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ECOLOGIE NATIVE | Emanuela Borgnino
Eleuthera 2022

di Paolo Risi

Nella prefazione a Ecologie Native, Adriano Favole ci ricorda come l’esplosione di un’isola vulcano nel regno di Tonga (avvenuta il 5 gennaio 2022) abbia causato in Italia una significativa – e ovviamente temporanea – variazione di pressione atmosferica. Tale riverbero, registrato dai meteorologi italiani una ventina di ore dopo l’accadimento oceanico, si è manifestato come una sorta di promemoria, un atto del pianeta per ribadire l’esistenza di una connessione che oltrepassa confini e limiti giurisdizionali.

Come gli impulsi negativi possono “rimbalzare” da un continente all’altro, da un’origine a uno o più bersagli, anche le circostanze benevole rivelano l’attitudine a integrarsi in un reticolo planetario. Quell’isola sottoposta a una perturbazione tellurica forse suo malgrado ha attivato dei processi che nulla hanno di controproducente: come ci ricorda Favole “la cenere e le preziose sostanze minerali fuoriuscite da Hunga Tonga Hunga Ha’ apai viaggeranno per mesi nell’atmosfera, fondendosi nelle gocce di pioggia e fecondando terreni lontani migliaia di chilometri.”

È assodato che gli equilibri (dei singoli individui e degli ecosistemi) contemplino concetti quali collaborazione e assimilazione. Di esempi come quello del vulcano di Tonga ne esistono molti, e le correlazioni che garantiscono la nostra sopravvivenza (o contribuiscono a minacciarla) obbligano gli esseri umani a un esame di coscienza, o perlomeno di realtà.

Urgono ripensamenti, la volontà di abbracciare nuovi (per noi occidentali) paradigmi. Emanuela Borgnino con lo stupore e il rigore di una testimone ci inoltra nella struttura di senso dell’ecologia nativa. Suddividendo la sua opera in sei capitoli, orientati a partire dalla critica verso un certo modo di intendere l’ambientalismo (implicitamente o meno di matrice antropocentrica), delinea il “sentire” ecologico-culturale dell’arcipelago hawaiano, scrivendo di esperienze dirette e illustrando categorie concettuali che hanno fecondato e reso esemplari quei territori.

L’essere umano è parte costitutiva dell’arcipelago: Borgnino abbraccia l’ermeneutica nativa, la quale sottrae all’individualità terrestre l’incombenza di contribuire alla funzionalità del mondo. Non esistono distinzioni, se si considera la plasticità e l’universalità del codice genetico, e di conseguenza è ragionevole affermare come i territori non rappresentino (per volontà estrinseca) un ambito sperimentale, una tabula rasa “sulla quale l’uomo debba esercitare una facoltà progettuale”.

Si “è” solo in rapporto con il luogo e gli esseri che lo abitano, possibilità che accetta malvolentieri l’apposizione di filtri culturali. In buona parte delle isole del Pacifico si dà per assodata la soggettività di minerali e vegetali – considera Borgnino – e ciò permette ai terrestri di godere a pieno del creato. Cooperazione diviene una delle parole chiave, forma di apparentamento fra le specie che che trascende e smaschera la modernità.

Svolti e approfonditi i temi che concernono terminologie e approcci alle ontologie native, nel terzo capitolo Borgnino concentra la sua attenzione sulla genesi e la storia delle Hawaii. In un fuoco di fila accurato e partecipe vengono analizzati contesti politici e sociali, formule valoriali e ingerenze che ne hanno ostacolato l’espressione. A fronte di tradizioni e principi si sono succeduti – nell’arco di due secoli, a partire dalla seconda metà del ‘700 – fattori alieni fortemente disgreganti, attori e blocchi di potere in grado di calpestare il verbo nativo (afflusso verso l’arcipelago di agenzie colonizzatrici, economiche e religiose). In particolare i latifondisti stranieri (perlopiù coltivatori di canna da zucchero), attraverso l’integrazione della nozione di proprietà privata, contribuirono a offuscare l’archetipo della responsabilità legata ai territori (kuleana). Il potere (amministrato fino ad allora dalla dinastia Kamehameha) prese a sfaldarsi, a fluttuare in base a strategie e indici economici, fino al Colpo di Stato del 1893 pilotato dal ministro statunitense John L. Stevens. Di fatto le Hawaii si incanalarono verso un’organicità repubblicana e a diventare (non senza manifestazioni di dissenso, ancora vive ai giorni nostri) parte integrante degli Stati Uniti d’America.

Successivamente alla trattazione di carattere storiografico, Borgnino proietta il lettore nel presente, nelle dinamiche (naturalmente porzioni di una gestazione secolare) che caratterizzano l’oggettività sociale e ambientale dell’arcipelago. La studiosa si pone in ascolto, del paesaggio e degli elementi vitali, e la sua ricerca diventa condivisione, esperienza in divenire. Memoria, conoscenza e immaginazione sono gli strumenti che le permettono di allontanarsi dal determinismo storico e di far propri i messaggi inviatici dalla natura e dalle popolazioni autoctone. La conoscenza antropologica è in primis una relazione sociale, naturalmente mediata dalla cultura del ricercatore sottolinea Borgnino, che sul campo e taccuino alla mano si accerta degli attentati alla sacralità del territorio (gli Stati Uniti che utilizzano l’ Isola di O’ahu Makua per testare le loro armi) e testimonia la vitalità di chi rivendica (contro ogni tentativo di de-nazionalizzazione) l’inviolabile alterità dei nativi.

La comprensione profonda, l’empatia non come esigenza programmatica, permeano il volume edito da elèuthera. Si tratta di un approccio ricettivo, che porta a riconsiderare il nostro ruolo nell’intricata narrazione del mondo. Solo accantonando consuetudini e calcificazioni di pensiero (il superamento dei limiti per mezzo della tecnologia, ad esempio) le nostre comunità potranno avviare un percorso di riconnessione alla terra. Spalancare orizzonti, prendere esempio dalle ecologie native: ciò che noi chiamiamo “natura” ed “essere umano” è per i nativi un’identità inscindibile, fattiva e spirituale, che può riassumersi nella definizione he Hawai ‘i au (io sono Hawaii).

Il rapporto che si può osservare alle Hawaii tra esseri umani e ambiente rimanda alla consapevolezza della comune parentela, che diventa fonte di titolarità per l’amministrazione del territorio. Infatti, nella maggior parte delle culture native è il territorio a possedere gli esseri umani e non il contrario; la responsabilità ecologica si basa sull’accettazione dei propri doveri nei confronti del luogo in cui si abita, e solo abbracciando questi obblighi si può godere del privilegio di abitarlo.

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Emanuela Borgnino insegna Pacific Studies presso l’Università degli Studi di Torino ed è Visiting Scholar alla University of Hawai’i di Mānoa.


Photo credit: Old Hawaii by John Melville Kelly, c. 1935, 10 x 12 in., drypoint etching, Hawaii State Art Museum

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Immaginare il futuro del pianeta: le ecologie native | Emanuela Borgnino

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