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Addicted
Serie tv e dipendenze
Autori: Carlotta Susca, Jacopo Cirillo, Leonardo Gregorio, Marika Di Maro, Michele Casella
LiberAria 2017

di Paolo Risi

 

Addicted – Serie TV e dipendenze è composto da cinque saggi i cui autori hanno interpretato in vario modo il rapporto fra serie TV e dipendenze.

Passione e conoscenza profonda della materia si legano in una pubblicazione agile e graficamente accattivante, che ha il merito di coinvolgere il lettore senza gravarlo di troppi presupposti teorici. Parallelamente al ritmo intrinseco delle serie televisive, scalpita l’aspirazione degli autori a condividere un sapere che riguarda uno dei fenomeni massmediatici più rilevanti degli ultimi anni.

La leggibilità di Addicted non fa distinzioni tra patiti dell’intrattenimento seriale, profani e simpatizzanti più o meno evoluti: per ognuna di queste (e di ulteriori) categorie si delineano naturalmente riflessioni a 360 gradi, ghiotte curiosità e strumenti di interpretazione dei processi di scrittura.

Le serie TV sono oggetti culturali complessi, con archi narrativi lunghi e tanti nomi e avvenimenti da ricordare, anche a distanza di mesi, anni addirittura. Provare a sistematizzarle attraverso un discorso comune (in questo caso la dipendenza) aiuta la comprensione del loro funzionamento e, dunque, la capacità di gestire e ordinare meglio la mole infinita di informazioni che ci riversano nel cervello. Analizzare, scomporre, destrutturare non significa rovinarsi il divertimento ma, al contrario, disporsi a un divertimento ancora maggiore. (Jacopo Cirillo)

A partire dal piacere primario, cioè il film, si estendono molteplici possibilità di adattamento e di sviluppo del racconto. Leonardo Gregorio, nel saggio Le altre vite del cinema, prende in esame tre serie per il piccolo schermo di recente produzione (Ash vs Evil Dead, Minority Report, Fargo) per metterle in relazione con le pellicole cinematografiche da cui prendono spunto. Vengono analizzati i differenti principi alla base del lavoro di scrittura e di messa in scena, i fattori e le scelte ideative che hanno specificato il “senso” delle tre serie televisive. Se Ash vs Evil Dead propone una rilettura nostalgica, per certi versi celebrativa, della trilogia horror di Sam Raimi (da The Evil Dead del 1981), la serie Minority Report persegue perlopiù fini commerciali, sbandando al cospetto del film e del racconto a cui si è ispirata, mentre Fargo percorre una strada per così dire esegetica, andando poi a smascherare nuove attitudini e dilatando l’immaginario dei fratelli Coen, registi dell’omonimo film del 1996.

Il rapporto fra immagine e suono è campo di indagine per Michele Casella in Il ritmo delle storie. In che modo audio e video si connettono all’interno di un format seriale? Quali strategie e intuizioni sono alla base della composizione di una partitura sonora? Di certo la soundtrack diventa rilevante nel definire una modalità comunicativa, assumendo un ruolo paritario nella costruzione e nello sviluppo di una sceneggiatura. Ne è testimonianza Twin Peaks di David Lynch, dove la soundtrack scritta da Angelo Badalamenti assieme allo stesso Lynch intercetta, al di là del commento sonoro, suoni d’ambiente che supportano e se possibile esaltano il talento immaginifico del regista statunitense. Melodia e ritmo in Twin Peaks galvanizzano l’apparato sensoriale di chi osserva e ascolta, in un ipnotico rimpallo fra smarrimento e illuminazione. Il discorso di Casella si concentra poi su altre serie televisive, sulle specificità delle loro colonne sonore e sui mondi narrativi che da esse originano. Vengono così prese in considerazione, in una rigorosa analisi ad ampio spettro, le serie The Knick, Stranger Things, Sense8, The Get Down, Vinyl, Gomorra.

Strategie narrative per alimentare la dipendenza dello spettatore recita il sottotitolo del capitolo (La trama e il personaggio) che Marika Di Maro dedica a due elementi cardine della narrazione. A partire dall’assunto che identifica l’atto del narrare come una delle forme più alte di comunicazione, vengono indagate le peculiarità che rendono attrattive, e in molti casi fenomeni culturali, le moderne serie TV. Puntando sull’impostazione plot driven, che dà priorità all’intreccio, o su quella character driven, incentrata sul personaggio e sul suo percorso evolutivo, le storie sequenziali creano curiosità e interesse, inducendo nello spettatore un meccanismo psicologico di dipendenza. Ne sono due esempi significativi Pretty Little Liars, serie televisiva statunitense ideata da Marlene King, contraddistinta da molteplici sovrapposizioni narrative, e The Big Bang Theory, commedia giunta alla decima stagione, che fa perno sull’eccezionalità e sulla complessità dei suoi personaggi principali.

La dipendenza, vista come estremizzazione e devianza del desiderio, è al centro del saggio Love addicted proposto da Jacopo Cirillo, che chiama in causa le serie The Affair, Fleabag, Ray Donovan, Love, You’ re The Worst. A partire dalle cinque serie TV, che si differenziano per toni e temi trattati (crime, comedy, black comedy, dramedy, drama), viene analizzato il modo in cui la dipendenza affettiva (love addiction) genera e organizza le storie, gli intrecci e le funzioni dei protagonisti. Adottando la categoria timica (sorta di misuratore della reazione agli stimoli esterni, a cavallo fra euforia e disforia) il discorso su dipendenza e serie televisive si amplia su un duplice fronte investigativo, volto alla comprensione più accurata degli intrecci narrativi e all’emancipazione dall’originale messaggio autoriale. Lungi dall’appesantire un’attività ricreativa che nulla ha di gravoso, le argomentazioni di Jacopo Cirillo invitano a usufruire dei prodotti culturali di intrattenimento adottando personali visioni e chiavi di lettura.

Carlotta Susca (che è anche curatrice del volume edito da LiberAria) con il capitolo intitolato The end pone l’accento sulle possibili modalità di chiusura di una storia, evento stabilizzante della narrazione e garante della credibilità di una trama. La potenzialità di un finale ben congegnato è straordinaria: in un certo senso può decretare o meno il successo di un format televisivo, suscitando affezione o sgomento, in una progressione emotiva fatta di “attese e speculazioni, di investimenti emotivi nei confronti dei personaggi e delle loro storie”. È la tensione verso il finale a far impennare il livello di dipendenza di uno spettatore: ne scaturiranno sessioni notturne di fruizione compulsiva o fine settimana di binge watching per scoprire chi è il colpevole o come viene catturato.

Anche in questo caso il saggio innesca le proprie riflessioni partendo dalla descrizione puntuale di opere televisive seriali. Dai due finali di How I Met Your Mother (“dopo nove anni di visione e partecipazione emotiva”) al finale preteso a furor di popolo della serie TV Sense8 e alla riproposizione dei mondi narrativi evocati dalla serie Twin Peaks (a ventisei anni di distanza dalla prima messa in onda), si testimonia la malleabilità del mezzo audiovisivo, l’interconnessione sempre più profonda fra spettatore e progetto narrativo, la facoltà di sperimentare e di rinunciare alla tensione lineare che conduce inesorabilmente verso la parola fine.

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Addicted Serie tv e dipendenze | a cura di Carlotta Susca

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