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Dopo il tempo. Letteratura e antropocene.
di Maurizio Corrado


Nel settembre 2023 si è svolto a Melbourne il Festival Tools for after, un progetto dell’Istituto Italiano di Cultura di Melbourne diretto da Angelo Gioè, risultato vincitore del concorso “Capitali della creatività italiana nel mondo”, una nuova iniziativa di promozione integrata ideata dalla Direzione generale per la promozione del sistema Paese del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. Il progetto Tools for After, curato da Maurizio Corrado, è partito dalle domande che ci pone l’immaginario dell’Antropocene e le ha sviluppate in vari settori: Design, Architettura, Paesaggio, Scienza, Cinema, Alimentazione, Letteratura.

L’idea di base del progetto letterario, realizzato in collaborazione con il Co.As.It di Melbourne, è stata mettere insieme la dimensione della scienza e quella dell’immaginario letterario a partire da una domanda: cosa deve fare la scrittura al tempo dell’Antropocene? Un gruppo di scrittrici e scrittori italiani hanno sviluppato un racconto a partire da un dato scientifico in rapporto con sostenibilità e Antropocene, ed è stato realizzato un libro pubblicato in Italia dalle edizioni Effequ e, tradotto in inglese, in Australia. Il libro si chiama Dopo il tempo, visioni del fantastico italiano, è a cura di Maurizio Corrado, e comprende racconti di Nicola Fantini, Matteo Meschiari, Davide Morosinotto, Laura Pugno, Laura Pariani, Valerio Varesi, Elena Varvello e del curatore.

In maniera del tutto spontanea il risultato ridefinisce l’idea di fantastico in una prospettiva italiana che sembra superare la predominante tradizione anglosassone per guardare con rinnovato interesse verso argomenti e toni più squisitamente latini.

Vi proponiamo la nota del curatore.

Abbiamo iniziato a lavorare a questa antologia nel contesto della XXIII edizione della Settimana della Lingua Italiana nel mondo, quest’anno dedicata al tema della sostenibilità, in collaborazione con il COASIT. Avendo il tema coincidenza di contenuti con il Festival della Creatività Italiana Tools for after che stavamo organizzando a Melbourne, abbiamo inserito l’iniziativa all’interno della parte letteraria del Festival partendo da una domanda: cosa deve fare la scrittura al tempo dell’Antropocene? L’idea che abbiamo sviluppato è stata mettere insieme letteratura e scienza e su queste basi ho scelto di coinvolgere una serie di scrittori. Volevo avere una rosa di nomi più varia ed eterogenea possibile anche per avere punti di vista diversi.

Il primo risultato evidente è stato che tutti hanno scelto di incamminarsi su strade che hanno precedenti nella letteratura fantastica e fantascientifica. Perché? Evidentemente è vero che in un contesto come quello evocato dalla parola Antropocene, che usiamo più come metodo di lettura del reale che come definizione scientifica, c’è bisogno di immaginare, e le zone della narrativa che più sono abituate a farlo sono esattamente quelle. Ormai è evidente anche ai critici più tradizionali che la fantascienza è una miniera di idee prima di essere un genere e che questa si può considerare all’interno della zona più ampia del fantastico. Fiumi di inchiostro sono stati versati sul tema e non ho certo intenzione di scendere in alcun tipo di discussione in merito, solo riportare i risultati e fare una breve considerazione.

Da qualche tempo la parola weird è entrata nel vocabolario comune per definire una particolare zona del fantastico. Il weird deriva dalla cultura anglosassone, un terreno che è stato abbondantemente concimato dal razionalismo empirista e pragmatista e in questo panorama tutto ciò che non rientra sotto la luce della ragione viene confinato nella zona del bizzarro, dello strano, appunto, dell’eccezione, del fuori dal comune perché il comune è classificabile e conoscibile. Nell’arcipelago latino non avrebbe mai potuto nascere un concetto come quello di weird. Lo strano presuppone un non strano, un normale, un razionale ben definito con limiti e regole condivise. In un mondo come ad esempio quello tradizionale latino sudamericano, l’idea di realtà implica, contiene e accetta elementi non classificabili secondo parametri razionali, è un mondo che non è affatto senza regole, ma ne possiede di proprie, legate fra loro da equilibri sottili che sfuggono immancabilmente ad ogni tentativo di razionalizzazione. Nelle tradizioni animistiche dei popoli indigeni non esiste lo strano, ma solo il meraviglioso, il mistero che fa parte integrante di un mondo coerente e totalmente interconnesso. La prima visione del mondo è dall’esterno, l’uomo si pone come osservatore, analizza, razionalizza e agisce; la seconda è dall’interno, l’uomo è una parte del mondo, in relazione indissolubile col resto del cosmo.

