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ThinkTank: Ecocritica e predizione delle pandemie in letteratura – dialogo con la Prof.ssa Carmen Concilio

Ecocritica ambiente e letteratura: questa intervista si colloca nell’ambito delle attività di “ThinkTank” del progetto “Prose selvatiche”, Osservatorio sull’eco-fiction in Italia e all’estero. Il ThinkTank prevede approfondimenti con esperti e studiosi, ovvero il dialogo attivo tematico e la sua restituzione a favore di un dibattito allargato.

Ringraziamo pertanto la Prof.ssa Carmen Concilio per questo contributo concesso al nostro progetto.

Carmen Concilio insegna Letteratura inglese e postcoloniale all’Università di Torino. Recentemente ha curato con Daniela Fargione il volume «Antroposcenari. Storie, paesaggi, ecologie» (2018); ha pubblicato «Word and Image in Literature and the Visual Arts» (2016) e «New Critical Patterns in Postcolonial Discourse» (2012). È presidente dell’Associazione italiana di studi sulle letterature e culture in inglese e coordinatrice dell’AISCLI Summer School.

 


Il focus di questa intervista sarà relativo ai seguenti punti:
– narrativa internazionale e predizione di eventi pandemici
– duttilità dei dispositivi narrativi rispetto alla rappresentazione dei fenomeni (scelte stilistiche ad esempio ibridazioni tra saggio e romanzo, organizzazione temporale etc.)
– eco-fiction ed ecocritica


La letteratura ci ha mostrato in molte occasioni la sua qualità predittiva e anticipatoria rispetto agli scenari umani. Gli eventi pandemici allo stesso modo hanno spesso ottenuto spazio nelle narrazioni, in relazione all’osservazione della interconnessione con altri fenomeni come l’emergenza climatica o i flussi migratori.
A suo avviso, in che modo la narrativa moderna e contemporanea sta offrendo modelli di genere in questo senso?

Per rispondere a questa domanda vorrei partire da un esempio concreto: la trilogia narrativa di Margaret Atwood, Maddaddam, pubblicata tra il 2003 e il 2013. È stata scritta negli anni in cui si diffondevano la SARS e l’Aviaria, che in Canada hanno destato una certa attenzione. In quei volumi si parla di un’apocalisse, chiamata “diluvio senz’acqua”, che in realtà è una pandemia destinata ad estinguere il genere umano per garantire la sopravvivenza di una nuova specie vivente. Se letto oggi, come mi ha scritto una studentessa, produce un effetto predittivo angosciante. Atwood parla infatti di un mondo altamente tecnologizzato, dove però il capitalismo ha portato all’estremo la mercificazione persino dei corpi ma ha estinto i più semplici beni di largo consumo. Le medicine curative scarseggiano e si moltiplicano invece esperimenti a danno della specie umana. Inoltre, descrive una società polarizzata in piccole enclaves chiuse da cui i più poveri – detti plebaglia – sono esclusi. Per finire, oltre a descrivere forze paramilitari che controllano la popolazione con metodi repressivi, dipinge le carceri come luoghi ove si svolgono – sul modello delle antiche lotte dei gladiatori – battaglie mirate all’annientamento animalesco dell’altro, in cui sopravvive solo il più forte. Ora non è difficile rabbrividire di fronte a queste ipotesi di un futuro che non è più soltanto vicino, ipotetico o fantascientifico, ma è adesso: così evocativo della situazione attuale. Atwood parla di “ustopia”, un incontro fra utopia e distopia, perché fortunatamente un modello alternativo viene proposto: sono “i giardinieri di Dio”, un gruppo di attivisti ambientali che promuovono un ritorno a modelli di vita semplice e sostenibile e vedono il pianeta come un giardino da curare, senza sottovalutare, tra l’altro, problemi come una maggiore irradiazione solare da cui occorre proteggersi o la mancanza d’acqua che rende difficile le coltivazioni. Infine, l’autrice per meglio definirei il genere dei suoi romanzi si avvale della categoria di “letteratura speculativa” proprio per sottolinearne la natura predittiva.

isola dei fucili GoshPensiamo anche all’ultimo romanzo di Amitav Ghosh, L’isola dei fucili (Neri Pozza 2019), che descrive una scena concitata di acqua alta a Venezia. Quando poi si è recato in Italia nel mese di novembre 2019 per il lancio della traduzione italiana, Venezia è stata colpita non solo da acqua alta, ma da venti sferzanti che hanno con violenza scagliato l’acqua contro i pontili, allagando negozi, chiese e provocando danni ingenti. Questo conferma che la letteratura non racconta storielle evasive, ma ci spalanca scenari reali, se solo tenessimo gli occhi aperti e non ci abbandonassimo, come dice Ghosh, alla più completa cecità.

