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Fervore Emanuele TononFervore  | Emanuele Tonon
Mondadori 2016

 

Capita raramente di vedere concentrato in un centinaio di pagine tanta lirica bellezza narrativa, un intimismo delicato e un’atmosfera di intenso mistico fervore, purezza e smarrimento esistenziale.

Emanuele Tonon, già autore di Il nemico (Isbn edizioni, 2009) e di La luce prima I circuiti celesti, un memoir dedicato a Marco Simoncelli (66thand2nd) ci regala un piccolo gioiello diaristico, sono i dodici mesi della prova, quella che il protagonista passa nel convento di Renacavata, a vent’anni in promessa di divenire frate francescano.

Cosa accade a queste giovani vite che, da poco al mondo, carni ancora fresche passate dal ventre al seno materno, si imbattono glabre nella forza attrattiva di una promessa di terra franca prima dell’approdo alla vita?

Questo periodo ha il senso di uno svezzamento, di un rito iniziatico, o di un apprendistato allo stesso tempo. Una sospensione che ha il valore di un’immersione battesimale nella fonte di conoscenza del sé e del mondo.

A questo, si è adatti a venti anni o mai più, la coscienza è ancora un organulo e il corpo un Golem.

I versi di Giovanni in esergo ci portano la chiave di interpretazione del testo:

“Or al presente io vengo a te, e dico queste cose nel mondo, acciocché abbiano in loro la mia allegrezza compiuta. Io ho loro data la tua parola, e il mondo li ha odiati, perciocché non son del mondo, siccome io non son del mondo. Io non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li guardi dal maligno. Essi non son del mondo, siccome io non son del mondo.” (Giovanni 17,13-15)

Essi che bramano incosapevolmente l’evoluzione, la stessa a cui hanno pensato di sottrarsi, sono ispirati da un mondo fatto di regole basiche eppure rigide atte a proteggere come in un abbraccio pulcini disorientati che pure possono mescolare i loro lombi alla natura e alle preghiere. Che pure possono lasciare tracce di sé sul saio come sui muri sui quali incidono poesie, nenie, fatti.

Il termine “noviziato” prima dei voti, il periodo realmente vissuto dall’autore, introduce il senso del nuovo e del “senza pratica”, di una consapevolezza tutta da farsi e di una maturità imminente in un tempo scandito dal lavoro manuale, la preghiera, la condivisione di spazi rigorosi, l’assenza di contatti con l’esterno. Una realtà sovrapposta che per contrastare l’iterazione annichilente ha bisogno di ascendere all’estasi o stare negli inferi, tutto con un grande esercizio di immaginazione.

Noi, ragazzini con quei primi peli che facevano male, che procuravano prurito e arrossamento nel traforare la faccia, cercavamo di salire quelle albe altissime da ubriachi, da bisognosi di sonno e di consolazione, cercavamo di salirle col canto, colle cosce rigate, coll’amore per un Dio che avevamo preso l’abitudine di inventarci.”

Del protagonista si sa poco se non che arriva in convento come atto di ribellione alla paura che il mondo che avverte come omologante e impoverito, lo fagociti:

“…ti trovavi in quelle biblioteche sterminate, tu che avevi conosciuto soltanto condomini irredenti, campi, stalle, capannoni di fabbrica; tu che avevi odiato tuo padre e tua madre, tu che avevi lasciato tuo padre e tua madre a diciotto anni, dopo aver letto le parole di un messia oscuro e adorabile, tu che ti trovavi, dopo aver abbandonato i carburatori, le biciclette, la vera povertà, a vestire un saio…..”

e sarà invece la cella a fagocitare il sonno, il pensiero e lo slancio riducendolo a suoni e sogni sempre più spaventevoli o sempre più distaccati dal vero, vocati a un Dio che reclama la loro candida voce, gli occhi e le parole piegate in nenia estatica.

Tutti insieme simbolo di un Francesco innocente, emblemi di un tempo in cui si può essere plasmati in forme diverse e tutte sopraffini con il travaso di una vocazione imbevuta di magnificenza. A quel tempo ogni “non-uomo” è impressionabile, e brama esperienze epocali, ha di sé idea di massima potenza. In questo spazio si insinua pure il convincimento che un dio possa volerci suoi per sempre.

Molto elegante la scrittura di Tonon, raffinata e delicata, e allo stesso tempo essenziale, un testo che riletto nel tempo ci offre prospettive ulteriori. Ognuno ha la sua Renacavata, un momento di passaggio e formazione, un momento di innamoramento estatico, un momento che ci ha traghettato altrove.

“… Voi che siete rimasti laggiù, che laggiù siete rinati, non morirete mai. E, di canto in canto, dove non farà mai più sera e mai più mattina, sarete per sempre cantati.

Antonia Santopietro


Nota Biografica

Emanuele Tonon è nato a Napoli nel 1970 ed è cresciuto a Cormòns, Gorizia. È stato operaio nell’industria del legno finché, a diciannove anni, è entrato nel convento francescano di Spello. Nel 1996, durante il triennio teologico ad Assisi, in seguito a una crisi vocazionale, ha deciso di smettere l’abito religioso

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