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Poesie di Laureano Albàn

Da “Poesie imperdonabili” – Passigli 2011, a cura di Tomaso Pieragnolo

«Crediamo definitivamente che la poesia, lungo il tempo, non abbia fatto altro che nascere, che tuttavia stia nascendo e ancora non abbia compiuto la luminosa funzione che avrà nella futura evoluzione dell’uomo» («Manifiesto Trascendentalista», 1974). Quando penso a Laureano Albán sempre mi sovviene la sua figura di poeta controcorrente, di inesauribile trascendentale che da cinquant’anni colma le sue pagine di trasparenza, di immagini ineffabili sorte dagli elementi terrestri, in un’epoca in cui la poesia ha cercato di spogliarsi di figurazioni e avvicinarsi al linguaggio quotidiano, quasi disgregandosi in esso. È raro trovare un autore contemporaneo di questo genere.

Con un rigore monastico e nell’interezza della consegna, senza compiacimento né egotismo, Laureano Albán insegue con dedizione il proprio rapporto metafisico con il mondo, con la storia umana e con la propria esistenza, nell’idea rigenerante che l’incognita della creazione mai si esaurisca e che l’identità non sia mai completamente raggiunta. Un lavoro continuo, assoluto, che non rifiuta il mistero dell’uomo e l’inconoscibilità del cosmo, e riceve la vita in una concezione di vasta trasparenza, come simbolo certo di una superiore entità che tutto permea e conferma. E questo modo di sentire e vivere la poesia è come mantenersi in una dimensione che sempre tende al vero, in quella parte incorrotta d’infinità che nutre il nostro effimero futuro (dalla prefazione).


Per concessione della casa editrice pubblichiamo alcune poesie di Laureano Albàn

 

DEVOZIONI TERRESTRI

Tocco la terra, madre della mia ombra.
Attraverso vi corre un bimbo
infaticabilmente immaginato.
Sonoro il mese di aprile
duole di trasparente.
Ogni terra è assenza
dopo la nascita.
Dopo il seme
ogni fiore è stella.
Per questo la radice
ha forma di spina o pioggia o morte
che sostiene silenzi.
Può scordare l’uomo il futuro o la sorte,
può bruciare il tempo le pagine o il bacio,
può ossidare la notte i giorni del diamante,
però mai la terra
e la sua fatale memoria di galoppi lontani.
È un patto. E lo dico
con la cenere incerta
del viaggiatore sulle labbra.-
È il debito del mare
che ci resta sulla lingua
attraverso l’acqua e le sue mappe.
È l’alta somiglianza
della notte negli occhi
che imita distanze.
È il gesto d’uccello
della mano lanciata.
È l’albero che irrompe
dai labirinti
dell’anno infaticabile,
certamente vivo
come uno stormo.
Tocco la terra. Odo piovere.
I frutti dentro lei corrono
come giorni planetari.
Un lombrico dorato si trattiene
nel palmo della mia desolazione:
tra lui e questo giorno
ci sono fiamme insalvabili.
Attraverso vi corre un bimbo
remotamente sempre
chiamando le distanze.
Io mi avvicino e lo nomino.
Io mi avvicino e lo abbraccio.
Ma lui corre per prati di lune specchianti,
per boschi dove il cielo è un albero azzurro,
per nebbie dove il tempo è un frutto pallido.
Entra ed esce dal giorno
con l’innocenza rapida
del fiore nella pioggia.
Qualcuno lo sta chiamando
da lampade lontane.
E lui corre senza sapere
che non esce dall’unica
terra della memoria.
Che lo spazio terrestre
sempre sarà il primo,
inesauribile giorno convocato.
Che non cambia la luce
prima tra gli occhi.
Solo cambiano l’ombra,
il sogno e le sue spade.
Che solo vive l’uomo
d’amore per la terra,
e la terra lo intende.
Però lui continua a correre
la sfera trasparente
della prima sorte,
verso le fonde case
della luce invisibile,
perché qualcuno lo sta chiamando
e lui porta tra le mani
un pugno di terra
fino all’amato azzurro.