Ghosh, tuttavia, non ha pre-visto solo situazioni critiche legate al clima e all’ambiente ma ha anche messo in scena una quarantena economica nel secondo volume della trilogia della Ibis:il fiume dell'oppio (Neri Pozza 2012). Anna Nadotti, traduttrice insieme a Norman Gobetti delle opere di Ghosh, me lo ricordava qualche giorno fa, quando commentavamo gli ultimi interventi di Ghosh su quotidiani italiani e media stranieri. Questo mi ha ricordato che recensendo quel volume, scrivevo che il lettore così come il narratore erano bloccati lì alla foce del fiume insieme ai mercanti indiani e britannici, fermati a Canton, a cui il governo cinese impediva di risalire il fiume per il commercio dell’oppio, ora bandito. L’attesa estenuante, l’immobilità, la reclusione presso le Hong, sedi commerciali internazionali, l’incertezza e il calcolo delle perdite economiche e finanziarie di Londra angosciano i mercanti inducendoli ad azioni criminose di contrabbando. Il valore predittivo della lettura è indubbio e allora concordo nel definire la letteratura un “presidio” che misura e protegge il gradiente della nostra umanità, del nostro umanesimo e umanitarismo, ma anche un “sismografo di precisione” rispetto a quanto il presente e il futuro ci riservano.


La narrativa che prova a raccontare le emergenze, rompe gli schemi classici e la formula del romanzo si è riadattata nei suoi dispositivi a una rappresentazione fluida, che indica uno stato di incertezza o di mancanza di radicazioni territoriali e culturali, mi viene da pensare alla letteratura di confine. Cosa è possibile osservare?


Se per letteratura di confine s’intende la letteratura della migrazione, allora è facile notare che si tratta di narrazioni frammentate. Prima di tutto la frattura è temporale: c’è un prima e un dopo. Le guerre, le carestie, le violenze politiche o private sono eventi traumatici che fratturano l’esperienza di vita dei protagonisti. La frattura diventa poi geografica e culturale quando si pone l’individuo in sospensione tra due mondi, due patrie, due lingue, due modelli di vita che minano il senso d’identità e la percezione di sé. Spesso queste narrazioni risultano frammentarie dal punto di vista della tecnica narrativa. Per esempio l’ultimo romanzo di Amitav Ghosh, L’Isola dei fucili, dedicato ai cambiamenti climatici e ai migranti del Bangladesh giunti in Italia, mostra la chiara intenzione di abbandonare il realismo del romanzo borghese non seguendo una narrazione lineare, bensì creando un collage di situazioni che vanno dalla distruzione della foresta di Val Visdende, ai roghi della California, allo spiaggiamento dei delfini nel Golfo del Bengala, all’acqua alta a Venezia, legando leggende della tradizione orale bengalese al primo incunabolo stampato prodotto nel Ghetto di Venezia alla fine del Quattrocento. Questo che è anche un romanzo storico, il cui incipit è un poema epico e il cui finale è un reportage condotto attraverso interviste ai migranti ora residenti in Italia, dimostra che i fenomeni climatici estremi sono “patchy”, per usare l’espressione dell’antropologa americana Anna Tzing, vale a dire che fenomeni estremi diversi per intensità accadono in zone diverse del pianeta, lontane tra loro, e solo una struttura narrativa “a patchwork” che tiene conto di tali “emersioni” può renderne ragione. Resi frammentari tempo e luogo, smantellati i confini di genere, il realismo subisce un ultimo attacco grazie alla presenza di coincidenze che permettono l’incontro con l’uncanny e aprono il mondo non al soprannaturale, non al meraviglioso, non al surreale, bensì a “iperoggetti”, per dirlo con Timothy Morton, accadimenti che si configurano come oggetti da studiare, fenomeni e complesse relazioni di causa ed effetto ma anche casualità coincidenti, reali e incredibili ad un tempo: può trattarsi di uragani come della migrazione delle balene, o l’arrivo di un barcone di migranti attraverso il Mediterraneo.

Come potremmo definire l’eco-fiction e quali gli esempi letterari a cui guardare?

