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fotografia di Dino Ignani

Intervista di Alessandro Canzian a Giovanna Rosadini

Per questo appuntamento de Il Teeteto: dialoghi poetici ho chiesto ad alcuni amici cosa pensano della poesia, della loro poesia, e quali suggerimenti vorrebbero dare ai poeti emergenti e che lavorano oggi. La prima amica a cui ho fatto tali domande è Giovanna Rosadini.

 

Come definiresti la Poesia? A cosa serve?

La poesia, come ha scritto Giovanni Raboni, “è un linguaggio: un linguaggio diverso da quello che usiamo per comunicare nella vita quotidiana e di gran lunga più ricco, più completo, più compiutamente umano; un linguaggio al tempo stesso accuratamente premeditato e profondamente involontario, capace di connettere fra loro le cose che si vedono e quelle che non si vedono, di mettere in relazione ciò che sappiamo con ciò che non sappiamo (…) La poesia non è né uno stato d’animo a priori né una condizione di privilegio né una realtà migliore (…) la poesia, in sé, non esiste – esiste soltanto, di volta in volta, e ogni volta inaudita, ogni volta imprevedibile e irrecusabile, ogni volta identica solo a se stessa, nelle parole dei poeti”. In questo senso, Raboni parlava, e auspicava, di rimpiazzare il fantasma della poesia con la poesia in carne e ossa, “la poesia che si fa”.
Per quanto mi riguarda, dovendo dare una definizione di poesia (sono incerta se mantenere il maiuscolo della domanda, a dire il vero non mi viene), non posso, e in ciò mi riconnetto alla prima definizione di Raboni, sviluppandola ulteriormente, non identificarla con un’esperienza del mondo. La poesia, per me, è un’esperienza del mondo. Il poeta esperisce il mondo attraverso il linguaggio, in particolar modo quel linguaggio intensificato e soprassaturo proprio della poesia, che del mondo può e sa cogliere l’essenza, i sottintesi, le sfumature, e traduce la sua individuale e irripetibile esperienza per il lettore. Il linguaggio assume così una funzione biunivoca. Da una parte serve al poeta per conoscere il mondo (in senso biblico, mi viene da dire: la conoscenza avviene tramite la nominazione, le cose esistono e prendono vita attraverso le parole che gli attribuiamo, che le definiscono, a maggior ragione per quanto riguarda il processo creativo, legato all’individualità del soggetto che lo opera e dunque avulso da banalità e standardizzazione, quando riuscito e realmente significativo: scrivendo, il vero poeta dà forma al mondo, o meglio ne crea uno nuovo, personale e originale, o, per dire più precisamente, lo trova insieme alle parole che affiorano alla sua coscienza.
Dall’altra parte, e in senso inverso, il linguaggio è la modalità che il lettore attraversa per attingere il senso e la visione del mondo del poeta, o dello scrittore in genere, e, venendone in contatto, di esserne modificato. Nel caso dei poeti e della poesia lo scambio, ciò che passa attraverso le parole, è essenzialmente una sostanza emotiva, quanto meno in prima battuta (anche se, come acutamente osserva Nicola Ghezzani, psicoterapeuta e autore di densi e significativi saggi: “In un processo autenticamente creativo non c’è alcuna distinzione fra emotivo e razionale. Parafrasando Pascal potremmo dire che nella libera scrittura creativa il cuore ha ragioni che la ragione ben conosce, e la ragione ha sentimenti che il cuore riconosce”).
Quindi, riepilogando, definirei la poesia il modo in cui chi la scrive sente e traduce il mondo, e chi la legge si confronta ed è trasformato da quest’esperienza.

Come definiresti invece la TUA Poesia?

