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Herman Hesse su Dostoevskij - 

Blick ins ChaosBlick ins Chaos (1920)
Uno sguardo sul caos
Hermann Hesse

Blick in Chaos (1920) è una breve collezione di tre saggi di Herman Hesse, due dei quali su Dostoevskij, e per la precisione "Die Brüder Karamasow oder Der Untergang Europas" (I Fratelli Karamasov e il declino dell'Europa); "Gedanken uber Dostojewskis Idiot" (Riflessioni su L'idiota di Dostoevskij) di cui vi offriamo una traduzione inedita; e uno sulla poesia tedesca moderna"Gespräch über die Neutöner" (Discordo sui nuovi suoni)


introduzione di Andrea Zandomeneghi

Questo agile saggio di Hesse su L’idiota fu pubblicato per la prima volta a Berna nel 1920 all’interno della raccolta di scritti Blick ins Chaos. Il testo in questione non è mai stato tradotto in italiano ed è per questo che sono particolarmente felice di proporlo ai lettori di Zest. Hesse parte – e come potrebbe non farlo? – dal tradizionale parallelismo tra Cristo e Myškin che però gli pare abbastanza poco fondato, i tratti comuni infatti si limiterebbero «alla purezza timida e morbosa. La paura segreta del sesso e della procreazione» e alla solitudine che vede esemplificata in due scene (di grande potenza): Cristo nel Getsemani che si rivolge ai compagni dormienti e Myškin alla Dacia di Lebedyev con gli Epančin e i nichilisti. L’idiota è solo perché «ha pensieri diversi dal resto del mondo», perché «vede e offre una nuova realtà, così diventa un nemico», perché «intrattiene rapporti stretti e oscuri con l’inconscio», perché «torna all’inconscio e al caos disturbando qualsiasi sistema umano di ordine».

Nel frammento Gesù. Dostoevskij Nietzsche scrive: «Io conosco un solo psicologo che abbia vissuto nel mondo in cui il cristianesimo è possibile, in cui un Cristo poteva nascere alla vita. Dostoevskij. Egli ha indovinato Cristo». Ne L’anticristo aggiunge: «Quello strano mondo malato in cui in cui ci introducono i vangeli – un mondo che sembra uscito da un romanzo russo, in cui i rifiuti della società, le malattie nervose e “un’infantile” idiozia paiono essersi dati convegno […] Ci sarebbe da rammaricarsi che non sia vissuto un Dostoevskij nelle immediate vicinanze di questo interessantissimo décadent, un uomo, intendo dire, che sapesse appunto avvertire il trascinante fascino di una siffatta mescolanza di sublimità, malattia e infantilismo».

 


RIFLESSIONI SU L’IDIOTA di Dostoevskij
HERMANN HESSE

(la traduzione dal tedesco e dalla versione inglese (reperibile on line al link) è a cura della redazione di ZEST Letteratura sostenibile).

L’Idiota di Dostoevskij, il principe Lyov Myškin, è stato spesso paragonato a Cristo. Sicuramente un tale confronto è possibile, in quanto è possibile paragonare al Salvatore qualsiasi uomo che metta a nudo una verità magica, che non scinda più il pensiero dalla vita e che, per questo motivo, viva una vita di solitudine circondato da persone ostili. Da quel punto vista sembra non esserci una grande similitudine tra Myškin e Gesù. Solo un tratto del carattere di Myškin, tuttavia un tratto importante, mi sembra simile a quello di Cristo. Alludo alla sua purezza timida e morbosa. La paura segreta del sesso e della procreazione è una caratteristica con cui bisogna fare i conti nel messaggio di Cristo in quanto assume un ruolo ben distinto nella sua missione mondiale. Persino il ritratto superficiale di Gesù, realizzato da Renan, non sottovaluta completamente questa caratteristica.