Ormai sono molteplici le opere letterarie ispirate a tematiche ambientali. Un esempio fra tutti è il romanzo Il sussurro del mondo (La nave di Teseo 2019) di Richard Powers, un romanzo originalissimo che prende a pretesto gli alberi per raccontarne i sistemi di comunicazione e allerta per la presenza di parassiti, la loro simbiosi con funghi e insetti, la loro capacità di vivere in colonie cooperative, ma anche la loro vulnerabilità quando vengono abbattuti dalla deforestazione o da parassiti, come nel caso dei castagni della costa orientale degli Stati Uniti. Ogni capitolo segue un personaggio diverso o i suoi discendenti ed eredi, che hanno una relazione speciale con un particolare albero o specie arborea. In questo modo produce una mappa delle specie vegetali del Nordamerica cui si sovrappone la mappa dei pregiudizi per cui gli alberi vengono percepiti come non senzienti e ridotti ad un settore merceologico, ultimo gradino, insieme ai minerali, dell’alterità rappresentata dal mondo vegetale, non umano, secondo la concezione filosofica occidentale. Esempi illuminanti di letteratura ecocritica se ne trovano nei cinque continenti.

Altrettanto interessante, però, è guardare alla letteratura del passato, la cosiddetta letteratura del canone. Allora pensiamo a Shakespeare, certamente non uno scrittore ambientalista. Pensiamo a The Tempest, dramma teatrale in cui la tempesta è finzione per antonomasia, prodotta sul palcoscenico con trucchi d’epoca, rumori, suoni e musica tali da imitare tuoni, fulmini e vento sferzante. La tempesta che crea il prologo del dramma, è una tempesta artificiale, finta, artificiosa, frutto della magia di Prospero, ex Duca di Milano e studioso di arti magiche. Nulla di più finto, teatrale, letterario. Eppure, Shakespeare nell’inscenare una tempesta, aveva compreso e anticipato una verità che riguarda i cambiamenti climatici di oggi come di ieri, che i governi non possono e non debbono ignorare: ogni evento naturale – tanto più eventi violenti e distruttivi come uragani, tsunami e siccità – produce distruzioni materiali e sconvolgimenti naturali ma anche e immediatamente scompensi sociali. Quando la tempesta si abbatte sulla nave provocando un naufragio, sconquassando i legni dell’imbarcazione, la ciurma si mette a dar ordini in malo modo agli aristocratici passeggeri e i componenti della famiglia reale e i marinai vengono separati e dispersi sull’isola d’approdo. Insomma il caos della natura si ritorce in disordine sociale. Oggi il virus ci ha posti di fronte al caos finanziario delle borse, ma anche alle rivolte nelle carceri, a rabbia o rassegnazione per chi senza lavoro e senza diritti non può neppure procurarsi il cibo. Più ancora, l’uragano Katrina aveva evidenziato che i danni materiali procurati dall’abnorme forza della natura si sono tradotti in drammi sociali di chi, sfollato in un campo sportivo per giorni e giorni (Luisiana Superdome) – dove sono accaduti stupri e atti di violenza, mai pienamente confermati dalle autorità – tra le fasce più povere e deboli della popolazione di colore, si è visto poi caricato su autobus per destinazioni ignote, che non ha potuto scegliere, lontano da amici e parenti che avrebbe voluto raggiungere o con cui avrebbe desiderato ricongiungersi. Separare la giustizia sociale da quella ambientale è estremamente pericoloso, ammonisce Amitav Ghosh nel suo saggio La grande cecità. Si può cominciare da qui, anche da un’attenta rilettura dei capolavori classici.

Qual è il ruolo dell’ecocritica nella visione critica attuale

L’ecocritica ha un compito, una missione, renderci consapevoli e aiutarci nello studio di soluzioni, piccole e grandi, praticabili, sostenibili, nuove, locali e globali. La svolta neoliberista ci ha distratti e abbagliati con una idea di progresso lineare in perenne ascesa, indici di borsa da raggiungere e mantenere alti, Pil di paesi in crescita da emulare. Tuttavia ci siamo resi conto ora di quanto basti poco per arrestare tutto questo. Forse abbiamo concentrato la produzione di beni su oggetti del desiderio sbagliati, automobili, elettrodomestici, inutili gadget che ci parlano dagli angoli dei nostri salotti e invece non abbiamo curato le infrastrutture, quelle che garantiscono eque cure mediche per tutti. Se visitiamo la mostra Antropocene curata dal fotografo canadese Edward Burtinsky ci rendiamo conto delle gigantesche dimensioni di queste produzioni industriali che ora, a ben vedere, ci paiono insensate. Questa quarantena ci costringerà a guardare il mondo in modo diverso e a riconsiderare la scala delle nostre priorità anche quelle produttive, quelle comunicative, quelle educative.

