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Stickeen. Storia di un cane di John Muir
La Vita Felice, 2022
a cura di Saverio Bafaro e Massimo D’Arcangelo


Il 29 agosto del 1880, Muir e un cagnolino di nome Stickeen, si avventurarono nell’impervio paesaggio ancestrale dell’Alaska sudorientale; da lì a poco ebbe inizio quello che Muir definì

« il più memorabile dei miei giorni nella natura selvaggia ».


Illustrazione di Matilde Masoni.Stickeen. A Brave Dog (2022)

per gentile concessione de La Vita Felice, pubblichiamo un estratto dal libro

Dopo aver esplorato i fiordi Sumdum e Tahkoo e i loro ghiacciai, navigammo attraverso il Passaggio di Stephen, nel Canale di Lynn, e da lì, attraverso Icy Strait, fino a Cross Sound, alla ricerca di insenature inesplorate che conducono alle grandi fonti dei campi di ghiaccio della Fairweather Range. Qui, mentre la corrente era a nostro favore, ci accompagnò una flotta di iceberg alla deriva verso l’oceano da Glacier Bay. Lentamente remammo intorno al Vancouver Point, Wimbledon, dove la nostra fragile canoa si agitò come una piuma sulle enormi onde che si sollevavano oltre Capo Spencer. Per miglia il suono si rifrangeva sulle ripide scogliere murali che, sferzate dagli spruzzi delle onde e con le loro cime nascoste dalle nuvole, apparivano terribilmente minacciose e severe. Se la nostra canoa fosse stata schiacciata o rovesciata, non saremmo potuti approdare fin lì, in quanto le scogliere, alte come quelle dello Yosemite, scendevano a picco nell’acqua profonda. Scrutammo impazienti la parete sul lato nord, in cerca del primo segno di apertura di un fiordo o di un porto, tutti ansiosi eccetto Stickeen, che sonnecchiava in pace o guardava trasognante gli spaventosi precipizi mentre ne parlavamo. Alla fine facemmo la felice scoperta dell’apertura di un’insenatura ora chiamata “Taylor Bay”, e verso le cinque ne raggiungemmo l’imbocco e ci accampammo in un boschetto di abeti vicino alla facciata di un grande ghiacciaio.

Mentre si costruiva l’accampamento, Joe il cacciatore scalò la parete della montagna sul lato est del fiordo, alla ricerca di capre selvatiche, mentre il signor Young ed io andammo sul ghiacciaio. Scoprimmo che era separato dalle acque dell’insenatura da una morena bagnata dalle maree, e che si estendeva, come una barriera improvvisa, per tutto il percorso da parete a parete dell’insenatura, per una distanza di circa tre miglia. Ma la scoperta più interessante fu che era avanzato di recente, anche se di nuovo in leggera ritirata. Una parte terminale della morena era stata dissodata e spinta in avanti, sradicando e travolgendo i boschi sul lato est. Molti degli alberi erano caduti e sepolti, o quasi, altri si stavano inclinando dalle scogliere di ghiaccio, pronti a cadere, e altri ancora stavano in piedi, con l’aratro1 affondato sotto le radici e le irte guglie di cristallo imponenti sopra le loro cime. Lo spettacolo creato da quegli alberi secolari, posti vicino una parete di ghiaccio fitta di guglia, con i rami che quasi la toccavano, era davvero insolito e sorprendente. E quando mi arrampicai sulla facciata, e un po’ più in alto verso il lato ovest del ghiacciaio, scoprii che si era ingrossato ed era aumentato in altezza e larghezza, in seguito alla sua avanzata, e aveva trascinato sulla sua sponda le file esterne degli alberi.

Tornando all’accampamento, dopo queste prime osservazioni, programmai un’escursione in lungo e in largo per l’indomani. Mi svegliai presto, richiamato non solo dal ghiacciaio, che mi era rimasto in testa tutta la notte, ma da una grande alluvione. Il vento soffiava una burrasca da nord e la pioggia volava con le nuvole in un ampio e perseverante diluvio orizzontale, come se stesse passando sopra la terra invece di caderci. I maggiori torrenti perenni rimbombavano forte sopra le loro sponde, e centinaia di nuovi, ruggenti come il mare, quasi ricoprivano le alte pareti grigie dell’insenatura con bianche cascate e cateratte. Prima di partire mi venne voglia di una tazza di caffè e di mangiare qualcosa per colazione, ma quando udii la tempesta e guardai fuori, mi sbrigai a unirmi a essa; perché molte delle cose più belle da apprendere dalla Natura sono da cercare nelle sue tempeste, e se stiamo attenti a mantenere il giusto rapporto con loro, possiamo tranquillamente farci cullare, rallegrandoci per la grandezza e la bellezza delle loro utilità e apparizioni, e recitando insieme agli antichi del Nord «Il soffio della tempesta aiuta i nostri remi, l’uragano è il nostro servo e ci guida dove desideriamo andare». Così, lasciando stare la colazione, mi misi un pezzo di pane in tasca e mi affrettai a partire.