DEVOCIONES TERRESTRES

Toco la tierra, madre de mi sombra.
Por ella corre un niño
infatigablemente imaginado.
Sonoro el mes de abril
duele de transparente.
Toda tierra es ausencia
después del nacimiento.
Después de la semilla
toda flor es estrella.
Por eso la raíz
tiene forma de espina o lluvia o muerte
sosteniendo silencios.
Puede olvidar el hombre el futuro o la dicha,
puede quemar el tiempo las páginas o el beso,
puede oxidar la noche los días del diamante,
pero nunca a la tierra
y su fatal memoria de galopes lejanos.
Es un pacto. Y lo digo
con la ceniza incierta
del viajero en los labios.
Es la deuda de mar
que nos queda en la lengua
por el agua y sus mapas.
Es la alta semejanza
de la noche en los ojos
imitando distancias.
Es el gesto de pájaro
de la mano lanzada.
Es el árbol que irrumpe
desde los laberintos
del año infatigable,
certeramente vivo
como una bandada.
Toco la tierra. Oigo llover.
Las frutas dentro de ella corren
como días planetarios.
Un gusano dorado se detiene
en la palma de mi desolación:
entre él y este día
hay llamas insalvables.
Por ella corre un niño
remotamente siempre
llamando las distancias.
Yo me acerco y lo nombro.
Yo me acerco y lo abrazo.
Pero él corre por prados de lunas espejeantes,
por bosques donde el cielo es un árbol azul,
por nieblas donde el tiempo es una fruta pálida.
Entra y sale del día
con la inocencia rápida
de la flor en la lluvia.
Alguien lo está llamando
desde lejanas lámparas.
Y él corre sin saber
que no sale de la única
tierra de la memoria.
Que el espacio terrestre
siempre será el primero,
inagotable día convocado.
Que no cambia la luz
primera entre los ojos.
Sólo cambian la sombra,
el sueño y sus espadas.
Que sólo vive el hombre
por amor a la tierra,
y la tierra lo sabe.
Pero él sigue corriendo
la esfera transparente
de la primera dicha,
hacia las hondas casas
de la luz invisible,
porque alguien lo está llamando
y él lleva en las manos
un puñado de tierra
hasta lo azul amado.

 

NELL’AURORA INCESSANTE

Io non voglio essere bambino,
voglio solo essere pioggia.
Non voglio tornare
alle bianche memorie.
Voglio solo essere vento,
e la croce di due uccelli
minimi che si amano,
si feriscono e si perdono
nella passione del vento.
Voglio l’alta moneta
brillante della rugiada.
Voglio essere una notte
di lontananze e boschi
e alba sconfitta
dai fiumi e dall’aria.
O percorrere fradicio
la più ultima nebbia.
O toccare lo zolfo
e il suo inutile diamante.
O ascoltare il bestiame
che freme nella tormenta
come un terrore assente.
Io non voglio essere bambino,
voglio solo essere nebbia,
così infinitamente umido
come lei, così trasparentemente
azzurro come la sua ombra.
Ma che dico? Questo
è ricordare, e il cielo
del ricordo è cenere.
Solamente velocità
di brace è la bellezza.
Tra le mani abbaglia
solo la luce sufficiente.
Non si possiede più mondo
di quello che si è sempre cantato.
Il tempo è una casa
totalmente invasa
da allucinazioni,
come rose desiderate.
Ma come smettere
di scrutare con gli stessi
occhi di ciò che guardiamo?
Come non continuare ad essere
il discepolo azzurro
dell’aurora incessante?
Come non chiedere
ancora all’insetto
così infinitamente
dorato che fu fiamma –
dell’ombra fluviale
che lune invisibili
lasciarono tra i rami?
A me basta l’uccello
rifulgente di oblio;
la scia che mi lasciò
tra mano e parola.
Continuerò ad essere pioggia,
e vento dedicato
all’invenzione dell’ala.
Continuerò ad essere bosco
profusamente vivo
come la lontananza.
Continuerò ad essere nebbia
che penetra agli ultimi
labirinti cancellandoli.
E luna nella parola,
e rugiada che torna
a creare l’invisibile,
e il discepolo azzurro
dell’aurora incessante.


