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Un green new deal globale. Il crollo della civiltà dei combustibili fossili entro il 2028 e l’audace piano economico per salvare la Terra
Jeremy Rifkin
Mondadori 2019

 

L’emergenza climatica è un dato di fatto, è verificabile nella realtà. Gli eventi atmosferici producono effetti sempre più imprevedibili e parossistici, implicano ripercussioni in termini di danni economici e perdite di vite umane. E questa maggiore consapevolezza – secondo Jeremy Rifkin – inciderà sugli orientamenti degli elettori, già a partire dalle elezioni presidenziali americane, previste per il 2020.

Il campanello d’allarme è suonato e la mobilitazione è già in atto: politici, presidenti di corporation, economisti, asset finanziari che normalmente assecondano strategie differenti, oggi concordano sull’esigenza di rinnovare i sistemi produttivi allo scopo di diminuire le emissioni di gas serra.

Per molti si tratta di scongiurare un vero e proprio default: studi provenienti da diverse istituzioni prevedono l’imminente crollo dell’utilizzo dei combustibili fossili, in un domino di sistema che considera le fonti rinnovabili (eolico e solare) sempre più convenienti ed efficaci. In tal senso si prospetta, fra non molti anni, una vera e propria bolla del carbonio, che dovrebbe accelerare l’adozione, da parte delle multinazionali, di tecnologie ecologicamente compatibili. Il sempre più capillare utilizzo di motori elettrici (la Bank of America prevede che entro il 2030 le vendite di veicoli a zero emissioni rappresenteranno il 40 per cento di tutte le vendite di auto) è uno degli aspetti paradigmatici di questo processo in divenire. Il punto di svolta si avvicina e anche il mondo della finanza ne è consapevole: all’orizzonte si staglia una terza rivoluzione industriale, passando obbligatoriamente da un Green New Deal, percorso virtuoso per dare alla terra un futuro e per provare a diminuire le diseguaglianze fra i popoli.

La crescente preoccupazione per il cambiamento climatico, la perdita di fiducia nella stabilità finanziaria a lungo termine dell’industria dei combustibili fossili, ora di fronte alla prospettiva di convertirsi in stranded assets, e la crescente competitività delle energie emergenti, solare, eolica e da altre fonti rinnovabili, stanno portando in seno al settore finanziario globale a una rivalutazione delle priorità di finanziamento, con il risultato che un numero sempre maggiore di fondi trasferisce il capitale dai combustibili fossili alle energie verdi e alle tecnologie pulite del XXI secolo.

Rifkin considera le componenti che entrerebbero in gioco in un cambio di modello economico, volto al progredire di un’identità ecosostenibile. Si tratta di allestire una piattaforma sistemica al passo coi tempi, di sostenere una riorganizzazione economica e culturale, basata sull’interconnessione globale 24 ore su 24 e depurata da ogni intermediazione logistica. Ciò si tradurrebbe in ricavi e costi globali ridotti quasi allo zero, in pratiche di condivisione e di tutela dell’ambiente. Questo sistema economico ibrido è l’arena su cui negli anni a venire emergerà il Green New Deal, piano teorico e operativo articolato in 23 temi che può definirsi come la pietra angolare del cambiamento. Nella visione globale dell’economista e sociologo americano c’è un impianto economico attivato da un’infrastruttura IDC intelligente (Internet delle comunicazioni, Internet dell’energia e Internet della logistica), con l’ausilio di sempre meno manodopera e supervisione, e con il conseguente incremento occupazionale nel settore no profit.

Ma il cambiamento di prospettiva indicato dal Green New Deal non è un fatto assodato: alcuni Stati si mostrano più in sintonia (la Cina, ad esempio), attuando politiche adeguate, altri (fra cui gli Stati Uniti) restano in parte ancorati alle dinamiche proprie della Seconda Rivoluzione Industriale, a concetti che richiamano all’individualismo e allo sfruttamento delle risorse fossili.

