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La natura è più grande di noi

Antropocentrismo, crisi ecologica e pensiero sistemico a partire dalle riflessioni nel saggio di Telmo Pievani

Nel suo saggio La natura è più grande di noi (Solferino, 2021), Telmo Pievani costruisce un discorso lucido e profondo attorno a una verità oggi ineludibile: l’essere umano ha oltrepassato i limiti ecologici del pianeta, ma continua ad agire come se fosse al di fuori di essi. Con un approccio che unisce la filosofia della scienza, la biologia evoluzionistica e l’etica ambientale, Pievani propone una critica decisa all’antropocentrismo moderno e invita a un cambio di paradigma che metta al centro la relazione sistemica tra uomo e natura.

Il punto di partenza della riflessione di Pievani è la denuncia di una concezione antropocentrica e gerarchica del mondo, ereditata dalla tradizione occidentale. Dalla teologia all’umanesimo, dalla rivoluzione scientifica al tecnocapitalismo, l’uomo si è concepito come un’entità separata e superiore rispetto al resto della vita. Questa illusione, tuttavia, ha generato un dominio cieco e irresponsabile sull’ambiente, culminato nell’attuale crisi ecologica.

Pievani non si limita alla denuncia: dimostra, attraverso i dati della biologia evolutiva, che l’essere umano non è che una tra le molteplici espressioni della vita, un nodo in una rete di interdipendenze. L’idea di centralità umana è un costrutto culturale, non una realtà biologica.

«La natura è più grande di noi perché ha tempi lunghi, anzi lunghissimi, mentre noi siamo su questo pianeta da duecento millenni o poco più. Come rane in un paiolo che non si accorgono di finire lentamente bollite, abbiamo cambiato la geofisiologia della Terra innescando un riscaldamento climatico che riduce la biodiversità e crea instabilità, migranti ambientali e conflitti per le risorse. La natura è più grande di noi non solo per la diversità di specie nuove di piante e animali che ogni anno scopriamo, ma perché ci sorprende: uno fra i moltissimi virus che da miliardi di anni circolano sul pianeta in poche settimane ha messo in scacco l’organizzazione sanitaria, sociale ed economica del mondo.»
— (dalla presentazione editoriale di La natura è più grande di noi, Solferino, 2021)

Nel saggio di Telmo Pievani si intrecciano filosofia della scienza, biologia evoluzionistica e riflessione etica per delineare un cambio di paradigma necessario: riconoscere che l’essere umano non è al centro né al di sopra della natura, ma parte di una rete fragile di interdipendenze. L’antropocentrismo che ha segnato la cultura occidentale — dalla teologia cristiana all’umanesimo, fino al tecnocapitalismo — ha costruito l’illusione di un’umanità separata e superiore, mentre la scienza contemporanea mostra come ogni specie, Homo sapiens compreso, sia semplicemente un nodo temporaneo in un intreccio evolutivo più vasto.

La crisi ecologica attuale non è solo materiale, ma anche culturale e simbolica. Il nostro modo di pensare il mondo fatica a riconoscere la complessità e la vulnerabilità che ci definiscono. Il soggetto moderno si scopre incapace di fronte alla scala dei problemi globali: cambiamento climatico, estinzione di massa, pandemie, migrazioni ambientali. Timothy Morton ha definito questi fenomeni “iperoggetti”, troppo vasti per essere compresi o affrontati con gli strumenti tradizionali del pensiero binario e meccanicista. Per questo, più che risposte tecniche, è necessario un ripensamento profondo del nostro modo di essere al mondo.

Una nuova visione ecologica chiama in causa il pensiero sistemico. Questo approccio non si limita a osservare i fenomeni isolati, ma cerca le connessioni, le retroazioni, le dinamiche coevolutive tra elementi biologici, ambientali e culturali. L’evoluzione non è solo competizione, ma simbiosi e adattamento reciproco: lo hanno mostrato figure come Lynn Margulis, che ha posto la simbiosi al centro della teoria evolutiva. Da qui nasce una concezione della vita come coabitazione, non come dominio, e un’etica dell’interdipendenza che si riflette anche nei modelli di conoscenza.

Gregory Bateson parlava di “ecologia della mente” per descrivere un pensiero capace di cogliere le relazioni invisibili tra gli elementi di un sistema. In questa scia si colloca anche la riflessione di Donna Haraway, che invita a “stringere legami in tempi difficili” e a pensare in termini di alleanze interspecifiche, contro ogni tentazione di purezza o isolamento. La sua nozione di “Chthulucene” descrive un’epoca segnata dalla relazionalità radicale e dall’irriducibilità delle crisi a semplici emergenze tecniche.

Il soggetto umano, in questa visione, non viene negato ma decentralizzato. Il pensiero postumano — come quello di Rosi Braidotti — propone di superare le opposizioni che hanno definito la modernità: umano/naturale, soggetto/oggetto, cultura/biologia. Non si tratta di dissolvere l’umano, ma di ridefinirlo nella sua appartenenza a una rete bio-politica e materiale più ampia. Questo decentramento è la condizione per una responsabilità non più fondata sul dominio, ma sulla consapevolezza dei limiti.

Il contesto dell’Antropocene, termine coniato da Paul Crutzen, sottolinea la portata geologica dell’impatto umano sul pianeta. Ma come hanno mostrato autori come Naomi Klein, Andreas Malm e Jason Moore, questa nuova epoca non può essere compresa senza analizzare il modello economico che l’ha prodotta: un sistema estrattivo, ineguale, orientato al profitto e non alla sostenibilità. Parlare di ecologia, quindi, implica parlare anche di giustizia ambientale, redistribuzione e politica dei limiti.

L’approccio sistemico proposto da Pievani e sviluppato in dialogo con queste prospettive non è un’utopia astratta, ma una necessità adattativa. Riconoscere che la natura è più grande di noi significa abbandonare la pretesa del controllo assoluto e imparare a pensare con ciò che non possiamo dominare. In questa capacità di coabitare con l’alterità del vivente sta forse la possibilità di un nuovo equilibrio: non nel ritorno a un’armonia originaria, ma nella costruzione consapevole di forme di vita fondate sulla complessità, sull’interdipendenza e su un’etica condivisa della fragilità.

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Antropocentrismo, crisi ecologica e pensiero sistemico nel saggio di Telmo Pievani

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