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L’elemento del diavolo 
Il fosforo e l’equilibrio precario del ciclo della vita
Dan Egan
Aboca Edizioni 2024

La storia del fosforo si estende attraverso diverse epoche e luoghi, partendo dal XVII secolo quando fu scoperto in un laboratorio alchemico ad Amburgo. Da allora è diventato una risorsa preziosa, con la corsa all’estrazione che ha toccato luoghi come i campi di battaglia di Waterloo, le isole del guano al largo del Perù, la Bone Valley della Florida e le dune di sabbia del Sahara occidentale. Nel secolo scorso, il fosforo ha rivoluzionato l’agricoltura, ma la dipendenza eccessiva da questo nutriente vitale sta ora causando problemi come fioriture di alghe tossiche e “zone morte” nei corsi d’acqua. Oggi, il fosforo è altrettanto prezioso dei combustibili fossili, ma le riserve stanno esaurendosi rapidamente. Alcuni scienziati temono che raggiungeremo presto “il picco del fosforo”, con conseguenze gravi sulla sicurezza alimentare e potenziali conflitti. Il paradosso è che consumiamo le scarse riserve di roccia fosforica estraibile, ma allo stesso tempo inquiniamo le acque con eccessive dosi di fosforo, dannose per l’ambiente e la salute umana. L’elemento del diavolo, un’opera di giornalismo scientifico di Dan Egan, finalista al premio Pulitzer, mette in luce questa minaccia ambientale poco conosciuta ma pericolosa, invitando alla riflessione e all’azione.

Per gentile concessione della casa editrice Aboca,
vi proponiamo la lettura di parte dell’Introduzione (Avvertenza al lettore) e del Capitolo 8.
Tutti i diritti riservati all’editore e autore.

Avvertenza al lettore

Il fosforo – l’elemento numero 15 della tavola periodica – normalmente non si trova puro in natura. Gli atomi del fosforo, pur essendo necessari per le cellule di ogni organismo che vive sulla Terra, allo stato naturale si legano a quattro atomi di ossigeno e formano così delle molecole chiamate “fosfati”. Questo, tuttavia, non è un libro sugli atomi dell’ossigeno, quindi in linea di massima mi servirò del termine “fosforo” ed eviterò “fosfato”, ad eccezione di quei casi in cui a usarlo siano state altre persone da me citate. In modo analogo, sono consapevole che l’espressione scientifica per designare l’esplosione di una specie nociva (e talvolta velenosa) di fitoplancton sia “fioritura algale”, ma siccome abitualmente si parla di “fioritura di alghe” e il mio volume è pensato per il grande pubblico, opterò per quest’ultima espressione.

Con questo libro, comunque, non ambisco a pronunciare l’ultima parola sulla questione fosforo. Molte persone comuni potrebbero non essere ancora al corrente delle criticità che il mondo si avvia a fronteggiare a causa del fosforo nel suo duplice ruolo di moltiplicatore tossico di alghe e di pericoloso potente nutriente agricolo essenziale, ma sempre più scarso. Eppure ci sono scienziati che da anni si misurano con questi problemi, ed esistono una miriade di tecnologie e pratiche per affrontare uno o entrambi gli aspetti del problema legato al fosforo l’uso eccessivo e la carenza. Questo libro non fornisce un quadro esauriente della situazione. Discuto alcune potenziali vie per riportare il mondo a un miglior equilibrio nell’impiego del fosforo, ma non offro ricette per risolvere il paradosso che lo contraddistingue. Si tratta di un testo di carattere introduttivo.


Capitolo 8
U
N CUORE LIQUIDO, MALATO

Incastonato quasi al centro della penisola meridionale della Florida si trova un mare interno di 1,890 chilometri quadrati: è il lago Okeechobee, secondo per grandezza solo al lago Michigan tra i laghi naturali d’acqua dolce interamente situati all’interno degli Stati Uniti continentali. Il lago O è rotondo quasi quanto il suo nomignolo e largo circa 48 chilometri. Dalla sua riva non si riesce a scorgere l’altra sponda. Sembra vasto come un oceano, ma in realtà oggi il lago funziona più che altro come una sorta di gigantesca piastra di Petri; le acque dell’Okeechobee sono profonde come quelle di una piscina da giardino, e altrettanto calde. Queste caratteristiche lo rendono un’incubatrice perfetta per le chiazze di alghe verdi-azzurre alimentate dal fosforo che invece di disperdersi metastatizzano lungo i canali artificiali da cui i deflussi tossici dell’Okeechobee vengono convogliati verso le comunità balneari di entrambe le coste della Florida.

