No one murns, di Midge Raymond che leggerete qui è un saggio contenuto nella raccolta di autori vari Writing for animals, a cura di John Yukner (Ashland Creek Press, 2018).
Writing for animals è un’antologia di saggi narrativi e articoli dedicata al tema della rappresentazione degli animali nella scrittura creativa. L’opera parte dalla constatazione che, sebbene oggi si riconosca agli animali una complessa vita emotiva e intellettuale, la società (e spesso anche la letteratura) continua a trattarli come esseri inferiori o semplici simboli.
Non c’è lutto per un animale senza nome: perché dare un nome agli animali potrebbe aiutare a salvarli
di Midge Raymond (traduzione di Giorgia Riuzzi)
Durante la mia esperienza di volontariato per un censimento di pinguini presso la colonia di Punta Tombo, nella Patagonia argentina, fra le migliaia di uccelli che contai uno si fece particolarmente notare. Ci penso ancora oggi, a più di dieci anni di distanza. Si chiama Turbo perché costruì inspiegabilmente il suo nido sotto un camion turbo invece che in una tana, come è normale per la sua specie. E invece di mettersi alla ricerca di una compagna, preferiva passare il tempo con i ricercatori.
Come a migliaia di altri uccelli della colonia, anche a lui gli scienziati applicarono una fascetta metallica. Ma mentre Turbo ha anche un nome, cosa che lo rende un personaggio del luogo, gli altri uccelli censiti nella colonia venivano identificati solo con un codice a cinque cifre, riducendoli così a meri dati. Spesso l’antropomorfismo, cioè l’attribuire qualità umane ad animali non umani, non è visto di buon occhio dalla comunità scientifica. Tuttavia, io, in quanto scrittrice, non scienziata, sono molto più interessata al personaggio che ai numeri.
Dopo aver terminato la mia esperienza a Punta Tombo, ogni volta che ricevo aggiornamenti sulla colonia, la prima cosa che faccio è cercare il nome di Turbo, per avere conferma che sia rientrato dai suoi mesi in mare.
A differenza degli umani, gli animali non ricevono un nome quando nascono, almeno non in alcuna lingua umana. Fu una non-scienziata, Jane Goodall, la prima a sfidare le convenzioni in merito allo studio del comportamento animale. Attribuendo dei nomi agli scimpanzé anziché numeri, riuscì a convivere con loro e a osservarli come mai nessun ricercatore aveva fatto prima di lei. Osservò uno scimpanzé, che chiamò David Greybeard, costruire e usare degli strumenti. Fu testimone dell’adozione da parte di Spindle, uno scimpanzé adolescente, di un orfano, Mel. E quando una mamma scimpanzé che lei aveva chiamato Flo morì nel 1972, The London Times pubblicò un necrologio.
Il fatto di dare un nome agli animali gli attribuisce anche un’identità, un’individualità che li rende diversi dal resto dei loro simili che ne sono privi. E spesso, di conseguenza, non possiamo far altro che sviluppare un attaccamento emotivo verso queste creature con un nome, che infatti viene dato da zoo e riserve ai propri animali, permettendo a quelli appartenenti a specie selvatiche bisognose di attenzione di guadagnare, ogni giorno di più, seguaci e simpatizzanti.
Il mondo si indignò quando, lo scorso luglio, un dentista statunitense uccise il leone Cecil, conosciutissimo e amato abitante del parco nazionale Hwange, la cui morte mise in luce il pericolo d’estinzione in cui versano alcune specie di leoni, la crudeltà della caccia al trofeo e dell’allevamento di leoni per la caccia.
E tuttavia Cecil era solo uno fra tanti. Fu necessaria la sua morte, assieme al fatto che avesse un nome, per portare il mondo a una presa di coscienza, per dare un volto ai leoni africani. Allo stesso modo, George il Solitario, l’ultimo esemplare di tartaruga delle Galápagos, morto nel 2012, ricorda a tutti noi la fragilità di quelle isole e dei loro animali in via d’estinzione. La megattera australiana Migaloo è nota non solo per essere un raro esemplare di megattera albina ma anche per accendere i riflettori sulle problematiche che oceani e balene di tutto il mondo si trovano ad affrontare.