Tuttavia è curioso (sebbene poco condivida il confronto costante tra Myškin e Cristo) il fatto che anche io veda i due mescolarsi in qualche strano modo. Mi è accaduto solo recentemente e in relazione a un punto di poca importanza comparativa: un giorno, mentre riflettevo sull’Idiota, mi sono reso conto che il mio primo pensiero su di lui era sempre un pensiero apparentemente secondario. In un primo momento, nella mia immaginazione, lo vedo sempre in una determinata scena minore, in sé non particolarmente significativa. E lo stesso accade con Cristo: quando qualsiasi associazione mi suggerisce una presentazione di Gesù o quando la parola di Cristo incontra il mio orecchio o il mio occhio, io non Lo immagino mai sulla Croce o nel deserto o come colui che fa miracoli o come colui che riscatta la morte. Io Lo vedo in quel momento, quando beve fino in fondo il calice della solitudine nel Giardino dei Getsemani, quando il Suo spirito è straziato dall’agonia della morte attraverso la quale Egli deve passare alla Sua resurrezione e come, in un ultimo movimento di ricerca ingenua di conforto, si rivolge ai Suoi discepoli. Egli si rivolge a loro per un po’ di calore umano, per una fugace illusione di affetto nel bel mezzo della Sua amara solitudine. Si rivolge a loro e i discepoli sono addormentati. Là si trovano il mirabile Pietro e bel Giovanni; tutti dormono, quegli uomini rispettabili, per i quali Cristo, nella Sua bontà, ha più volte provato disappunto. Egli ha condiviso con loro i Suoi pensieri come se loro comprendessero le Sue parole, come se fosse effettivamente possibile comunicare i Suoi pensieri a persone come loro, far crescere in loro qualcosa simile a una sensazione di parentela, qualcosa simile alla comprensione, alla relazione, all’identità con Lui stesso. Ed ora, nel momento di tormento insostenibile, Egli si rivolge a quei pochi amici che ha. È così completamente umano, così completamente solo, così completamente l’Uomo della Sofferenza, che si rivolge a loro come mai prima per trovare una minima consolazione, un minimo supporto in qualsiasi parola insulsa possano pronunciare, persino in un gesto amichevole. Ma no, loro non ci sono: loro stanno dormendo, stanno russando.

Questo momento crudele, in che modo non so dirlo, si inaridiva nella mia mente in giovane età ed ora, quando penso a Gesù, riaffiora continuamente.

Il parallelismo con Myškin è questo: quando penso a L’Idiota un momento apparentemente insignificante irrompe in me nello stesso modo. Anche in quel caso il momento è quello di un’incredibile isolamento, di una tragica solitudine. La scena che ho in mente è quella di quella sera a Paslovsk, nella dimora dei Lebedyev, quando, qualche giorno dopo il suo attacco epilettico, il principe convalescente riceve la visita di tutta la famiglia Epančin. All’interno di questa società serena ed elegante, nonostante le tensioni e il fervore che si celano dietro di essa, si fa strada improvvisamente un gruppo di giovani rivoluzionari e nichilisti. L’infelice giovane Ippolit con il presunto "Figlio di Pavliscev," il "Pugile " e un altro individuo fanno la loro apparizione. Poi arriva quella scena sgradevole e repellente, una scena che si legge, contemporaneamente, con eccitamento e disgusto. Questi giovani superficiali e ingannevoli stanno sul palcoscenico mettendo a nudo la loro malignità senza via d’uscita. Ogni loro singola parola infligge una doppia pena a Myškin, la pena del loro effetto su di lui e la pena causata dalla rivelazione delle loro stesse anime attraverso ogni parola che pronunciano. Questa scena strana e indimenticabile, sebbene in sé non particolarmente importante, è quella a cui mi riferisco. Da un lato un gruppo di persone eleganti, persone del mondo, ricche, potenti e conservatrici. Dall’altro i violenti e giovani anarchici, inesorabili nella loro ostilità, preoccupati solo di gratificare loro stessi a dispetto di tutto ciò che esiste, senza considerare nessuno e, nonostante la loro retorica ostentazione di intellettualità, primitivi, stolti e di nessun valore. Tra queste due parti, il principe è solo, esposto al fervore di entrambi e visto con diffidenza da entrambi. E come si conclude il momento? Myškin, nonostante piccoli errori dovuti alla sua agitazione, rivela la sua natura dolce, tenera e infantile. Accetta, sorridente, l’affronto e l’insulto, risponde nel modo più sfrontato con un altruismo simile a quello di Cristo; è pronto ad accettare tutta la responsabilità, a farsi carico di tutto il biasimo, in modo tale da sostenere tutto il peso dell’odio, della disapprovazione e del disprezzo di entrambe le parti, non solo di una o dell’altra, ma di entrambe. Tutto si allontana da lui, perché egli ha pestato i piedi a tutti. Ancora un momento e gli antagonisti sociali più estremi, le differenze di età e di opinioni vengono eliminate. Tutti sono completamente uniti in un risentimento comune contro un unico individuo corretto tra loro.

A cosa punta l’irrealizzabilità di un individuo come L’Idiota in questo mondo? Perché nessuno comprende quest’uomo che quasi tutti, in un modo o in altro, amano, e la cui tenerezza è così piacevole tanto da condurre a una sorta di trasfigurazione? Cosa separa questa creatura magica dall’uomo ordinario? Perché hanno ragione ad allontanarsi da lui? Perché lo devono fare? Perché lui deve essere come Cristo che fu abbandonato non solo dal mondo, ma anche dai Suoi discepoli?