Il lago Okeechobee è una specie di gigantesca fogna che fa la spola tra est e ovest. E sta uccidendo i nostri estuari”, mi ha detto nel 2018, durante un’epidemia di alghe, Jim Penix, che vive a valle dell’Okeechobee, nella città di Port St. Lucie sulla costa atlantica. Le disgrazie dell’Okeechobee affondano le radici nei vasti terreni agricoli a cavallo degli affluenti che vi confluiscono da nord. I caseifici su scala industriale, le coltivazioni di zolle d’erba e ortaggi, i campi di canna da zucchero e gli agrumeti del bacino rilasciano tutti fosforo nei fossi, nei rigagnoli e nei fiumi che scorrono verso l’Okeechobee. Anche il proliferare di complessi residenziali, quartieri commerciali e campi da golf causa un’immissione di rifiuti di fosforo nel lago; lago che, prima che tutt’attorno ad esso venisse costruito un gigantesco terrapieno, era tanto una palude quanto uno specchio di acque libere.

Nel suo stato naturale, le dimensioni, la profondità e la forma del lago Okeechobee erano in continuo mutamento: l’Okeechobee si gonfiava durante le tempeste tropicali e gli uragani che ogni fine estate si abbattono sulla penisola della Florida, per poi diminuire durante la stagione secca. Quando il livello del lago si innalzava oltre una certa soglia, scavalcava la costa meridionale, riversandosi in uno specchio d’acqua largo 80 e lungo 210 chilo- metri che scendeva giù per la penisola della Florida fino alle acque costiere della punta meridionale, ovvero quella zona paludosa a cui gli esploratori avevano dato il nome di “Ever Glades”. Queste pulsazioni stagionali dell’Okeechobee costituivano la sorgente del famoso “River of Grass” della Florida, e c’era quasi un che di ritmico nella loro regolarità. Il lago Okeechobee verrà poi ribattezzato “il cuore liquido della Florida”.

Oggi questo cuore è gravemente malato. La cura: ridurre gli apporti di fosforo in modo da proteggere l’ecologia del lago, oltreché la salute delle circa centomila persone che vivono nelle città costiere a cavallo dei canali da cui si riversano in mare i deflussi tossici dell’Okeechobee. Lo Stato della Florida ha un piano finalizzato a perseguire questo specifico obiettivo, ma in pratica è solo… un piano, appunto. Parole su carta.

Lo Stato non ha un martello per far rispettare le regole. È solo una presa in giro”. Me lo ha detto, durante un’invasione di alghe sempre nell’estate 2018, John Cassani, che è il responsabile di un gruppo ambientalista locale a Fort Myers, una città della costa del golfo di circa settantamila abitanti in cui finiscono gli scarichi tossici diretti verso ovest dell’Okeechobee.

Le cose andranno anche male sulla costa del Mississippi e sull’estremità occidentale del lago Erie, ma non è nulla in confronto alla tragedia del lago Okeechobee.

Quella del lago è la storia di un incessante abuso inflitto da ingegneri che tentano di placare gli straripamenti naturali del lago; di gruppi di interesse agricoli decisi a tramutare la gran parte dei terreni acquitrinosi del lago in coltivazioni affette da perdita di fosforo per dilavamento; e di politicanti che non hanno ancora trovato la forza di costringere le imprese inquinanti a cambiare metodi produttivi e smetterla di avvelenare l’acqua.

È una storia che si ripete anche al di fuori della Florida, parallelamente all’avanzare di un XXI secolo sempre più tempestoso e sempre più caldo, ma il cui primo capitolo è stato scritto tanto tempo fa, a inizio Novecento, su delle pietre tombali.

In un cimitero eretto su una piccola altura nella campagna della Florida centrale sono raggruppate diverse lapidi grandi come scatole di corn flakes. Le vecchie targhe appena fuori dalla Highway 78 cominciano a erodersi e a piegarsi qua e là, come in una casa stregata. Ma le iniziali delle persone sepolte sotto si leggono ancora: E.M.B.; H.E.B.; W.J.B.; M.A.B.1

Il ripetersi di targhe tutte uguali e tutte quelle B sono ciò che rende particolarmente lugubre questo desolato pezzo di terra a una sessantina di chilometri a est di Fort Myers, persino in un soleggiato pomeriggio di luglio. Questo perché tutte le anime che riposano lì appartenevano alla stessa famiglia. Ed esalarono l’ultimo respiro tutte insieme, il 18 settembre 1926, quando il lago Okeechobee sfondò un ammasso di terra ottimisticamente chiamato diga dagli stessi contadini che avevano cercato di guadagnarsi da vivere sulla sua sponda asciutta.

