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MAX E MORITZ | Wilhelm Busch 
Armillaria 2016

Pubblicato nel 1865, Max e Moritz è una storia per tutte le età e, in fondo, per nessuna. Con un incastro di peripezie e scatti dell’immaginazione, è impossibile non rimanere incantati da quel tono vividamente moralistico che presumibilmente chiede, almeno in ultimo, di essere declinato in una serie di contingenze senza autore né appartenenza storica. La logica dell’inseguimento, l’urgenza del contropiede restano i soli modi per poter collocare e comprendere uno tra i più cari e determinanti scenari della cultura e della tradizione tedesca. Un classico della letteratura per bambini e del fumetto che ha saputo allenare e ‘convincere’ intere generazioni di birbanti.

Prefazione di Boris Battaglia. Con un racconto inedito e illustrazioni originali di Angelo Calvisi

Wilhelm Busch (1832-1908) fu noto come scrittore e disegnatore. Collaborando ai Fliegende Blätter, fu autore di storie umoristiche di grande successo in Germania. Oltre al celebre lavoro da lui scritto e illustrato, Max und Moritz (1865), si ricordano Hans Huckebein (1872) e Die fromme Helene (1872).


ESTRATTO
per gentile concessione della casa editrice


Prologo

Guarda tu ai birbanti cosa preme
che qui legger e sentir conviene!
Come riguardo a questi due screanzati
che Max e Moritz son chiamati.
Anziché al giusto ritornare
o spronati ad imparare
troppo spesso ridon di gusto
solo che mai al posto giusto.
Sì, se è per una malefatta
consideratela cosa fatta!
Uomini derisi, animali tormentati,
a mele, pere e prugne fan attentati
Tutto ciò è assai piacevole
e per loro confortevole
più che stare in chiesa o a scuola
con la sedia per tagliola.
Ma ahimè che sorpresine,
quando tengo d’occhio la fine!
Ah, che brutta vicenda capitò
proprio a quelli, guarda un po’.
L’accaduto meditando,
lo riporto disegnando.

Prima birbata

Ci si sente affaticati
coi pennuti tanto amati;
anzitutto per le uova,
che qualcuno a covar prova;
secondo per l’arrosto,
ché mangiarne dà gran gusto;
per le penne da impiegare
nel cuscino e nel guanciale
ed usarle a piacimento,
ma poi il caldo, un gran tormento.

Ben lo sa la vedova Bolte,
ne farebbe a meno a volte.
Eran tre i suoi polli
ed un gallo pien d’orgogli.
Max e Moritz col pensiero:
qualche cosa qua faremo…
Un due tre, senza indugiare
il pane a pezzi è da tagliare,
poi in quattro il ricavato,
di grandezza pari a un dito.

Con dei fili li han legati,
l’uno all’altro incrociati,
poi uniti assieme ancora
nel podere della brava signora.
Il gallo a questo vedere
a squarciagola inizia a cantare:

Chicchirichì! Chicchirichì!
Zac zac zac! In un attimo eran lì.
Tutti presi da vorace fame,
ingoiano ognuno un pezzo di pane.
Ma quelli capirono presto:
vittime erano di quel posto.
Messi in croce e di traverso,
la mossa tentano all’inverso.
Ali veloci per volare altrove,
Gesù mio, che disperazione!

Accidenti!, come stoccafissi
ai lunghi rami restano affissi.
Mentre il collo cresce a dismisura,
il canto si riempie di paura.
Un ultimo uovo al volo ciascuno,
poi la morte li prese per mano.


La vedova Bolte dalla sua stanza
ode dal letto la triste mattanza.
Un presentimento la spinge fuori:
Oh, cosa sono questi orrori!
«Che pianto! Quanti dolori!
Le mie speranze, i miei desideri;
i più bei sogni di una vita per bene,
appesi a questo albero di mele!».

Molto afflitta e rattristata,
il coltello fuori cava,
alle corde vuole strappare
quei corpi messi a ciondolare.
Poi in lutto silenzioso
verso casa cerca riposo.

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