Il motivo è che L’Idiota ha pensieri diversi dal resto del mondo. Non è perché le sue riflessioni siano meno logiche o siano più infantili di quelle degli altri. Il suo pensiero è quello che io definisco “magico”. Questo Idiota compassionevole rifiuta l’intera Vita, tutti i pensieri e le emozioni, tutto ciò che il mondo e la realtà significano per gli altri. Per lui la Realtà è qualcosa di completamente differente rispetto a ciò che è per gli altri. La loro Realtà, per lui, è un’ombra: per questo motivo, proprio perché egli vede e offre una nuova Realtà, diventa un nemico.

La differenza non sta nel fatto che loro tengano altamente in considerazione valori come potere e benessere, famiglia e stato, e che lui, al contrario, non lo faccia. Non è che egli rappresenti lo Spirito, mentre loro rappresentano il Materiale, o in qualsiasi altro modo lo si voglia chiamare. Questo non è il motivo. Anche per L’Idiota “materiale” riguarda la materia, ed egli riconosce costantemente il significato di tali cose anche se non le considera di primaria importanza. Il suo vangelo non è un ideale ascetico-indiano, un uomo in punto di morte verso un mondo di realtà apparente per fare la gioia dell’anima immortale che da sola conoscerà la Verità.

No, Myškin arriverà prontamente ad un’intesa con altre persone riguardo le richieste reciproche della Natura e dello spirto e la necessità di lavorare insieme.

È semplicemente questo: mentre la contemporaneità e lo stesso valore che hanno i due mondi è per loro un concetto intellettuale, per lui tali considerazioni rappresentano la Vita e la Realtà.

Non è chiaro. Cerchiamo di fare luce sulla questione.

Myškin è diverso dagli altri perché, in quanto Idiota ed epilettico, è, allo stesso tempo, un uomo straordinariamente intelligente e ha relazioni più strette e meno oscure con l’Inconscio. Ha avuto rari momenti di percezione intuitiva, secondi occasionali di esaltazione trascendente. Per un momento brevissimo egli ha provato l’essere di tutti, i sentimenti di tutti, la sofferenza di tutti e la comprensione di tutti. Ha conosciuto tutto ciò che si trova nel mondo. Questo è il fulcro del suo essere magico. Egli non ha studiato e non è stato dotato di saggezza mistica, tanto meno ha mai aspirato a questa. Egli ha semplicemente vissuto la cosa in sé. Non ha mai avuto soltanto pensieri e idee importanti e occasionali. Egli è stato effettivamente, una volta e più di una volta, in una terra di confine magica, dove tutto è confermato, dove non solo il pensiero più remoto è vero, ma anche il contrario di tale pensiero.

Quella è la parte terrificante, ovvero la parte di lui giustamente terrorizzata. Egli non si trova completamente solo, non tutto il mondo è contro di lui. Ci sono alcune persone, persone molto scettiche, rischiose e pericolose che hanno una stretta relazione con lui: Rogožin e Nastasia. Myškin è compreso da criminali e irosi; lui, l’innocente, il bambino sensibile. Tuttavia questo bambino non è così tenero come sembra: la sua innocenza non è così innocua e gli uomini hanno giustamente soggezione di lui.

Come ho detto, l’Idiota è, di tanto in tanto, vicino a quella terra di confine dove ogni pensiero e il suo opposto sono ugualmente veri. Ovvero, egli ha una percezione intuitiva secondo la quale non esiste alcun pensiero, alcuna legge, alcuna forma che sia vera e giusta ad eccezione di un polo, ed ogni polo ha il proprio opposto. L’ubicazione di un polo, in altre parole la posizione da cui osservare e ordinare il mondo, è il primo passo nella costituzione di ogni forma di cultura, di ogni società e moralità. Chiunque pensi, anche solo per un momento, che Spirito e Natura, Spirito e Libertà, Bene e Male siano intercambiabili, è il peggior nemico di ogni ordine di civilizzazione, perché è lì che inizia il contrario dell’Ordine, è lì che inizia il Caos.

Una linea di pensiero che torna all’Inconscio, al Caos, disturba qualsiasi sistema umano di ordine. In merito all’Idiota, una volta fu detto che era deplorevole il fatto che egli non dicesse più solo la verità. Così è stato. La Verità è tutto. È possibile dire “Sì” a ogni cosa, ma, per dare un ordine al mondo, per raggiungere risultati materiali, per rendere possibile la Legge, la Società, l’Organizzazione, la Cultura e la Moralità, il No deve seguire il Sì. Il mondo deve essere polarizzato, deve essere diviso al suo interno in Bene e Male. È necessario stabilire ogni No, ogni cosa proibita, ogni perfidia in base a un principio sufficientemente solido per fare sì che si accetti la legge; e non appena tale legge entra in vigore, non appena diventa la base di un nuovo modo di vedere le cose, di un nuovo ordine, essa diventa allo stesso modo assoluta e sacra.

