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Dalla raccolta Caratteri di Francesco Terzago

#1

Abbiamo camminato tra le robinie,
i salici, il sambuco e i topinambur.
Abbiamo risalito il ghiaione stringendo
gli occhi. Non abbiamo superato la gola
che si sarebbe stretta ai nostri fianchi
spegnendo il nostro campo visivo.
Attraversavamo un’unica sostanza:
il calcestruzzo, la pelle degli anfibi,
l’acqua che trema, la strada
che avevamo visto svoltare a sinistra.
Non esisteva più un evidente confine.
Sotto di noi c’era l’argilla,
attorno: i fiori del topinambur: le auto
passate per la pressa idraulica lasciano
nel greto questi fantasmi dorati, sono
le loro luci di posizione. Ci siamo riparati
tra i pioppi che sono cresciuti tra i relitti,
le radici hanno reso inamovibili i rivetti
della lavatrice. Ci siamo tenuti per mano.
Loro, gli alberi, dicevano: siamo qui
da trent’anni e le vostre braccia bastano
per tracciare un cerchio imperfetto.
I tronchi di un paio di noi possono
trovare spazio in questo cerchio –
eppure uno di voi, da solo, non potrebbe
fare niente. Non ci siamo fermati
tra gli alberi. Il nostro sangue si stava
confondendo, passando da un contenitore
all’altro: nelle nostre mani c’erano frasi,
caratteri cuneiformi decisi dal percorso.
Noi non riuscivamo a leggere quelle
parole, il codice dei rovi e delle lamiere;
non eravamo riusciti a tenerli lontano
per quanto quella sarebbe stata la nostra
intenzione (un messaggio indecifrabile
è pur sempre un messaggio?). Le lamiere
sfavillavano crudeli nella terra bagnata
la maggior parte era sommersa, e raggiungeva
una profondità impossibile da registrare,
una linea protratta fino al cosmo.
Gli organi recettori di un dio fluviale,
della Via Lattea. Il tuo polpaccio aveva
una piccola voglia color caffè latte.
Una puntura bianca, di insetto,
le stava vicina come un nastrino
annodato. Ci siamo chiesti
se quel segno sarebbe rimasto lì
per tutta la vita – un racconto
capace di riaffiorare con la prossima
siccità, riunendoci
nelle geografie irrimediabili.

#2

Il sole si sta spalmando attorno a me,
la luce sta aumentando d’intensità,
un dio, da qualche parte, gira
il dimmer. Per raggiungere il punto
più alto del cavalcavia serve un minuto
e ci si deve alzare in piedi sulla bicicletta.
La maglietta bianca fa degli otto di vapore.
Verso sulle spalle il contenuto
della borraccia. La foschia fa un nodo
tra le piante pioniere o sono loro a trattenerla,
non capisco. Nella buca che si vede
da quassù, grande come un campo
da calcio, c’è una betoniera rovesciata.
Sembra un insetto congelato nell’ambra.
Poi, mucchi di mattoni e un container
con una scritta in cinese e nidi di cicogne.
Ogni superficie è verde, anche la foschia
è verde. C’è una pozza, verde anche quella.
L’acqua dorme sotto a tutto quanto,
in mezzo a tutto quanto. Il ceppo
era ancora visibile la settimana scorsa.
Lo si sarebbe potuto confondere
con un secchio messo alla rovescia,
così fanno gli operai per evitare
l’accumularsi della pioggia e delle larve
quando non sanno se torneranno.
Un ceppo separato dall’altra sua metà,
dal tronco. Le fronde sono morte,
liquefatte. La benna, però, ha lasciato
il ceppo al suo posto, non ha confuso
vita e morte. Adesso, con una settimana
di temporali pomeridiani, al posto del ceppo
ci sono i polloni che salgono su, come
antenne. Le foglie lo nascondono,
forse il ceppo non esiste più. Si è trasformato
nelle foglie? Così, spostandole,
non si troverebbe sotto niente. Non
basterebbe un pomeriggio intero
a tagliarle, ferendosi le mani.
Mettere – con un amico – fumo.
Fare i diavoli del ferro non servirebbe
a scoprire che verità ci sia sotto. Cesoie,
decespugliatore sarebbero inutili.
Non è messo lì, l’insieme delle ramaglie,
come un fiocco di muschio tra la ghiaia
di un plastico ferroviario. Le foglie sono vicine
le une alle altre, impenetrabili, separandole,
scommetto, sarebbero sostituite da altre.
Difendono ciò da cui traggono la loro forza,
una forza che arriva e avvolge.
Viene dalla terra, da radici che scendono
dove tutto si assomiglia, dove le distinzioni
si perdono, non hanno più importanza.