Lei è co-autrice insieme a Daniela Fargione del saggio edito da Il Mulino 2018 “Antroposcenari. Storie, paesaggi, ecologie”. Si legge che:  il saggio è il risultato del confronto e del dibattito aperto di vari studiosi di scienze umane ambientali (o «environmental humanities»).

Cosa sono dunque le “environmental humanities”?

Le “environmental humanities” sono proprio questa arena culturale aperta al dialogo tra discipline diverse, in cui gli studi letterari non hanno un ruolo secondario o ancillare, ma innescano raccordi con antropologia e sociologia, ma anche meteorologia e biologia per costruire un sapere condiviso, e anche un nuovo linguaggio e un nuovo metodo scientifico, per la formazione dei giovani che in futuro sempre più dovranno affrontare gli effetti del cambiamento climatico.

Se volessimo fare una panoramica attualizzata rispetto alle tematiche principali che affliggono il quotidiano (pandemie, emergenza climatica flussi migratori) quali libri si sente di consigliare per allargare la riflessione?

Mi piace ricordare il saggio di Eduard Glissant La poetica della relazione (Quodlibet 2007) che, a partire dall’esperienza coloniale fondata sul principio dello sfruttamento, e da un posizionamento marginale ed eccentrico, i Caraibi e Martinica, quindi arcipelagico, studia le relazioni non come sistemi fissi, chiari ed evidenti, bensì come sistemi dinamici caratterizzati da opacità. In quanto a fare di ciò una poetica, una filosofia, questa rimane una sfida aperta. Anche le opere di Rachel Carson, biologa marina, di cui va ricordata la sua trilogia sugli oceani e poi il volume che la contrassegna quale pioniera dell’ecocritica, Primavera silenziosa (Feltrinelli, 1963). in primavera silenziosacui mette in relazione l’assenza di uccelli con l’utilizzo di pesticidi. Anche l’opera di Vandana Shiva, fisica indiana, Le guerre dell’acqua (Feltrinelli 2004) mette in guardia rispetto a problematiche che sono globali.

La letteratura, poi, offre una varietà di testi per tutti i gusti, da David Thoreau a Richard Powers, appunto, ma la poesia ha esempi altrettanto clamorosi in tutte le lingue, mentre il teatro ambientalista oggi viene guardato come una forma di didattica innovativa per le giovani generazioni, specialmente per le scuole.

Consideriamo tuttavia che, mentre è molto noto, per esempio, il caso del romanzo di Barbara Kingsolver La collina delle farfalle (Neri Pozza, 2018), forse meno noto è il romanzo della scrittrice canadese Jane Urquhart, Sanctuary Line (Nutrimenti 2018), anch’esso dedicato alle farfalle, ai loro cicli migratori e al delicato equilibrio che caratterizza il loro ecosistema, che sono come tutti gli insetti e gli uccelli impollinatori, soggette alla minaccia dei pesticidi, dell’inquinamento e della deforestazione. In Italia, tra le prime a rintracciare il discorso ecocritico nella letteratura italiana vi è Serenella Iovino, ora docente negli Stati Uniti, le cui opere saggistiche sono un utile strumento scientifico di approfondimento su autori come, tra gli altri, Italo Calvino e Primo Levi. Ciascuno può costruire le proprie biblioteche ecologiste, non occorre essere prescrittivi. Come ho detto, anche la rilettura dei classici può rivelarci sorprese, oppure come scrive lo psicoanalista Vittorio Lingiardi nel suo saggio Mindscapes, Psiche nel paesaggio (Raffello Cortina 2017), si possono far dialogare “autori diversi e non sempre contigui – per esempio, Bion e Schnitzler, Meltzer e Zanzotto, Bollas e Zambrano”.

Dunque, la raccomandazione agli editori è di prestare attenzione alla produzione letteraria di tutti i continenti e di tutti i paesi e di incrementare le traduzioni, per quanto in Italia, va detto, questa è una buona pratica già in atto. La raccomandazione ai lettori è di scegliere letture non scontate, non necessariamente mainstream, ma di attingere con attenzione al vasto patrimonio e presidio letterario dell’umanità.


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ThinkTank: Ecocritica e predizione delle pandemie in letteratura – dialogo con la Prof.ssa Carmen Concilio

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