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Demetrio Paolin è l’autore di Conforme alla gloria, Voland, candidato al Premio Strega 2016, (leggi la recensione ZEST).

Gli abbiamo rivolto alcune domande e lo ringraziamo per l’accuratezza delle risposte e la profondità delle riflessioni.

Abbiamo letto in un’intervista che il suo avvicinamento alla scrittura concentrazionaria è di lunga data. In che modo questo suo interesse è sfociato nell’ideazione di Conforme alla gloria?
Conforme alla gloria nasce da un miscuglio di interessi e di ossessioni, alcuni legati appunto al tema della concentrazione (il rapporto carnefice vittima, il male di sopravvivere), altri (il corpo come luogo dell’esperienza, il male come realtà pervasiva del mondo) invece consustanziali al mio modo di immaginare il mondo. Il romanzo è, o almeno così mi pare, la felice unione di tutti questi temi nella vicenda che ho raccontato. Certo il testo non sarebbe mai potuto nascere senza il mio apprendistato e studio all’università sui temi e i testi di Primo Levi e della letteratura legata al periodo della Seconda Guerra Mondiale. Ho sentito però a un certo punto che quello che avevo studiato e appreso non mi bastava per comprendere ciò che sentivo nel leggere questi testi: c’era qualcosa come un piccolo fischio nella notte che mi disturbava. Il romanzo vuole dare conto di questo leggero rumore. In altre parole mi sono reso conto che per far comprendere il fenomeno della Shoah non bastavano le memorie e gli studi storici, ma era necessario anche qualcosa di diverso, e che l’invenzione romanzesca poteva essere la giusta risposta.

Nel romanzo la riflessione sul Male, sulla sua morfologia tentacolare, è ciclopica, accurata, impietosa. Immaginiamo che per lei questa sorta di immersione nelle oscurità dell’animo umano sia stata estremamente impegnativa e coinvolgente…
Scrivere Conforme alla gloria è stato un lavoro complesso, proprio perché le immaginazioni che stavano dietro il testo, che lo generavano erano disturbanti anche per me che le avevo prima pensate e poi scritte. L’idea che mi ha guidato è sempre e solo stata una: essere onesto con il lettore, pensare a lui nell’atto della sua lettura. Non volevo ingannarlo, non volevo consolarlo o mentirgli. Ho pensato che la cosa migliore fosse comunicargli nel modo più nitido e chiaro possibile quello che la mia mente aveva pensato. Parlare del male e scriverne porta lo scrittore a dover avere un atteggiamento eticamente responsabile rispetto a ogni parola che scrive.

Pensa che in Italia si stia facendo abbastanza per tenere vivo il doloroso ricordo dell’Olocausto? In un certo senso in Conforme alla gloria si evidenzia il pericolo che alla conoscenza, alla riflessione rivolta in particolare alle nuove generazioni, subentri una sorta di normalizzazione, di indebolimento della memoria.
Il problema della memoria e di come si tramanda richiederebbe un saggio intero e non una semplice risposta, proprio perché si rischiano delle tremende semplificazioni. Sono semplificazioni ad esempio sia la Giornata della Memoria che la legge, appena approvata alla Camera, sul negazionismo. Beninteso servono, hanno un loro fine e il dibattito che le ha prodotte è forse anche più interessante di ciò che effettivamente è stato approvato. Credo, anzi, che non ci sia rimedio alla normalizzazione della memoria, in un certo senso la Giornata della memoria si muove su questo crinale: negli ultimi anni non c’è scuola o istituto che non abbia il suo “testimone” che arrivi a raccontare ciò che gli è accaduto. Mi preoccupa maggiormente, invece, l’avvicinamento degli studenti a questi temi, il modo in cui viene fatto studiare Levi, o come si ignori che esistono molte altre pubblicazioni di scrittori non solo italiani su questo argomento che fanno parte della grande letteratura (penso a Manea, a Kertez a Semprun a Amery).
Ad essere sinceri anche il romanzo ha una funzione di normalizzare, perché racconta e mette in fila una serie di vicende, cercando di dar loro una storia e una trama comune. Il problema quindi non è normalizzare, ma banalizzare, svuotare e rendere cerimoniale qualcosa che non lo è. Primo Levi quando parla della sua esperienza scrittore si chiede se è stato capace di far “comprendere”. Ecco comprendere è normalizzare, cioè far sì che il fatto accaduto sia accessibile ai più. Mi pare che invece si tenda spesso a prendere la Shoah e la deportazione e a renderla banale (penso alla Vita è bella di Benigni).

Descrivendo le vite compromesse di un ex deportato italiano e di un uomo tedesco il cui padre è stato un aguzzino nel lager di Mauthausen, lei sembra voler personificare la inafferrabilità del Male, la sua attitudine ad occultarsi per poi riemergere in nuovi contesti, in luoghi apparentemente immuni alla trasmissione del contagio. Ritiene che l’odio, la prevaricazione, siano aspetti impossibili da circoscrivere, da contenere?
Penso che il male sia una parte del nostro essere umani, sono nutrito fino al midollo della cultura cristiana e non posso dimenticarmi che nasciamo con il peccato originale, che ognuno di noi ha il segno di Caino marchiato sulla pelle. Mi sembra impossibile pensare un essere umano senza che questo non possa essere anche male, ovvio che questa visione così pessimistica e negativa dell’uomo ha un rovescio ovvero il tentativo di bene che per me è fondamentale, ma che appunto non è qualcosa che riguarda l’essere – essere è ontologicamente male – ma il fare.
Noi al male che siamo possiamo solo opporre un’azione di bene, provare a fare il bene, forzando la nostra natura è l’unica cosa che ci rende nobili. Che poi questo sforzo sia il più delle volte inutile, ci spiega perché siamo così tragici e risibili allo stesso tempo.

In un’intervista ha dichiarato che con Conforme alla gloria si è messo in testa di scrivere il suo Giudizio Universale. In effetti i tempi di elaborazione e gestazione del romanzo sono stati piuttosto lunghi (dal maggio 2008 al gennaio 2016). La prossima opera sarà altrettanto composita, totalizzante, o ha in cantiere dei progetti editoriali per così dire più “agili” o che assecondano ispirazioni differenti..
La risposta reale a questa domanda è: non so. Non ho in questo momento nessuna idea concreta e neppure embrionale di qualcosa da scrivere (ho tirato giù un racconto per una rivista che mi è stato chiesto ma nulla di più). Anzi l’idea di scrivere proprio mi fatica, e sinceramente non so se riprenderò a scrivere cose di narrativa. Forse qualche recensione, ecco vorrei tornare a leggere. Insomma per un tempo molto lungo, molto molto, Conforme alla gloria resterà il mio ultimo romanzo e libro.

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Intervista a Demetrio Paolin / Conforme alla Gloria, candidato Strega

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