EN LA AURORA INCESANTE

Yo no quiero ser niño,
quiero ser sólo lluvia.
Yo no quiero volver
a las blancas memorias.
Quiero ser sólo viento,
y la cruz de dos pájaros
mínimos que se aman,
se hieren y se pierden
en la pasión del viento.
Quiero la alta moneda
brillante del rocío.
Quiero ser una noche
de lejanías y bosques
y amanecer vencido
por los ríos y el aire.
O cruzar empapado
la neblina más última.
O tocar el azufre
y su inútil diamante.
O escuchar el ganado
bramando en la tormenta
como un pavor ausente.
Yo no quiero ser niño,
quiero ser sólo niebla,
tan infinitamente húmedo
como ella, tan transparentemente
azul como su sombra.
¿Pero qué digo? Esto
es recordar, y el cielo
del recuerdo es ceniza.
Velocidad tan sólo
de brasa es la belleza.
En las manos deslumbra
sólo la luz que basta.
No se posee más mundo
que lo siempre cantado.
El tiempo es una casa
invadida del todo
por alucinaciones,
como rosas deseadas.
¿Pero cómo dejar
de mirar con los mismos
ojos de lo mirado?
¿Cómo no seguir siendo
el discípulo azul
de la aurora incesante?
¿Cómo no preguntar
todavía al insecto
tan infinitamente
dorado que fue llama –
por la sombra fluvial
que lunas invisibles
dejaron en las ramas?
A mí me basta el pájaro
refulgente de olvido;
la estela que dejome
entre mano y palabra.
Seguiré siendo lluvia,
y viento dedicado
a la invención del ala.
Seguiré siendo bosque
profusamente vivo
como la lejanía.
Seguiré siendo niebla
que penetra a los últimos
laberintos borrándolos.
Y luna en la palabra,
y rocío que vuelve
a crear lo invisible,
y el discípulo azul
de la aurora incesante.


SAGA DI NEBBIE

Ho un albero in fondo alla mia voce.
Un albero di rugiade poderose.
Alta la coppa e più alta la radice,
e un uccello costretto
a continuare per sempre nell’aria.
Insieme all’albero un dio di nove anni
guarda piovere e sa
che la pioggia è un potere nel suo sguardo.
D’improvviso si alza,
cerca qualcosa nella nebbia
e si inclina, indifeso,
a raccogliere il giorno meraviglioso.
Io so che sta pensando a cose bianche,
fatte di stupore e delizia
come il mare nell’aria.
Si erge lentamente fradicio d’azzurri,
guarda da lontano e mi vede
e si spaventa e sappiamo di vivere,
ognuno cercando sotto l’albero
lentissimo del tempo
la luce dell’altro che verso l’altro nasce.
Questo è un rito quotidiano
che nella mia ombra è vivo
come uno splendore:
il bimbo che nella nebbia
cerca il volto del giorno,
ed io con l’abisso
dei suoi occhi in me.
Ma non comprendiamo: ci amiamo
con il fondo delitto degli occhi fugaci,
con l’ignoto aroma delle orme che l’aria,
inumidita malva, va strappando al fiore.
Solo so che è un dio di nove anni,
limpido come una pioggia che eternamente cade,
malgrado la morte annunci potestà
ombrose come dardi, nella sua lunare abitudine
di apparire, ormai oblio in me.
So che è un dio che cerca cose appena nate
nella nitida edera dello stupore.
So che è un dio
perché il dovere degli dèi
è cercare e cercare nel silenzio
giorni interminabili.
Io non lo voglio svegliare,
perché quando dovesse svegliarsi sarò morto.
O forse entrambi dovremo incontrarci
nel più invisibile dei sogni.
Lui con le sue mani sole,
cercatrici di giorni,
ed io con l’inganno
che dona la memoria al vissuto.
C’è un albero in me
che a volte è parola e solo vola,
e sempre mi duole, allora,
come una fiammata.
E ai piedi dell’albero e delle sue fiamme, lui,
con la totale ventura di ciò che mai cresce,
coglie arance d’impossibili ori,
negozia piccolezze insondabili, oblii
così umidi che ancora gocciolano nelle mie mani.
A volte lo sguardo gli cade a terra,
aleggiante ancora, come piuma nell’ombra.
E credo stia quasi piangendo,
ma subito si addormenta reclinato
alla più soave luna che nell’aria è nata.
Ed io scendo alla sua infanzia
come un cieco alla luce
alzo il suo corpo fatto
solo di levità,
e lo lascio alla riva
dell’albero che ci unisce
come una sete dorata.
Non lo sveglierò,
perché lui sta sognando che lo sogno.