La mia poesia è un modo di essere. E’ un modo, come ho detto sopra, di stare al mondo. L’unico, probabilmente, di cui sono capace. Per me, anche se l’ho realizzato tardi per non essere riuscita a legittimarmelo prima (ma, va detto, è una consapevolezza che ho sempre avuto), scrivere (poesia, essenzialmente) è fare la mia parte nel mondo, quello di cui sono capace. Dopo il coma che ho avuto nel 2005, che mi ha costretto a ricominciare daccapo per ogni aspetto della mia vita, se non fosse tornata la poesia sentivo che la mia esistenza non avrebbe avuto più senso. Certo, avrei continuato a vivere per le persone che mi erano care e avevano bisogno di me, in primo luogo i figli, ma la mia identità, la mia percezione di me stessa, il significato profondo del mio essere sarebbero stati compromessi irrimediabilmente. Per fortuna non è stato così, e la poesia, miracolosamente, è tornata prima di molte altre cose, prima, per esempio, che riuscissi nuovamente a scrivere a mano con una certa scioltezza. Ma ricordo ancora quella prima poesia annotata sul quaderno verde che tenevo sul comodino, con grafia incerta e tremolante che non riusciva a tener dietro al pensiero, e le successive, nei giorni che seguirono. Il nucleo di quello che, poi, sarebbe diventato “Unità di risveglio”. Soprattutto in questo libro, che è la mia seconda raccolta, è evidente quello che è un tratto distintivo della mia poesia, e cioè la necessità di aver vissuto, patito, provato le cose che scrivo. Che poi, come ho scritto nella prefazione dell’antologia curata per Einaudi di poesia femminile,”Nuovi poeti italiani 6”, trovo sia un tratto caratterizzante di quest’ultima. Il legame fra poesia e vita, cioè, contraddistingue la scrittura in versi delle donne, che affonda le radici nell’esperienza e nel bios, e fa del corpo un riferimento attivo, lo chiama in causa, o meglio passa attraverso il corpo, sensore e recettore della realtà fenomenica che indaga il pensiero. In una recente intervista ho detto che “La mia poesia nasce per osmosi con la vita”, e penso che questa rimanga la definizione migliore. Solo così la scrittura può avere senso, sapore e consistenza. Rimane vero anche per quello che è considerato il più “intellettuale” fra i miei libri, nato dalle suggestioni intertestuali con l’opera-cardine della tradizione ebraica, la “Torà”, anzi: è proprio lì che, rifacendomi alla porzione di testo dove si parla dell’efficacia delle benedizioni, e dunque della pregnanza e del potere delle parole, enuncio compiutamente la mia poetica: “Dare un corpo alle parole, toglierle/dalla notte impalpabile e affamata/d’aria, che abbiano peso, che sudino/come organismi maturi, da cogliere/o uccidere, digerire perché si facciano/azione, energia di passi e movimenti, /maledizione del pensiero. Che entrino/nelle nostre carni irrevocabilmente, sferza di gelo/o limpido sole, promessa mantenuta /del cuore.”

Che consigli daresti oggi al poeta esordiente ma anche al poeta che lavora già da qualche anno?

Pazienza e perseveranza sono le prime parole che mi vengono in mente, giocoforza e avendo esperienza della realtà sempre più difficile del mondo editoriale. Parallelamente, la costanza di rimanere se stessi, di sviluppare una poetica personale e coerente, anche, se si ha la fortuna di avere dei pareri onesti da parte di amici che hanno una competenza per quanto riguarda la scrittura o da lettori professionali dell’ambiente editoriale, facendo tesoro dei pareri ricevuti. L’accesso ai canali editoriali avviene nei modi più disparati, ma l’invio dei propri testi all’editor di settore rimane il modo migliore di presentarsi. Meglio, ove possibile, farsi anche segnalare da un autore amico, un collaboratore o consulente dell’editore in questione, magari.
Poi, non avere la pretesa di esordire da un editore maggiore, ma cominciare a pubblicare su blog e riviste e proporsi in primo luogo a un piccolo editore (che sono numerosi e, quasi sempre, di qualità).
Al poeta che lavora da qualche anno direi di non scoraggiarsi per un eventuale rifiuto, che capita normalmente nella vita di qualsiasi autore; nel caso, provare a proporre il proprio lavoro altrove, soprattutto oggi che, nonostante i sempre più limitati spazi per la poesia degli editori maggiori, altre spazi si stanno aprendo nella piccola e media editoria e in rete.

L’ultimo ricordo è la tua voce
prima che tutto si confonda
e poi sbiadisca, in controluce;
dopo c’è stato un volo nella notte,
un tuffo dentro l’acqua più profonda,
lo scivolare netto dove l’ombra inghiotte
l’aria, e l’onda è un vortice che spiomba…
Mentre ogni cosa rimbomba per voi
che rimanete, a custodire il corpo inerme
chiuso nel silenzio e nell’assenza,
ormai slacciato da ogni appartenenza…

da Unità di Risveglio, Giovanna Rosadini – Einaudi 2010

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Giovanna Rosadini | Sulla Poesia

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