Nel saggio edito da Mondadori si avverte sempre più l’esigenza di una democratizzazione dell’economia, di uno spostamento della globalizzazione alla glocalizzazione, in cui aziende, privati e comunità potranno interagire liberamente, bypassando molte delle imprese multinazionali che hanno pilotato gli scambi commerciali nel XX secolo. Fondamentale, in questo passaggio epocale, l’impulso che solo una governance a livello statale può garantire. L’idea di privatizzare tutte le infrastrutture pubbliche – secondo Rifkin – è sbagliata e politicamente poco saggia: far capitolare la supervisione democratica sui servizi indispensabili alla vita quotidiana di ognuno sarebbe una scelta irresponsabile, che allargherebbe le diseguaglianze e renderebbe sempre più sfumato il concetto di libertà individuale.

Il sole splende ovunque e il vento soffia ovunque: il pianeta terra offre opportunità straordinarie per democratizzare, attraverso le fonti rinnovabili, la filiera dell’energia; non più forme di approvvigionamento centralizzato quindi, ma distribuito, con l’integrazione di piccole comunità “elettriche” sul territorio. L’idea di collettività, di utilizzo condiviso delle risorse, appare come uno dei capisaldi del Green New Deal. Nel capitolo terzo del volume si parla di mobilità elettrica autonoma, edifici nodali IDC e agricoltura ecologica intelligente: in ognuno di queste aree di sviluppo appare sostanziale l’interconnessione fra individui allo scopo di centrare l’obiettivo “carbonio zero”, ottimizzare risorse e scambi commerciali.

Rifkin commisura il suo punto di vista sul mondo con le realtà sociali ed economiche. Se le fondamenta risiedono nella consapevolezza di un pianeta allo stremo, l’elaborazione di una dimensione sostenibile richiede capacità di leadership e di mediazione degli interessi in gioco. La politica è il vettore principale del cambiamento e l’equipe di lavoro di Jeremy Rifkin opera per fornire alle istituzioni pubbliche obiettivi e interpretazioni innovative del vivere comune. Ne è un esempio calzante la formula 20-20-20 varata nel 2007 (emissioni di gas serra ridotte del 20 % abbinate all’incremento delle energie rinnovabili del 20 per cento entro il 2020), che rappresenta l’impegno del Parlamento Europeo a veicolare gli stati membri, in maniera inderogabile, verso una maggiore efficienza energetica.

Il libro Un Green New Deal Globale – Il crollo della civiltà dei combustibili fossili entro il 2028 e l’audace piano economico per salvare la Terra offre una preziosa visione di insieme, illustra i fattori e gli snodi che hanno determinato la crisi climatica in atto. Le stesse cause che insidiano e intaccano gli equilibri del pianeta, nelle analisi dell’autore, appaiono come spunti per dare vita a soluzioni e a correnti di pensiero. Sta nel sentire comune, nella ricerca, nella collaborazione fra istituzioni e semplici cittadini, la chiave per accedere a una nuova era in cui le attività umane contemplino, a priori, il rispetto dell’ambiente. Tutti dobbiamo sentirci attori del cambiamento, in particolare chi si abbevera alle sorgenti del futuro, e non a caso Rifkin fa spesso riferimento, nel tracciare le coordinate del suo Green New Deal, ai movimenti promossi dai Millenials e dagli ancora più giovani ragazzi della Generazione Z.

Vivere dei giacimenti di combustibili fossili dell’era del carbonio per oltre due secoli ci ha indotto erroneamente a immaginarci un futuro senza fine, dove tutto sarebbe stato possibile e il prezzo da pagare irrisorio. Abbiamo finito per credere di essere padroni assoluti del nostro destino e che la Terra esista perché noi possiamo sfruttarla. Non abbiamo capito che qualunque cosa avvenga in questo pianeta presenta un conto in termini di entropia. Abbiamo chiamato quell’epoca l’Età del progresso. Ora il conto è arrivato ed è il cambiamento climatico. Stiamo entrando in una nuova epoca e partendo per un nuovo viaggio. Davanti a noi, adesso, c’è l’Età della resilienza. A decidere del nostro futuro destino come specie sarà il modo in cui ci adatteremo alla nuova realtà planetaria. Ci stiamo velocemente avvicinando a una coscienza biosferica. Dobbiamo sperare di riuscire ad arrivarci in tempo. È questo il Green New Deal in cui credo.

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The Green New Deal | Jeremy Rifkin

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