La massima Realtà nel senso di cultura umana è la divisione del Mondo in Luce e Oscurità, Bene e Male, Consentito e Proibito. La massima Realtà per Myškin è l’esperienza magica di una reversibilità di tutte le forme istituzionali, dell’esistenza di un equivalente negativo di tutti i valori morali. Infine, l’Idiota introduce l’affermazione originale di Inconscio e rappresenta colui che fa esplodere la Civilizzazione. Non rompe le Tavole della Legge, le gira semplicemente e mostra che il loro contrario è scritto sull’altro lato.

Questo è il segreto di questo libro terrificante che rappresenta il nemico dell’Ordine; questo spaventoso distruttore non appare come un malfattore, ma come una creatura affascinante e timida piena di grazia infantile, piena di bontà cordiale e altruista. Quando ha dato vita a quest’uomo ammalato di epilessia, Dostoevskij si è basato sulla profondità della sua immaginazione. Tutti i segni premonitori di Dostoevskij riguardo un nuovo futuro terribile e sinistro, tutti i suoi presagi riguardanti il Caos sono enigmatici e sono aggravati da pena e malattia. Rogožin, Nastasia, i quattro Karamazov, tutti sono rappresentati come esseri strani ed eccezionali, ma in qualche modo il loro aspetto misterioso, e al contempo spaventoso, e il loro avvilimento ispirano quel tipo di venerazione impressionata che gli Asiatici provano per i dementi. La cosa straordinaria e particolare non è che un epilettico di genio tra i cinquanta e i sessant’anni abbia tali fantasie e crei un poema epico che narra di esse. La cosa significativa, l’infausta considerazione, è che, durante tre decenni, la gioventù d’Europa ha accettato sempre più questi libri come pieni di attrazione profetica. Un’altra cosa strana è che noi guardiamo in faccia questi criminali, questi irosi e questi idioti di Dostoevskij in modo piuttosto differente dal modo in cui ci rivolgiamo ai criminali e agli idioti in altri romanzi, anche in quelli per i quali nutriamo un grande affetto. È strano e straordinario comprendere che in qualche modo curioso amiamo queste cattive persone, che ci deve essere in noi qualcosa di simile a loro, qualcosa che è come loro.

Ciò non accade per caso e, ancora meno, ha qualcosa a che fare con l’ovvio e il letterario nell’opera di Dostoevskij. Disorientare è certamente una delle sue caratteristiche (consideriamo solo il modo in cui egli porta un individuo avanti verso una psicologia dell’Inconscio costruita in modo solido) e non siamo sorpresi del fatto che la sua opera non sia né l’espressione finale di una conoscenza interiore altamente sviluppata né la sua artistica interpretazione di un mondo quotidiano con il quale noi abbiamo totale familiarità. Cosa effettivamente ci impressiona è la portata profetica, il suo preannunciare una disgregazione e un Caos in cui, in questi ultimi anni, abbiamo visto ovviamente piombare l’Europa. Non è come se questo mondo di Dostoevskij fosse una figura del futuro in senso ideale. Nessuno lo accetterà come tale. No, non dobbiamo pensare che Myškin e il resto dei personaggi ci forniscano una prefigurazione nel senso di “Questo è ciò che devi diventare”. È qualcosa di diverso, ma completamente significativo: “Noi dobbiamo superarlo. Questo è il nostro Destino”.

Il futuro è incerto, ma la strada che egli ci mostra può avere solo un unico significato, ovvero una nuova dispensa spirituale che ci porta oltre Myškin, che punta verso un pensiero magico, verso l’accettazione del Caos, verso il ritorno all’anarchia, all’inconscio, alla assenza di forme, all’animale, indietro oltre l’animale, indietro all’origine di ogni cosa. Non per rimanerci, non per diventare un animale o una materia primordiale, ma per iniziare in una nuova direzione, per scoprire nuove fonti di sviluppo e per agire in profondità fino alle radici del nostro essere al fine di raggiungere una più elevata e nobile creazione, valutazione e divisione del mondo. Nessun programma può insegnarci come trovare la strada, nessuna rivoluzione abbatterà i muri che potremo passare. Ognuno deve arrivarci da solo, ognuno per se stesso. Ognuno di noi deve, in un certo momento della sua vita, trovarsi sul limite della terra di confine nello stesso punto in cui si è trovato Myškin, dove le verità cessano e ne iniziano di nuove. Ognuno di noi deve per una volta, per un momento nella sua vita, provare qualcosa di ciò che Myškin ha provato durante quei suoi brevissimi secondi, di ciò che Dostoevskij stesso ha provato in quel momento, quando stava in piedi di fronte alla sua condanna e, con visione profetica, ha proseguito per la sua strada.

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Riflessioni su “L’idiota” di Dostoevskij nella raccolta di saggi “Blick ins chaos” di Herman Hesse – traduzione

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