#3

Due corpi gialli danno la schiena al mondo.
Un filo di pioggia viene raccolto nel grande canale
di scolo dove questi due corpi
gialli si stringono. I due ragazzi si bagnano
i piedi nell’acqua che cade dal cielo
e nel canale si raccoglie. I due ragazzi
si stringono tra loro come le due parti
del guscio di una noce intatta. La resina
dei pini marittimi ha foderato tutto, il bianco
è dappertutto. Il cielo ha ceduto sotto
al suo stesso peso, la pioggia cade forte.
Ogni suono si bagna ogni cosa si mischia.
I due ragazzi si stringono nel loro guscio,
galleggiano e il giorno finisce. Il silenzio
esplode quando il cielo se ne è andato. Il silenzio
scioglie tutto quanto, ecco la vela verdognola
che ha sostituito il cielo. I lampioni della tangenziale
divampano. Le lunghe braccia da cerusico
del vento si piegano sul nostro pianeta. Un picchio nero

attraversa la tangenziale, gli alberi sono coperti
di muschio secco e nero. Il declivio è un materasso
di linfa, in fondo al declivio c’è il grosso canale di scolo.
Dove il grosso canale di scolo entra nel fiume il viadotto
copre il cielo. Sotto al cemento del viadotto
ci sono delle sdraio e un dondolo di ferro.
Quattro vecchi stanno pescando delle anguille
stordite dall’ipossia, l’acqua fangosa raggiunge
le loro caviglie. Le tirano su con le mani,
le anguille, e ridono mentre le tengono
con le mani tra le gambe, mentre giocano,
mentre venerano Priapo. Ridono quando le buttano
nel secchio di latta, si siedono sul dondolo
di ferro e fumano e ridono.
Il gambero killer si sposta da un fiume all’altro
e lo fa nelle ore più buie del giorno. Tiene le chele
alte, sulla testa. Il gambero killer è una ricordo lasciato qui
dal 
domani. I bambini temono le sue chele, i bambini
hanno paura dei vecchi che pescano le anguille.

Francesco Terzago (1986) ha studiato linguaggi e tecniche di scrittura all’Università di Padova e, alla Scuola Holden (Torino), storytelling politico. Ha vissuto in Cina dove ha indagato il diffondersi della Street Art nei chéngzhōngcūn (villaggi urbani) e vive alla Spezia, città sul mare. Negli anni riviste accademiche e periodici di ampia diffusione hanno citato il suo lavoro. Per esempio, La Lettura (Corriere della Sera), L’Espresso, ed Enciclopedia Treccani.
È stato nella classifica di qualità dell’Indiscreto con Caratteri e CibernetiCon Ciberneti racconta estrattivismoautomazione, vergogna prometeica società cyborg.  Con Caratteri, affronta temi come terzo paesaggio capitalismo nomade (Vydia editore 2019) e vince L’Elena Violani Landi dell’Università di Bologna – opera prima. Testi tratti da questa raccolta compaiono in Oltrelontano, Poesia come paesaggio, progetto di Laura Pugno per Rai Radio 3 (2021). I suoi versi sono presenti in periodici come: Nuovi Argomenti (Mondadori) e ItalianPoetry Review (Columbia University/Società Editrice Fiorentina). Attraversano, inoltre, numerose antologie come: Ultima *Definizione del sempre (Ultima) e Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90 Vol. 2 (Interno Poesia) oltre a Generazione entrante (Ladolfi Editore) e Poeti della lontananza (Marco Saya Edizioni).

 Sito: https://francescoterzago.it/


Immagine in copertina articolo:

Illustration of C. fontinalis (fig. 3) from Johann Jacob Dillenius’s Historia muscorum (1741) — Source.

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Ecopoesia: Tre poesie di Francesco Terzago

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