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di Paolo Risi

 

Un Paese, pubblicato da Einaudi nel 1955, apre la strada a una forma editoriale in cui immagini e testi apportano la medesima valenza espressiva.

Non soltanto parole a complemento di soggetti fotografici o viceversa, ma opera indivisibile, che mette a punto un nuovo, almeno per il nostro paese, stile narrativo.

Un Paese è figlio di un incontro, quello fra Cesare Zavattini, intellettuale poliedrico e sceneggiatore di punta del cinema neorealista, e il fotografo americano Paul Strand, pioniere della straight photography, di un approccio alla realtà diretto, essenziale, depurato da tentazioni di derivazione pittorica.

Punti di vista che in un certo senso collimano, quelli di Zavattini e Strand, almeno per quanto riguarda l’identificazione di un percorso artistico contraddistinto dalla veridicità, dall’elusione di presupposti e finalità dichiaratamente “drammaturgiche”.

Il desiderio di Strand di fotografare un piccolo villaggio, di coglierne volti e umanità in sordina, si materializza a partire dalla lettura dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, e di Winesburg, Ohio di Sherwood Anderson. Ma è soprattutto l’adesione al modernismo, orientamento sviluppatasi negli Stati Uniti a cavallo delle due guerre mondiali, a servire da detonatore culturale, da sorgente ispiratrice e di metodo.

È un cambiamento estetico, quello patrocinato da fotografi quali Paul Strand, Walker Evans, Edward Weston, che intercetta istanze politiche e di critica sociale, e che si irradia intorno alla figura del fotografo e gallerista Alfred Stieglitz, fautore della nascita dell’arte moderna negli Stati Uniti.

A proposito di Paul Strand, così si espresse Stieglitz: “Il suo lavoro affonda le radici nella migliore tradizione fotografica. La sua visione è potenziale. Il suo lavoro è puro, è diretto. Esso non si affida a trucchi nel processo. In qualunque cosa egli faccia c’è intelligenza applicata […] il lavoro è brutalmente diretto, privo di qualsiasi inganno, privo di ogni manipolazione e di qualsiasi “ismo”, privo di ogni tentativo di mistificare…

Strand frequenta il gruppo Photo Secession, fondato da Stieglitz, e comincia a pubblicare le sue foto nel 1916 su “Camera Work”, organo e manifesto dell’associazione. Subisce il fascino dell’arte astratta il giovane fotografo newyorchese, ma è la strada l’approdo naturale della sua poetica, il luogo dove la quotidianità si mostra senza ripensamenti e i volti si abbandonano all’autenticità. Sulle strade della Grande Mela scatta immagini iconiche, dall’indiscutibile valore formale (fra le altre la celeberrima Blind Woman in New York del 1915), che contribuirono a conferire alla fotografia una piena legittimazione artistica.

Negli anni a seguire Strand si occupa, oltreché di ricerca fotografica, di cinema, nelle vesti di produttore e filmaker. Nel 1948 approda in Francia – che diventerà la sua seconda patria – dove pubblicherà, in collaborazione con lo scrittore Claude Roy, il volume “La France de Profil”.

Il primo dopoguerra offre intanto, con le sue periferie invase dalle macerie e dalla povertà, l’impulso decisivo allo sviluppo del neorealismo italiano, che fa propria, in particolar modo, la lezione del cinema francese degli anni trenta, e che guarda con grande interesse alla fotografia americana dello stesso decennio.

Cesare Zavattini partecipa in maniera decisiva all’elaborazione del movimento neorealista, ne è finissimo tessitore, in qualità di soggettista e sceneggiatore, ma sa anche esserne puntigliosa voce critica, quando le rielaborazioni del canone travalicano, ad esempio, i limiti dell’oggettività.

In particolare è il sodalizio con il grande regista Vittorio de Sica (che non sarà immune da incomprensioni) a portare al compimento di opere fondamentali per la storia del cinema e per il patrimonio culturale italiano (ricordiamo Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D).

Le strade di Cesare Zavattini e Paul Strand si incrociano materialmente nel 1949, al Congresso dei Cineasti a Perugia. Ma la loro ricerca estetica e tematica, come già sottolineato, pesca da tempo in un fertile sentire comune.

Inizialmente l’idea di Zavattini è di coinvolgere alcuni importanti registi in una sorta di reportage narrativo a puntate, in cui le sensibilità di ognuno possano esprimersi nella descrizione per immagini di una città e dello spirito che le appartiene. Il progetto non riesce a decollare pienamente, ma acquista valore in quanto custodisce in sé i motivi che porteranno alla collaborazione fra lo scrittore italiano e il fotografo statunitense.

Quest’ultimo ha in animo da tempo di realizzare un libro fotografico che gli permetta di documentare la vita di un paese e di chi lo abita. Lo vuole fare immortalando sguardi ed esplorando gli ambienti dove si stratificano i destini di una comunità. Strand è alla ricerca di un paese italiano e Zavattini gli suggerisce il proprio, vale a dire Luzzara, comune della pianura padana fra Reggio Emilia e l’Oltrepò mantovano.

Il centro rurale, immerso nei silenzi e nelle circolarità stagionali, diviene così specchio di un popolo e della sua più intima essenza. Nei ritratti del fotografo americano si testimonia la sopportazione, la durezza di un’esistenza consacrata alla terra, alle sue esigenze ineludibili. Ma viene trasmesso anche un sentimento di speranza, quasi di sospensione in un momento storico, il dopoguerra, che prelude a enormi cambiamenti culturali e sociali. Il viaggio poetico e fotografico di Strand avviene fra il 1952 e il 1954, e le immagini che ne derivano troveranno completezza grazie alle didascalie basate sui racconti degli stessi luzzaresi, raccolte da Cesare Zavattini.

Le sensibilità dei due trovano in quest’opera un equilibrio che permette di entrare nelle radici antropologiche del nostro paese, di realizzare una ricerca sociologica senza mai forzare i soggetti, anzi rispettandoli profondamente, in linea con l’etica che entrambi, in paesi e contesti diversi, avevano teorizzato.” (Giacomo Nencioni).

Mi ero accorto di non conoscere l’Italia se non attraverso dei libri o dei preconcetti, e mi pareva che un paziente inoltrarmi nei luoghi, nelle persone, negli interessi di tutta questa gente che aveva tante cose in comune con me, fosse il solo modo per cercare, goccia nel mare, di entrare nella storia.” (Cesare Zavattini).

Un Paese di Strand e Zavattini getterà un seme che darà frutti copiosi negli anni a venire. Primo fra tutti l’opera Un paese vent’anni dopo (pubblicata da Einaudi nel 1976), ricognizione del fotografo Gianni Berengo Gardin negli stessi luoghi del predecessore americano. A collegare le due esperienze visive e antropologiche ancora una volta la figura carismatica di Cesare Zavattini, orchestratore di storie e di frammenti di vita.

Seguiranno i progetti, fra gli altri, di Luigi Ghirri, che inserirà alcuni scatti effettuati a Luzzara nella raccolta Il profilo delle nuvole (1989), confezionata insieme all’amico scrittore Gianni Celati, e quelli realizzati da Stephen Shore (Stephen Shore, Luzzara del 1993), da Olivo Barbieri (40 anni ma sembra ieri per il settimanale Specchio nel 1996) e dai fotografi reggiani Marcello Grassi e Fabrizio Orsi, fautori (insieme a Luciano Ligabue) del progetto Luzzara. Cinquant’anni e più… del 2004.

www.fondazioneunpaese.org

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Letteratura e fotografia | Un paese, Cesare Zavattini e Paul Strand

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