L’anonimo uragano che spinse il lago al di sopra della sua linea costiera artificiale scatenò sulla promettente città agricola di Moore Haven un torrente fangoso profondo 4 metri e mezzo e sommerse centinaia di persone, tra cui E.M.B. Eleanor Marie Blair – e i suoi figli piccoli. Avevano tutti cercato riparo dalla tempesta in un alimentari poi crollato nella corrente vorticosa.2 Proprio mentre il muro d’acqua alluvionale si scagliava verso

la punta meridionale della Florida, cominciarono a emergere vere e proprie storie dell’orrore tra il fango e il legno scheggiato. Una madre ricavò una zattera da due camere d’aria d’automobile e provò a cavalcare le onde con le figlie e il bebè: le prime furono trascinate via dall’acqua spumosa quando stavano per arrampicarsi su un tetto; il secondo venne travolto quando la madre lo stava consegnando ai soccorritori. Un’altra mamma legò il proprio bimbo a un palo del telefono a un’altezza che pensava fosse sufficiente per metterlo al riparo dalle acque alluvionali. Non fu così. Seppellire i corpi all’interno dei confini della città era impossibile: anche una settimana dopo la tempesta Moore Haven continuava a essere sommersa da quasi un metro e mezzo di torbide acque alluvionali. Questa tendenza degli specchi d’acqua a indugiare sul paesaggio della Florida centrale, infatti, è il motivo per cui negli anni dieci del Novecento i coloni costruirono la diga con il fango e la sabbia della palude. Il problema era che le “acque alluvionali” del lago Okeechobee, perfettamente naturali e prevedibili, rappresentavano una minaccia per gli agricoltori, che dal nero terreno a sud del lago fradicio ma straordinariamente fertile miravano a ottenere raccolti di canna da zucchero, pomodori, fagioli, patate, peperoni e melanzane. Negli anni dieci lo Stato della Florida spese circa 15 milioni di dollari per costruire una rete di canali tale da drenare il lago e impedirgli di inondare tutti i campi coltivati.3

E, nel caso in cui i canali non fossero riusciti a fare il loro lavoro, gli abitanti della Florida intrapresero un progetto parallelo per mettere il lago Okeechobee al suo posto: dietro una diga alta fino al petto.

Ma la diga non fermò il battito del cuore liquido della Florida. Lo domò solo finché, in una manciata di secondi, non si scatenò una pressione tale da sopprimere oltre un decennio di pulsazioni d’acqua dolce dell’Okeechobee, trasformando immediatamente Moore Haven in quella che nei giorni successivi al disastro del 1926 la stampa definirà “la città dei morti insepolti”.

La colpa di aver fatto affidamento su poco più di un mucchio di terra per arginare le immense forze che avevano plasmato la Florida nel corso di migliaia e migliaia di anni venne rapidamente e ferocemente denunciata nei giorni successivi all’alluvione, in particolare per voce del direttore di un giornale locale, il quale propugnò la costruzione di un una nuova diga, più alta e più resistente, tale da “precludere per sempre una tragedia come quella che di recente, nel giro di poche ore, ha trasformato Moore Haven da una pacifica comunità agricola in una tomba zuppa d’acqua”.4 La diga venne rattoppata ma non ampliata in altezza. E quasi due anni dopo l’alluvione del 1926 un altro uragano colpì la zona, e il lago Okeechobee ancora una volta si sollevò fino a scavalcare il basso terrapieno artificiale sull’estremità sud, in questo caso a

una cinquantina di chilometri a sud-est di Moore Haven.

Circa duemila persone annegarono dentro e intorno alla citta- dina di Belle Glade, anche se è possibile che il bilancio effettivo delle vittime sia stato molto più alto; tanti corpi non tornarono mai in superficie , e si ipotizzò che fossero rimasti sepolti nel fango mentre il lago straripato correva verso il mare. Alcune vittime furono quasi certamente divorate dagli alligatori. I resti di tante altre persone vennero lasciati a marcire e a seccare nel caldo di inizio autunno nelle strade e nei campi di Belle Glade: quei cadaveri rigidi creavano una scena così orribile che il “Miami News” la definì “troppo raccapricciante per essere riferita su un giornale”.5

Molte vittime, bianche, ricevettero infine degna sepoltura. Numerosi corpi di contadini neri, invece, furono accatastati in pile, cosparsi di carburante e dati alle fiamme. I loro resti carbonizzati vennero ammucchiati in fosse comuni, una delle quali, oggi – appena a est del lago Okeechobee, su un pezzo di terra non molto più grande della superficie di una stanza di motel si dice contenga le ceneri di circa milleseicento anime.

