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Intorno a Poesia, natura, attivismo

in dialogo con Ilaria Boffa
autrice della raccolta Beginnings & Other Tragiedies / Valley Press UK 2023


di Antonia Santopietro

Secondo la tua esperienza di lettrice di poesia e poeta, credi che la poesia sia una forma di attivismo culturale ecologico? “spendere una parola per la natura” come ha detto Thoreau, non è forse conferire materialità di pensiero alla simbiosi umano e non-umano espressa in legami biologici e vitali?

Se pensiamo al poeta vate, a colui che dà voce al pensiero della comunità, che si fa interprete e guida, in questo senso la poesia e l’arte tutta possono raccogliere i dubbi, i quesiti, le angosce e le aspirazioni collettive contemporanee. Una poesia che si fa avanguardia, induce alla riflessione e anche all’azione. Non credo sia indispensabile tuttavia essere inseriti nel filone della green poetry o proclamarsi attivisti per ‘spendere due parole per la natura’. Ciò che a mio avviso può risultare importante oggi è radicare la propria espressione artistica nel vissuto, nel contesto storico, in ciò di cui facciamo esperienza anche in modo indiretto o tangente, per lasciare testimonianza, offrire delle viste alternative o semplicemente mostrare la bellezza del nostro pianeta. Allo stesso modo concepisco la letteratura di genere. È vitale che si rompano i muri, che ogni forma artistica supporti i valori di diversità, equità, inclusione e la bella notizia è che tutti possiamo contribuire, senza per forza metterci addosso un’etichetta e senza giudizio verso chi con quell’etichetta ritrova forza e determinazione.

Una cosa vorrei però sottolineare. Il legame tra uomo e gli altri esseri viventi (e anche non viventi), la contaminazione a cui stiamo assistendo con l’avvento dell’intelligenza artificiale, la crisi ambientale, dovrebbero indurre a chiederci cosa sia importante sentire, pensare e fare. Nel libro The Biophilia Hypothesis del biologo naturalista E.O. Wilson si discute dell’esistenza umana come dipendente intrinsecamente dalle altre specie viventi e per tale motivo la distruzione della biodiversità costituirebbe la ragione prima della VI estinzione di massa, quella della nostra specie.

Credo che la poesia e l’arte abbiano davvero una grande opportunità, quella di accompagnarci in questo processo di evoluzione, di spingerci a immaginare il presente e il futuro, di indurci a de-familiarizzare con ciò che è noto e con alcuni pattern sociali e di pensiero, imparando a disimparare per costruire il nuovo.

In che modo è possibile trovare una linea di ricerca che evidenzia il punto di contatto tra Poesia e le conseguenze dell’Antropocene? Pongo l’attenzione su uno devi tuoi versi: “Sono scomparse le lucciole” . Da subito il ricordo è andato all’articolo di Pasolini del 1975, definito “l’articolo delle lucciole” e presente negli Scritti corsari , dove il fenomeno naturale della scomparsa delle lucciole –”Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole” scrive Pasolini – fornisce l’occasione per contestualizzare e rappresentare i cambiamenti sociali e politici.

Sì, prima e dopo la scomparsa delle lucciole come scrive Pasolini, uno spartiacque naturale, sociale e politico. Mi viene in mente ‘Rules for the Dance’ in cui Mary Oliver ci avvicina alla prospettiva della poesia come esperienza e relazione con il mondo fisico. Raccogliere e preservare la memoria collettiva di un luogo, uno spazio, che cambierà in parte o del tutto nella forma, nelle frequenze, nei colori, attraverso il tempo. L’osservazione e descrizione della realtà e delle sue interazioni, quel paesaggio di cui siamo parte integrante, quali attori sociali insieme agli altri attanti non umani e non viventi, per dirla alla Latour. Così il raccontare le lucciole, il fango che zavorra sulle golene, il suono gommoso che proprio in quel punto scivola via tra i resti di culmi in inverno.
Il concetto di Antropocene, il nostro impatto sul pianeta, conduce tuttavia a un guardare antropo-centrico. Ancora una volta scriviamo di noi, del nostro colonizzare, stratificare, estinguere. Se gli uccelli cantassero versi, a cosa darebbero voce? Il polline che imbianca gli argini e resta negli stagni per milioni di anni, quali immagini restituirebbe? Ecco, questa linea di ricerca potrebbe essere interessante perseguire. Un radicale cambio di prospettiva, applicare una sorta di empatia letteraria e poetica.

Certamente concordo nel ritenere che la poesia abbia l’opportunità di essere destrutturante e dirompente nelle tematiche sociali e in questo caso, ambientali. Tu ti esprimi in due ambiti artistici, la poesia e la produzione sonora. Quale obiettivi poni nei tuo lavori, cosa motiva il percorso e cosa ci racconta l’ultima opera? 

La mia attività artistica, sia poetica che di field recording, si basa principalmente su tre elementi portanti: osservazione, ricerca e sperimentazione. Il lavoro, spesso progettuale, è radicato nella realtà di cui posso fare esperienza, diretta o indiretta. Decido di proporre una vista su una tematica che mi interessa e ne approfondisco i contenuti, leggo gli studi correlati e le opere artistiche attinenti. Cerco infine una modalità narrativa (anche sonora) e di linguaggio che mi consenta di rappresentare al meglio (secondo la mia intenzione ovviamente) quanto voglia trasferire. Come già anticipato, mi affascina la discontinuità e la defamiliarizzazione, il disagio come occasione di riflessione ed evoluzione. Scrivere, registrare e produrre soundscape risultano per me canali simili e interconnessi attraverso i quali offrire il mio contributo di pensiero, sentire, dissentire, domandare, dubitare, agire. Nel mio ultimo lavoro, il poema lungo Beginnings & Other Tragedies/Inizi e Altre Tragedie, ricorrendo a una struttura simile a quella della tragedia greca, introduco temi attraverso un coro e mi interrogo sul nostro vivere ecologico, umano e postumano grazie a due attori: Lei, il femminino e il feminino/essenza animale al contempo; Loro, gli altri esseri viventi e non viventi. Il paesaggio entra in modo attivo nella scrittura e nella registrazione: Venezia, la città che affonda, metafora dell’umanità, i colli Euganei e il fiume Bacchiglione, la flora della regione, i miei cani, presenze vive e sonore che interagiscono con il mio esistere. Non ho, o almeno così spero di essere letta, alcuna presunzione o ambizione di insegnamento nei miei versi. Piuttosto mi auguro traspaia un desiderio e la necessità di condivisione, anche nella denuncia.

