lovis Corinth, Public domain, via Wikimedia Commons

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Ecopoesia: Legati i maiali, Teodora Mastrototaro

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