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di Antonio Russo De Vivo

scrivereLa scrittura pone problemi che la scrittura non può risolvere. Tipo:
«quella persona lì, la vedi? è un personaggio.»
«nel senso che è strana, assurda, ecc.?»
«no no, proprio nel senso che è un personaggio del mio libro.»
«ma è giusto?»
«massì, tanto ho cambiato il nome.»
«e il resto?»
«il resto è lui.»
Ecco. Senza voler intraprendere il discorso insoluto/insolubile del rapporto tra narrazione e realtà, soffermiamoci su una questione comune: personaggi che hanno caratteristiche di persone reali o che si ispirano a. Mi chiedo e vi chiedo: è giusto che qualcuno si ritrovi tutto intero o in parte, a eccezione dei dati anagrafici, su libro? Il vampirismo dello scrittore, mi risponderete, è cosa comunemente accettata. Vero, ma ciò non toglie che sia discutibile.

A ritroso.
Ortese Anna Maria, scrittrice tra le maggiori della nostra letteratura novecentesca, è autrice di uno dei libri più belli in quanto crudeli e fuori dai cliché (come richiedeva in altra sede Rea Domenico, vedi il saggio Le due Napoli, datato 1951) su una città barocca porosa seducente insidiosa quale è Napoli: Il mare non bagna Napoli (1953). È una raccolta di racconti, e quello che preferisco pone il nostro problema in discussione. Ne Il silenzio della ragione Ortese Anna Maria getta uno sguardo allucinato sugli scrittori e intellettuali di Napoli che aveva conosciuto. I personaggi del racconto sono proprio quegli scrittori e intellettuali di Napoli, con tanto di dati anagrafici. Tra questi è presente, seppur solo sfiorato, La Capria Raffaele, che in Napolitan graffiti (1998) scrive: «ammiro la scrittrice di questo libro, nello stesso tempo provo un invincibile disagio. E continuo a ragionare…». La Capria Raffaele non riesce ad accettare quel fare da entomologa con cui Ortese Anna Maria scrive/descrive/immagina/rappresenta quegli scrittori e intellettuali di Napoli che hanno fallito. La Capria Raffaele usa una parola che, per la scrittura, potrebbe sembrarci mostruosa: «deontologia». La sua domanda è questa:
«Deve, anche uno scrittore, specie se è un narratore, obbedire a una sua deontologia professionale, e non tanto per amicizia o lealtà verso le persone, ma per un principio che ogni artista dovrebbe rispettare?»
Una domanda, come si vede, che insinua una risposta. L’unica risposta, anzi, che riesce a trovare è proprio in questa domanda, perché per il resto, per quanto tenti di ragionare, La Capria Raffaele esprime solo il suo disagio, il suo umano disagio.

Noi, invece, dubbi non ne abbiamo. Vi è una questione etica, ma l’opera letteraria può sottostare solo a questioni legali. Non ci aspettiamo che uno scrittore sia giusto, ci aspettiamo che uno scrittore sappia scrivere. Uno scrittore non è un giornalista, non è un educatore, non è un modello di comportamento; cioè, potrebbe essere tutto questo, ma la priorità è altrove. La scrittura pone problemi che la scrittura non può risolvere: sono problemi che emergono, ma non le appartengono. E questo lo sa anche La Capria Raffaele, e lo dice nel passo in cui, sempre a disagio, si chiede perché, in una prefazione distante anni dall’opera, Ortese Anna Maria il problema non se lo sia posto affatto:
«avrebbe potuto dire che se un libro è un bel libro – e certo Il mare è un bel libro – tutto si giustifica, perché è la bellezza del risultato che conta e in questo caso assolve».

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Scrittura: e quando i personaggi sono vivi?

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