Ma non si tratta della semplice contrapposizione fra due zone culturali, il gioco è molto più sottile e complesso. Scavando fra gli inizi, si può scorgere con chiarezza come ci sia una genealogia che ha le sue origini nella razionalizzazione del mondo avvenuta durante i millenni del Neolitico, quando il mondo umano diede alla misura e all’ordine il posto d’onore nel pensiero e nell’azione e ce ne sia invece un’altra che la scavalca e si ricollega direttamente alla cultura precedente, in cui la storia umana si misura in milioni di anni.

Sono due modi di pensare il mondo diversi che hanno entrambi a che fare con la terra. In quello più recente la terra viene misurata e usata in termini utilitaristici e di proprietà, l’uomo ha il posto predominante, la realtà è quella contenuta nei confini dello spazio antropizzato, il resto è caos e straniero, strano, appunto. È un passaggio che si legge con chiarezza in molte mitologie, in quella greco-romana è l’arrivo dell’era di Giove/Zeus che si sovrappone a quella di Saturno e dove ques’ultimo viene dipinto in senso negativo, ma in cui traspare l’assonanza fra Giove e la misurazione della terra e dello spazio e Saturno/Kronos che ha invece a che fare con il tempo.

È una contrapposizione fondativa, che si ritrova anche nella più antica storia scritta del mondo: la saga di Gilgamesh, dove il conflitto e il punto centrale è la contrapposizione fra l’uomo civilizzato Gilgamesh e l’uomo selvatico Enkidu.

Nella mitologia ebraico-cristiana troviamo la ragione dell’atteggiamento utilitaristico nei confronti del mondo: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la Terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla Terra.” (Genesi, 1,28) Su queste basi si è sviluppata la nostra civiltà, a tutti gli effetti una agri-cultura.

L’altra genealogia, più antica, vede l’uomo come parte integrante di un sistema complesso, non in una posizione di presunto dominio, ma in un insieme di relazioni costanti e imprescindibili con il resto del cosmo. Zona molto più difficile da definire, più che conoscerla la si può intuire e immaginare, abbiamo pochi elementi per ricostruirla e d’altra parte forse non è necessario. Possiamo dire che fa parte della nostra biologia, che abbiamo un corpo paleolitico e un cervello che si è sviluppato e modellato sui paesaggi del Pleistocene, dove le strategie legate alla caccia hanno formato i nostri modi di essere e non ci hanno mai abbandonato. È una visione del mondo totalmente differente da quella che la sostituirà in gran parte senza mai eliminarla proprio per il suo indissolubile legame con il corpo e la mente. Come un fiume carsico la cultura paleolitica ha attraversato i pochi millenni di agri-cultura e riemerge oggi dal tempo profondo a indicarci strategie di sopravvivenza in un mondo che ha scoperto di essere fragile e limitato e si pone per questo come faro intellettuale imprescindibile.

Viene da chiedersi come mai chi lavora con certi immaginari immancabilmente è affascinato e anche ossessionato da una serie di temi che evidentemente sono tutti collegati fra loro, comunicando in maniera sotterranea, alimentandosi a vicenda. Alcuni dei temi più frequentati sono: Selvatico, la vita non addomesticata, gli animali liberi nel loro ambiente, il contrasto tra selvaggio e civilizzato; Natura estrema, solitamente si traduce in mare, montagne, poli, deserto; Tempo Profondo, la fascinazione per quella che viene chiamata preistoria ma non solo, per il percorso di tutta la storia umana, futuro compreso; Estinzione, in una visione allargata della storia umana è inevitabile considerare, oltre all’inizio, anche la fine, che coincide spesso con un collasso il più delle volte provocato dagli stessi umani. Sono temi presenti in questa serie di racconti, e possono indicare una strada, un percorso, una direzione per un nuovo fantastico italiano.


in copertina:
Henrique Alvim Corrêa’s Illustrations for The War of the Worlds (1906)

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Dopo il tempo. Letteratura e antropocene.

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