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Una pianta di fico
Racconto di Piero Balzoni


La signora del piano di sopra è morta. Dicono un infarto ma vai a sapere, era malata da tempo. Stavo ancora al liceo quando le portavo da mangiare a letto due volte a settimana, secondo gli ordini di mia madre. Alla signora piacevano i marons glacés, ne poteva mangiare anche cinque di seguito. Mi hai portato i marons glacés? Diceva appena mi sentiva arrivare con le buste della spesa. Sempre che non fosse addormentata. Poteva dormire per ore, era la sua specialità. La medaglia d’oro del sonno, le avrebbero dovuto dare. Non so perché ma gli anziani si addormentano con la porta chiusa. Comunque appena sentiva profumo di marons glacés si svegliava di botto. Ora, è un fatto che i marons glacés non hanno alcun odore ma questo sarà vero forse per tutti gli altri. Lei invece apriva gli occhi, si metteva seduta sul letto e allungava due dita aliene muovendole come sonde tra quei tartufi di zucchero, un boccone e una carezza.

Guarda i figli della signora, diceva mia madre. Due sono medici, l’altro fa il pubblicitario ma guadagna un sacco di soldi. Infatti da ragazzini se ne sono andati subito a studiare all’estero. Anche mia madre se n’è andata all’estero ma non per studiare.

La signora del piano di sopra ha sempre avuto diritto a un posto auto condominiale. Quello accanto al fico, perciò il più scomodo. Io non sono mai stato molto bravo a portare la macchina, a prescindere dalla presenza o meno di piante di fico, però avere un parcheggio sicuro tutte le sere è meglio che arrangiarsi. Così un giorno che era sveglia e ancora viva le ho chiesto se mi prestava il suo. Lei s’è voltata sul cuscino e dal movimento degli occhi mi è parso di capire che fosse serenamente d’accordo. Da quel giorno il posto accanto al fico è diventato il mio senza che nessuno facesse storie e io ho imparato a parcheggiare facendo il filo alla corteccia dell’albero.

Dalla signora ci andavo quando mi pareva perché la casa era sempre vuota. Signora a parte, intendo dire. Solo una volta ci ho trovato dentro qualcun altro, una donna. Tenevo in mano la confezione del latte in polvere e le ho detto che ero venuto a portare qualche scorta, che poi in fondo era anche vero. Lei si è rimessa la giacca dicendo non fa niente stavo andando via e asciugandosi gli occhi col polsino della camicia. Però due giorni dopo l’ho ritrovata lì e avevo cominciato a pensare che forse la casa la usava anche lei per gli stessi motivi per cui ci andavo io, invece dopo quella volta non l’ho rivista mai più. Forse era una delle mogli dei figli.

Alla signora rubavo gli amari dal mobile bar, fino a quando sono diventato grande abbastanza da vergognarmene. Più per gli altri, che per me stesso. Mai un’anima che venisse a controllare e una casa che si riempiva di roba e si svuotava come se stesse respirando ma ero io a concederglielo, a darle ancora fiato.

Comunque due sere fa ci sono ricascato. Ho litigato con mia moglie non so per cosa e allora sono salito su dalla signora, che forse era già morta non ho controllato, e mi sono fatto un goccio. Non che io non abbia alcolici in casa, ne ho anche di più buoni. Ho rovistato nella dispensa, tanto erano tutte cose mie, e ho preso a passeggiare per il corridoio con l’amaro nella tazza di ceramica e i cereali in una mano. Io adoro bere alcolici dalla tazza perché mi sembra di stare facendo colazione. Non c’è mica niente da obiettare davanti a qualcuno che sta facendo colazione.

Pensavo davvero che la discussione con mia moglie non riguardasse niente di importante eppure in quel momento mi sembrava che fosse accaduto qualcosa di epocale, una disfatta.

Lei non sa che quando litighiamo me ne salgo al piano di sopra. Forse crede che vada a farmi un giro da qualche parte, che vada per locali, perché poi quando torno a casa e mi rimetto a letto non fa domande sul mio fiato pesante o su dove sono stato. Meglio così, sarebbe terribile doverle raccontare che non sono stato da nessuna parte.

Vagando per il corridoio ho pescato un’altra manciata di cereali dalla scatola. Masticavo con le guance per non rompere il silenzio. C’era questo silenzio allucinatorio, un silenzio da stadio vuoto. Non arrivava nessun rumore dal piano di sotto, cioè da casa mia.

Ho finito l’amaro, ho sciacquato la tazza con l’acqua corrente e sono rimasto a fissare dentro al buco del lavandino ma non lo stavo davvero guardando. E mentre stavo impalato così in quella cucina che non era la mia, con una tazza che non era la mia anche se ci bevevo dentro da vent’anni, all’improvviso mi è venuto in mente il motivo per cui avevo litigato con mia moglie ed era davvero una banalità.

Io non ho niente in contrario se vuoi ingrassare, le ho detto, e non mi metto a fare questioni riguardo a cose su cui non ho niente in contrario, figurati, anche così abbiamo già i nostri problemi. Lo so che mi ami e mi rispetti e che i numeri sulla bilancia non hanno niente a che vedere con la tua sensualità, ma allora perché quando ci siamo lasciati la prima cosa che hai fatto è stata dimagrire?

L’altra volta per una domanda simile non mi ha parlato per due settimane, anche se nel frattempo facevamo l’amore e tutto il resto. Stavo pensando proprio a questo quando ho sentito il suono lontano e intermittente di un qualche gigantesco argano da lavori stradali, sembrava un mammut che richiama a sé il branco. Costruiscono l’ospedale nuovo.

Ho rimesso tutto a posto e sono sceso per le scale col passo elastico di uno che si prepara per la serata. Sono andato in bagno, ho pisciato da seduto per non svegliare nessuno e mi sono infilato nel letto cercando di non smuovere la coperta. Ho calcolato a mente il percorso fatto dalla cucina del piano di sopra alla nostra stanza da letto e ho pensato che casa mia pareva più grande se ero libero di fare su e giù quando mi pareva.

Adesso che la signora è morta dovrò parlare con i suoi figli. Dovrò chiedergli se hanno intenzione di cambiare le cose oppure se posso continuare a utilizzare il parcheggio accanto al fico perché mi sta comodo con i bambini e gli zaini e tutta la combriccola da spostamento quotidiano. È un problema, perché ho la sensazione che non siano persone molto ragionevoli. Mia moglie ha detto raccontagli che ogni tanto facevi la spesa per la loro madre, vagli a dire che le volevi bene. Ma non so se è vero.


Piero Balzoni è nato a Roma nel maggio del 1980. Il suo romanzo d’esordio, Come uccidere le aragoste, è uscito nell’ottobre del 2015 per Giulio Perrone editore. Script editor, regista e sceneggiatore per Rai e Mediaset, è stato speaker radiofonico, assistente universitario e dottore di ricerca presso l’università di Roma la Sapienza. Divenuto padre nel dicembre del 2014 ha iniziato a lavorare.

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Antologia del quotidiano “Una pianta di fico” racconto di Piero Balzoni

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