Questa seconda alluvione fu talmente catastrofica da attirare l’attenzione del presidente eletto Herbert Hoover, che subito dopo l’evento andò con una carovana di venti auto a visitare quei luoghi di devastazione. L’ex ingegnere con laurea a Stanford buttatosi in politica, visibilmente commosso, promise ai sopravvissuti che gli aiuti federali erano in arrivo.6 Nel giro di un decennio lo US Army Corps of Engineers completerà una massiccia opera di ammodernamento delle strutture di difesa dalle esondazioni dell’Okeechobee. Il progetto prevedeva l’ampliamento del sistema di canali per convogliare gli straripamenti dell’Okeechobee verso entrambe le coste della Florida, oltre a un sistema di dighe più grosse e più alte. Un vantaggio collaterale derivante da tutto questo lavoro di scavo di fossati e di ammassamento di terra fu che creò un corridoio di navigazione che dalla città di Stuart, sulla costa atlantica, attraversava la penisola della Florida compreso il lago Okeechobee – fino a raggiungere Fort Myers, sulla costa del golfo.

Com’era prevedibile, le nuove misure di protezione si rivelarono inadeguate nel momento in cui, nel 1947, un altro uragano si abbatté sulla regione. Le dighe resistettero appena per un soffio, ma il sistema di canali si rivelò troppo fiacco per convogliare le esondazioni verso il mare. Il risultato fu la peggiore esondazione mai registrata nel sud della Florida, in termini di ettari sommersi. Com’era prevedibile, la devastante esondazione spinse a chiedere un nuovo e più grande sistema di dighe tale da mettere a tacere il cuore selvaggio dell’Okeechobee una volta per tutte.

Com’era prevedibile, altri macchinari per il movimento terra furono ancora una volta mandati nelle Everglades.

Questo mostro doveva essere contenuto da argini e da canali più grandi che gli dessero maggiori sbocchi sul mare”, proclamò lo US Army Corps of Engineers in un documentario degli anni cinquanta sulla campagna promossa dall’istituzione per “aggiustare” il lago e prosciugare quasi 39.000 chilometri quadrati di palude della Florida. Nel piano erano comprese l’espansione dei canali che correvano a est e a ovest del lago e la costruzione di una diga alta tre piani che circondasse i 230 chilometri di circonferenza del lago.

Finalmente, esultò il Corpo dell’Esercito, l’uomo aveva messo in catene Madre Natura.

L’acqua che un tempo correva selvaggia; l’acqua che ha guastato gli ubertosi campi; l’acqua che ha strappato vite e terre e portato disastro sui titoli di giornale e morte sul suolo […] ora se ne sta lì calma, pacifica, pronta a eseguire gli ordini dell’uomo”, afferma la voce narrante del documentario dell’Army Corps, intitolato Waters of Destiny. “La Florida centro-meridionale non è più lo zimbello della natura, il fantoccio preso di mira dagli elementi!”.

Trasformare le Everglades settentrionali in un mare di canna da zucchero, affrontare l’esiziale problema delle esondazioni dell’Okeechobee e scavare un canale di navigazione più grande nella penisola della Florida sarà anche sembrata, sulla carta, una soluzione vincente agli ingegneri di metà Novecento, ma sul campo, nella Florida centrale di oggi, si sta traducendo in un immane disastro.

Con l’espandersi, nel secondo Novecento, dello sviluppo immobiliare e delle attività agricole nell’entroterra un tempo selvaggio della Florida, hanno cominciato a essere immesse nel lago Okeechobee enormi quantità di fosforo, tanto che tra gli anni settanta e i primi anni 2000 le concentrazioni del nutriente nel lago sono all’incirca raddoppiate.

1. Ho visitato il cimitero nel 2018 per individuare le lapidi delle vittime dell’alluvione del 1926.
2. “Tampa Tribune”, 23 settembre 1926, p. 4.
3. “Appleton Post Crescent”, 9 febbraio 1929.
4. “St. Petersburg Times”, 26 settembre 1926.
5. “Miami News”, 23 settembre 1928.
6. M. Grunwald, The Swamp: The Everglades, Florida, and the Politics of Paradise, Simon & Schuster, New York 2006, p. 198.

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L’elemento del diavolo di Dan Egan | ESTRATTO

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