Il fatto che gli scrittori attribuiscano dei nomi agli animali per dare loro lo stesso peso degli altri personaggi non è una novità, soprattutto nella letteratura per bambini. Tutti noi ricordiamo Wilbur e Carlotta, Stuart Little e i topolini di Nimh. Nella letteratura per adulti, tuttavia, è più raro incontrare animali che siano anche personaggi principali. Ne La fattoria degli animali, per esempio, questi ultimi sono personaggi allegorici più che veri e propri animali; così come nella narrativa più recente, fra cui L’arte di correre sotto la pioggia di Garth Stein e Love and Ordinary Creatures di Gwyn Hyman Rubio, i personaggi — rispettivamente un cane e un cacatua — sono pensati per essere esattamente ciò che sono: animali.
Nel mio romanzo, L’ultimo continente, diedi nome a un pinguino che svolge un ruolo importante nella trama. Il nome è Ammiraglio Byrd, e gli viene affibbiato dal personaggio umano in onore di un esploratore che quest’ultimo ammirava. Che questo pinguino non potesse essere chiamato semplicemente “il Papua” o “il pinguino” o “l’uccello” era dovuto all’importanza che aveva non solo per i protagonisti del romanzo ma anche per me, in quanto autrice. Volevo che l’Ammiraglio Byrd rappresentasse tutti i pinguini del mio mondo narrativo, i quali a loro volta rappresentano tutti i pinguini del mondo reale.
Gli esseri umani, però, hanno un rapporto complicato con gli animali, e dar loro un nome — nella letteratura così come nella realtà — non porta sempre alla loro salvezza. Nelle sedi statunitensi dell’associazione 4-H, gli animali allevati dai bambini e chiamati per nome vengono poi venduti a peso e macellati. In Oregon, il primo lupo avvistato con certezza dal 1947 si chiama Journey, ma è più comunemente noto come OR-7. Perfino al rifugio in cui faccio volontariato, sebbene abbiano un nome, gli animali sono prima di tutto identificati da numeri.
Il redattore del New York Times, Philip B. Corbett, in un articolo del 2 febbraio 2016, scrisse che il Times utilizza pronomi personali indicanti il genere “solo per animali che hanno ricevuto un nome, o in quei casi in cui il sesso dell’animale è noto. Altrimenti, usiamo i pronomi neutri ‘it’, ‘that’ o ‘which’ [ndr: pronomi neutri in inglese].” In altre parole, al Times interessa la grammatica, non un punto di vista. Ma per chi fra noi scrive, di fatto, con un punto di vista, nomi e pronomi sono importanti.
Viviamo in un momento storico in cui sempre più specie contano sempre meno esemplari, tanto che è impossibile tenerne traccia. Dalla tigre malese al leone marino della Nuova Zelanda, al pinguino delle Galápagos, il numero di animali in via d’estinzione è sempre più alto. Eppure, se ognuna di queste specie avesse uno o due rappresentanti con un nome, noi non addetti ai lavori impareremmo a conoscere chi stiamo per perdere a livello più personale. E saremmo forse più stimolati ad aiutarli.
Gli scienziati possono certamente portare avanti la loro resistenza all’antropomorfismo, ma ciò non salverà gli animali, né renderà il resto del mondo più consapevole del problema. Se invece dessimo loro dei nomi, se non li considerassimo alla stregua di meri dati, forse riceverebbero maggiori attenzioni. Più umanizziamo gli animali, più diventiamo noi stessi umani.
Oggi, il pinguino Turbo ha undici anni. È ancora single e continua a preferire la compagnia degli umani a quella di altri pinguini. Il prossimo autunno attenderò con impazienza notizie del suo ritorno alla colonia: dove vorrà costruire il nido, se è ancora scapolo o se avrà finalmente deciso di mettere la testa a posto. I dati ci raccontano una storia che Turbo, dal canto suo, è in grado di raccontare in modo completamente diverso. E fintantoché Turbo continuerà a tornare ogni anno, per me continuerà anche a esserci speranza per ognuno di questi pinguini.
Midge Raymond è l’autrice del romanzo Il mio ultimo continente (My Last Continent) e della raccolta di racconti vincitrice di premi Forgetting English. Le sue opere di narrativa, i suoi articoli e saggi sono stati pubblicati su TriQuarterly, American Literary Review, Bellevue Literary Review, la rivista del Los Angeles Times, Chicago Tribune, Poets & Writers, LitHub, Zoomorphic, The Daily Beast, Daily Review (Australia), Barefoot Vegan, VegNews e molte altre pubblicazioni. Clicca qui per visitare il sito web di Midge.