SAGA DE NIEBLAS

Tengo un árbol al fondo de mi voz.
Un árbol de rocíos poderosos.
Alta la copa y la raíz más alta,
y un pájaro forzado
a seguir en el aire para siempre.
Junto al árbol un dios de nueve años
mira llover y sabe
que es la lluvia un poder en su mirada.
De pronto se levanta,
busca algo en la niebla
y se inclina, indefenso,
a recoger el día maravilloso.
Yo sé que está pensando en cosas blancas,
hechas de estupor y delicia
como el mar en el aire.
Se yergue lentamente empapado de azules,
mira a lo lejos y me mira
y se asusta y sabemos que vivimos,
cada uno buscando bajo el árbol
lentísimo del tiempo
la luz del otro que hacia el otro nace.
Éste es un rito diario
que en mi sombra está vivo
como un esplendor:
el niño que en la niebla
busca el rostro del día,
y yo con el abismo
de sus ojos en mí.
Pero no comprendemos: nos amamos
con el hondo deleite de los ojos fugaces,
con el ignoto aroma de las huellas que el aire,
húmedamente malva, va arrancando a la flor.
Sólo sé que es un dios de nueve años,
limpio como una lluvia que cae eternamente,
a pesar de la muerte que anuncia potestades
sombrías como dardos, en su lunar manera
de aparecer, ya olvido en mí.
Sé que es un dios que busca cosas recién nacidas
en la nítida yedra del asombro.
Sé que es un dios
porque el oficio de los dioses
es buscar y buscar entre el silencio
días interminables.
Yo no lo quiero despertar,
porque cuando él despierte ya habré muerto.
O sea que los dos tendremos que encontrarnos
en lo más invisible de los sueños.
Él con sus manos solas,
buscadoras de días,
y yo con la falacidad
que otorga la memoria a lo vivido.
Hay un árbol en mí
que a veces es palabra y solo vuela,
y ello suele doler, entonces,
como una llamarada.
Y al pié del árbol y sus llamas, él,
con la total ventura de lo que nunca crece,
baja naranjas de imposibles oros,
negocia pequeñeces insondables, olvidos
tan húmedos que aún gotean en mis manos.
A veces la mirada se le cae a la tierra,
aleteante aún, como pluma en la sombra.
Y creo que va a llorar,
pero pronto se duerme reclinado
a la más suave luna que en el aire ha nacido.
Y yo bajo a su infancia
como un ciego a la luz,
alzo su cuerpo hecho
sólo de levedades,
y lo dejo a la orilla
del árbol que nos une
como una sed dorada.
No lo despertaré,
porque él está soñando que lo sueño.