Il signor Young e l’indiano dormivano, e anche Stickeen, speravo; ma non avevo fatto neanche una dozzina di passi che lasciò il suo letto nella tenda e venne a rincorrermi nella burrasca. Che un uomo possa accogliere le tempeste per le loro esaltanti musica e danza, e vada a vedere come Dio crei dei paesaggi, è abbastanza sensato; ma quale fascino potrebbe trovarci un cane in un tempaccio così? Di sicuro niente di simile all’entusiasmo umano per il paesaggio o la geologia. Ad ogni modo, accorse senza colazione, superandomi nella raffica soffocante. Mi fermai e feci di tutto per farlo tornare indietro. «Ora basta», dissi, gridando per farmi sentire nella tempesta. «Ora basta, Stickeen. Che strana idea ti salta in testa? Devi esser matto. In questa giornata terribile non c’è niente per te, non c’è da giocare là fuori, soltanto brutto tempo. Torna all’accampamento e tieniti al caldo, fai una buona colazione col tuo padrone, e sii ragionevole per una volta. Non posso portarti con me tutto il giorno e darti da mangiare, e questa tempesta ti ucciderà».

Ma la Natura, a quanto pare, va fino in fondo, e vince sui cani così come sugli uomini, facendoci fare quel che vuole, spingendoci e trascinandoci lungo le sue strade, per quanto impervie, a volte quasi uccidendoci per riuscire a farci portare a casa le sue lezioni. Dopo essermi fermato più e più volte, avvertendolo ad alta voce, capii che non sarei riuscito a scrollarmelo di dosso; così come la terra non si sarebbe scrollata di dosso la luna. Una volta avevo messo nei guai il suo padrone, quando cadde da uno degli speroni più alti di una montagna e si slogò un braccio; ora sarebbe potuto toccare al suo compagno fedele. Il povero piccolo vagabondo se ne stava lì nel vento, fradicio e sbattendo le palpebre, come a dire caparbiamente: “Dove vai tu, vado io”. Dunque, alla fine, gli dissi di venire se proprio doveva, e gli diedi un pezzo di pane che avevo in tasca; poi proseguimmo insieme a fatica, e così iniziò il più memorabile dei miei giorni nella natura selvaggia.

Illustrazione di Matilde Masoni. Stickeen. Dove vai tu, vado io (2022)


1 L’ “aratro” è, qui, da considerarsi una metafora del movimento della parte terminale o laterale del ghiacciaio che, affondando nel terreno, sradica la vegetazione circostante.


John Muir (Dunbar, Scozia, 1838 – Los Angeles 1914), ingegnere, naturalista e scrittore scozzese naturalizzato statunitense. Uno dei primi conservazionisti moderni. Le sue lettere e i suoi libri ci raccontano delle avventure nella wilderness, soprattutto illustrano la natura selvaggia delle montagne della Sierra Nevada in California. Tra le sue opere: A Thousand Mile Walk to the Gulf, My First Summer in the Sierra, The Mountains of California, The Yosemite e Travels in Alaska.

Saverio Bafaro (Cosenza, 1982), vive a Terni. Fondatore della rivista semestrale di poesia Metaphorica. Ha pubblicato: Poesie alla madre (Rubbettino, 2007), Poesie del terrore (La Vita Felice, 2014).

Massimo D’Arcangelo (Martina Franca, 1982), vive nella Riserva Naturale dell’Alto Merse, in Toscana. Con Helen Moore e Anne Elvey ha pubblicato: Intatto. Ecopoesia / Intact. Ecopoetry (La Vita Felice, 2017).

Matilde Masoni (Venezia, 1998). Illustratrice, laureata in Storia dell’Arte. Vive ad Urbino, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti.


A proposito di Stickeen, ascolta il podcast su RaiPlaySound:

Stickeen. Storia di un cane


 

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Stickeen. Storia di un cane | John Muir (a cura di M. D’Arcangelo, S. Bafaro) ESTRATTO

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