Il paesaggio è metafora e testimonianza della attività umana, anche se facciamo molta fatica ad assumere questa responsabilità traducendola in azioni. Il rischio di non gestire le conseguenze delle attività umane tenendole nei limiti di sostenibilità planetaria è molto elevato. Se fossi catastrofista e dovessi decidere cosa potrebbe restare a testimonianza della nostra presenza sulla Terra, direi la bellezza della creatività artistica e letteraria dell’Umanità. In questa logica l’arte e la letteratura ha una vocazione ecologica, è il filo conduttore positivo di una simbiosi che rappresenta un dialogo ad imperfetto. Cosa ne pensi?

Mi piace affermare che l’Arte e la Letteratura sono intrinsecamente ecologiche in quanto rappresentano le condizioni di esistenza dell’uomo e del postumano, le sue angosce, le ambizioni, le sofferenze, le sue interazioni con gli altri sistemi, la sua evoluzione. Assimilo l’Arte tutta, in primis la Poesia, al concetto di Pregnant Posthuman di Rodante van der Waal che si può leggere all’interno dell’antologia filosofica The Posthuman Glossary edito da Rosi Braidotti e Maria Hlavajova. La produzione artistica e poetica sono al contempo figlie del postumano e generatrici del divenire. Portano nel grembo la pluralità e se ne curano in quanto madri.

When I produce, I wait. When I produce another, I become. I am the infinite postponement of getting to know what I carry, of getting to know the matter -an sich-. I am plural. I care because I carry. And I am pregnant only after the world, only after desire, only after love.’

In quest’ottica, il paesaggio esteriore, interiore, il terzo paesaggio di Gilles Clément risultano ambienti fertili dove la vita si fa narrazione. Il paesaggio non come sfondo, ma come attore protagonista. Un’umanità che deve imparare a condividere la performance di quest’opera tragicomica, dai tratti sci-fi e cli-fi e per molti aspetti futurista. Se i principi artistici di Bellezza e Pluralità fossero integrati nella dimensione politica ed economica quale standard e criteri decisionali, credo saremmo in grado di adottare una linea di sviluppo più equa e sostenibile. In cosa riporre la nostra fiducia, la nostra visione se non nell’Arte?

Tornando al tuo ultimo lavoro, Beginnings & Other Tragiedies / Inizi e altre tragedie, se dovessi generare una mappa intuitiva per il lettore, quali sarebbero le parole chiave che useresti?

La prima parola chiave è senz’altro ‘viaggio‘, quindi una guida al processo di lettura. Quest’opera non è una raccolta di poesie bensì un poema lungo e andrebbe letto in continuità. È possibile integrare l’esperienza ascoltando il soundscape che ho registrato e prodotto a Venezia e sui Colli Euganei (qui).

Continuerei con ‘necessità’, riferendomi al concetto di vincolo, forza inevitabile, che si ritrova nella tragedia greca e a cui in qualche modo rendo omaggio attraverso la struttura del poema. Di ‘necessity’ tanto scrive Anne Carson nelle sue Grief Lessons, traduzione di quattro tragedie di Euripide, e da cui traggo una delle due citazioni che aprono il libro. Nell’introduzione di queste lezioni sul dolore si legge: Why does tragedy exist? Because you are full of rage. Why are you full of rage? Because you are full of grief. Attraverso la rappresentazione tragica degli eventi si compie una catarsi, vediamo gli attori andare a fondo, per necessità, e ci liberiamo del trauma, del lutto. Così Inizi e altre Tragedie racconta dell’agonia e della fatica di scelte differite, del fallimento e pur tuttavia della necessità di non arrendersi e continuare.

‘Paesaggio’ esteriore e interiore, realistico, lirico e psichico, è certamente un’altra parola importante. Come già discusso, il lavoro presenta sullo sfondo luoghi a me cari, la terra che mi circonda, elementi naturali che si fanno rappresentazioni e cardini narrativi. 

Ricordo di aver letto con emozione la raccolta Dietro il Paesaggio di Andrea Zanzotto durante la fase di ricerca, riedizione del 2021 pubblicata dalla Padova University Press, e di essermi fatta trasportare in alcune sere d’inverno dai pattern sonori di In a Landscape di John Cage.

Chiuderei con ‘divenire’, quel non più e non ancora che caratterizza un passaggio, l’evoluzione e la trasformazione degli esseri viventi e non viventi, nonché dei sistemi. Quella transizione sociale, economica, ecologica, politica, antropologica che conduce verso la sostenibilità. Divenire che ho imparato possa o forse debba passare attraverso il principio e modello etico dell’Abbastanza/Enough (abbastanza per tutti) come ampiamente argomentato in Doughnut Economics dell’economista inglese Kate Raworth.


Per approfondire:

Beginnings & Other Tragedies / Inizi e Altre tragedie di Ilaria Boffa | anteprima


in copertina Detail of Rhodomenia sobolifera from Anna Atkins’ Photographs of British Algae, ca. 1843–53

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