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Una ragazza  nella giungla di Calais | Delphine Coulin
Traduzione di Alessandro Di Lelio.
Gremese 2019

“Una ragazza nella giungla di Calais” affronta l’attualissima la tematica dell’immigrazione- La scrittrice francese Delphine Coulin  ci offre un libro sull’immigrazione vista con gli occhi di sei giovanissimi migranti abbandonati a se stessi e che sognano un “paradiso” lontano appena 33 km di mare.

Delphine Coulin è scrittrice e cineasta. I suoi libri – Les Traces (2004), Une seconde de plus (2006), Les Mille-Vies (2008), Samba pour la France (2011) e Voir du pays (2013) – sono tradotti in una decina di lingue straniere. Da Samba pour la France, pubblicato in Italia da Rizzoli, nel 2015 è stato tratto un film di successo.


su concessione della casa editrice proponiamo la lettura di un Estratto

HAWA

Pensava che in Libia sarebbe stato diverso, e invece era andata peggio. I trafficanti l’avevano consegnata direttamente alla polizia, che l’aveva separata dalla piccola eritrea. I poliziotti avevano trovato subito il nascondiglio nella fodera dei pantaloni, e si erano presi tutti i soldi che le restavano, poi l’avevano messa in una stanza con una ventina di uomini e donne africani. C’era sangue sui muri, e aveva presto capito il perché: ci torturavano quelli per i quali chiedevano un riscatto. Ne sceglievano due o tre, li picchiavano o li sottoponevano alle scosse elettriche sui piedi o sui genitali, li appendevano per le braccia, e poi chiamavano i loro parenti in Eritrea o in Etiopia chiedendo soldi. Molti soldi, decine di migliaia di dollari, che le famiglie non potevano pagare in nessun modo. Le donne venivano maltrattate di meno, perché dovevano rimanere presentabili.

E per loro, raramente veniva chiesto un riscatto. Le vendevano, direttamente.

Erano arrivati dei nigeriani che facevano la tratta di africani tra il Sudan e la Libia o Israele, e avevano comprato sei ragazze, tra cui Hawa. Stavolta l’avevano caricata su una 4×4 e avevano viaggiato a lungo fino a un’enorme città, come lei non ne aveva mai viste. Aveva un nuovo padrone, in una grande abitazione dalla quale non poteva uscire mai, con la scusa che avrebbe potuto farsi prendere, senza documenti. Non vedeva mai la luce del sole e rimaneva chiusa in quella casa di pietra dove tutto era duro. Non sapeva nemmeno quante persone ci vivevano, non le aveva viste tutte. Sentiva solo le voci dei bambini, e qualche volta dei rumori all’esterno. Quando ripensava a questo periodo non aveva alcun ricordo di palazzi o vie, ma solo delle sue mani che lavoravano, delle urla che le ordinavano di andare più veloce, e delle botte sulla schiena.

Una notte, era di nuovo riuscita a scappare. Aveva camminato senza sosta per la città fino a quando si era imbattuta in una famiglia di etiopi che viveva per strada. Uno di essi le aveva detto che si trovavano a Tripoli, in Libia. Aveva dormito con loro sotto un ponte, poi aveva chiesto come arrivare al porto, dove si diceva ci fossero dei trafficanti che trasportavano la gente in Europa. Questa volta, era stata lei a offrire il proprio corpo per farsi traghettare sull’altra sponda. Era fiera di averlo proposto lei per prima, e del fatto che l’uomo avesse subito accettato. La cosa le aveva anche permesso di infilare un nuovo rotolino di banconote nella fodera. L’uomo le ansimava nell’orecchio andando su e giù col bacino mentre lei guardava l’oscurità densa sopra di loro, e nonostante l’odore acre di lui le desse la nausea e il suo sesso le facesse male, al solo pensiero di quanto era stata coraggiosa, di come aveva preso in mano la sua nuova vita e di come tutto ciò l’avrebbe portata lontano si sentiva riempire di forza, e quasi di gioia, per il viaggio che doveva affrontare. Fino ad allora non aveva mai deciso da sola, erano stati gli adulti a scegliere per lei, ma le cose sarebbero cambiate e tutto sarebbe andato per il meglio. Aveva pensato allo sguardo severo di suo padre, che diventava così fiero quando incontrava il suo. E si convinse che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per avere una bella vita, ma anche che era meglio che suo padre morisse prima di scoprire in che modo ci sarebbe riuscita. Ed era ormai una donna alta e snella quella che aveva raggiunto la banchina per la partenza. Sapeva che avrebbe fatto di tutto per difendere la sua libertà.

Non aveva mai visto il mare, e non sapeva nuotare. Era salita su un barcone con almeno altre cento persone a bordo, e dato che l’avevano messa in mezzo ai ragazzini poteva restare all’esterno, sul ponte. Era fortunata, perché di sotto la puzza di pesce e di benzina era talmente forte che qualcuno cominciava a vomitare appena partito. L’odore del vomito le arrivava fino alle narici, allora aveva provato a coprirsi il naso con la giacca, ma il tanfo continuava a riempirle la testa e aveva cominciato a tremare, a sudare, provava a non pensarci ma l’odore, il pensiero dell’odore, i lamenti degli altri le facevano venire i conati. Il suo stomaco ormai viveva di vita propria e si ribellava contro ciò che gli veniva fatto subire, mentre la sua mente non rispondeva più. S’è messa a vomitare, anche gli altri attorno a lei, tutti si vomitavano addosso. Per la prima volta s’era rassegnata al puzzo, stava così male che non le importava nemmeno più di restare pulita.

Soffrivano a tal punto che qualcuno non aveva resistito. I più vecchi e i più giovani si erano sentiti sempre peggio, e alcuni di loro non si erano svegliati più. Il capitano aveva fatto gettare a mare i corpi.

Lei non aveva mai visto un morto.

Poi una donna aveva partorito sulla barca, e Hawa aveva potuto vedere il bambino.

Tutto questo succedeva prima di arrivare in Europa, dove tutto sarebbe andato meglio.

 

 

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Libri sull’emigrazione: in anteprima su ZEST un estratto di “Una ragazza nella giungla di Calais” – Delphine Coulin

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