Laureano Albán (1942 Turrialba – 2022 San José). Più volte proposto come candidato al Nobel, ha studiato Filologia e Linguistica all’Università di San José e si è laureato a New York. È stato fondatore di importanti associazioni di scrittori, come il Círculo de Poetas Costarricenses (1960) e il Movimiento Literario Trascendentalista (1973). Professore di Teoria e Pratica della Creazione Letteraria all’Università di Costa Rica (1990-1998) e Membro Permanente della Academia de la Lengua Española, ha svolto diversi incarichi diplomatici per il suo paese: Ministro Consigliere all’ambasciata di Madrid (1981-1983), ambasciatore presso le Nazioni Unite a New York (1983-1986), ambasciatore Plenipotenziario in Israele (1987-1990), ambasciatore presso l’UNESCO a Parigi (1998-2002). E’ coautore del “Manifiesto trascendentalista” (1974). Ha ottenuto riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui il premio Adonais (Madrid, 1979), il premio Nazionale di Poesia (1980 e 1993), il Premio di Cultura Ispanica (Madrid, 1981), il premio Ispanoamericano di Letteratura (Huelva, Spagna, 1982), il premio della VII biennale di Poesia (León, 1983). Nel 2006 ha ottenuto il premio Nazionale di Cultura Magón, il maggiore riconoscimento dato dal governo del Costa Rica per una vita dedicata alla cultura.. I suoi libri più importanti sono Herencia del otoño (1980), Geografia invisible de america (1982), Aunque es de noche (1983), Autorretrato y transfiguraciones (1983), El viaje interminable (1983), Suma de claridades (1992) e la vasta Enciclopedia de maravillas, in edizione bilingue inglese e spagnolo, iniziata più di vent’anni fa e composta da 4 volumi con più di 2000 poesie illustrate da oltre trecento artisti latinoamericani.


Tomaso Pieragnolo è nato a Padova nel 1965 e da 30 anni vive tra Italia e Costa Rica. In ottobre 2022 ha pubblicato il suo ultimo libro “Portraits” (Passigli 2022). Fra le precedenti pubblicazioni “Viaggio incolume” (Passigli 2017), “nuovomondo” (Passigli 2010), “Lettere lungo la strada” (Edizioni del Leone 2002), “L’oceano e altri giorni” (Edizioni del Leone 2005), libri risultati finalisti e vincitori di alcuni premi nazionali (Palmi, Metauro, Minturnae, Marazza, Saturo d’Argento – Città di Leporano, Città di Marineo, Guido Gozzano di Belgirate, Libero de Libero, Ultima Frontiera, Minturnae Giovani). Una sua selezione di poesie scelte è stata pubblicata in spagnolo dalla Editorial de la Universidad de Costa Rica e dalla Fundación Casa de Poesía (“Poesía escogida”, 2009). Come traduttore di poesia latinoamericana, dal 2007 ha proposto nella rivista Sagarana principalmente autori della Costa Rica e del Centro America non ancora tradotti nel nostro paese, e curato le prime antologie italiane di Eunice Odio (“Questo è il bosco e altre poesie”, Via del Vento 2009, e “Come le rose disordinando l’aria”, Passigli 2015, in collaborazione con Rosa Gallitelli), di Laureano Albán, (“Gli infimi crepuscoli”, Via del Vento 2010 e “Poesie imperdonabili”, Passigli 2011); nel 2019 ha curato per Arcipelago Itaca “Non importa ormai vivere bensì la vita” del poeta spagnolo Juan Carlos Mestre. Anche questi libri sono risultati finalisti in alcuni premi per la traduzione (Camaiore, Città di Morlupo, Città di Trento, Marazza) Ha partecipato a Festival di poesia nazionali (Pordenonelegge, Poetry Vicenza, Fiera delle Parole di Padova, Quota Poesia di Trento, Cartacarbone di Treviso) e internazionali (Festival di Poesia di Granada in Nicaragua e Festival Internazionale di Poesia Costa Rica).


in copertina:
Kumataro Ito’s Illustrations of Nudibranchs from the USS Albatross’ Philippine Expedition (ca. 1908)

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Le poesie del poeta costaricano Laureano Albàn

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