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In alto mare. Paperelle, ecologia, Antropocene
di Danilo Zagaria
add editore, 2022

 

 

 

 

 


Per concessione della casa editrice vi proponiamo la lettura di un estratto

Meno ghiaccio, più spazio

Trentacinque anni prima che Arthur Conan Doyle salpasse a bordo della Hope per andare a caccia di foche e balene nel Mar Glaciale Artico, due velieri all’avanguardia – la Terror e la Erebus – presero il largo dal porto inglese di Greenhithe e fecero rotta verso nord con un equipaggio composto da 24 ufficiali e 110 marinai. Oltre alle vele, disponevano di motori a vapore, ed erano equipaggiate per poter restare in mare diverso tempo in condizioni avverse: avevano scorte di cibo per tre anni, potevano vantare una sorta di impianto di riscaldamento interno e un rudimentale marchingegno per rendere potabile l’acqua di mare. Inoltre, le prue erano rinforzate con placche di ferro, che avrebbero dovuto rendere più agevole la navigazione in acque piene di lastroni di ghiaccio.

La missione, assegnata all’abile comandante Sir John Franklin, non era affatto semplice, ma se le sue navi fossero riuscite nell’impresa, il suo nome sarebbe stato ricordato per sempre. Secondo i piani la Terror e la Erebus avrebbero navigato fino alla Baia di Baffin, il tratto di mare che separa il Canada dalla Groenlandia. Lì, in acque ghiacciate e difficili, avrebbero tentato di aprirsi una via verso occidente fra le molte isole (circa 35.000) che compongono l’Artico canadese.

Sperando che le moderne tecnologie di cui erano dotate le due navi avrebbero fatto la differenza, Franklin contava di raggiungere in breve tempo il Mare di Beaufort e, da lì, l’Oceano Pacifico. Se fosse riuscito a trovare una rotta in quel labirinto di isole, lastroni di ghiaccio e tempeste di neve, avrebbe aperto una rotta leggendaria, il celebre “passaggio a nord-ovest”.

Per capire quanto fosse importante portare a termine una missione del genere, dobbiamo fermarci e capire come avvenivano i commerci e i viaggi alla metà dell’Ottocento. Dato che non esisteva il Canale di Panama (ultimato soltanto nel 1920), per passare dall’Oceano Atlantico al Pacifico e viceversa le alternative erano due: passare da sud, navigando lungo le coste dell’America Latina e doppiando poi Capo Horn, oppure imboccare la strada più lunga, e arrivare al Pacifico passando dall’Oceano Indiano. Non è difficile intuire che un passaggio a nord avrebbe accorciato moltissimo i tempi di viaggio, diminuendo i costi e aumentando i profitti. Inoltre, in quel secolo tutte le grandi nazioni del mondo, in particolare quelle europee, tentavano di portare a termine l’esplorazione di aree del mondo ancora poco conosciute. L’Inghilterra in particolare – che allora era la più grande potenza mondiale, aveva innumerevoli colonie e poteva vantare la flotta più vasta di tutte – era affamata di conquiste e primati. Aprire il passaggio a nord-ovest sarebbe stato l’ennesimo trionfo per la regina Vittoria e i suoi sudditi.

Chi di voi ha letto il romanzo di Dan Simmons La scomparsa dell’Erebus o ha visto la prima stagione della serie televisiva The Terror sa che le cose per il capitano Franklin e i suoi uomini non andarono secondo i piani. Una volta raggiunto l’Artico canadese, le navi restarono intrappolate nella morsa del ghiaccio e i marinai dovettero trascorrere diversi inverni in totale isolamento, senza alcuna speranza di poter tornare indietro o andare avanti. Prima il freddo e le malattie, poi la scarsità di provviste e le tensioni fra l’equipaggio furono letali per la missione. Secondo le ricostruzioni molti uomini morirono nel gelo artico, mentre altri tentarono la sorte incamminandosi sul ghiaccio in direzione sud, sperando di incontrare prima o poi un villaggio inuit. Nessuno sopravvisse o fece ritorno in patria. I relitti delle due navi sono stati trovati di recente, nel 2014 e nel 2016, a pochi metri di profondità nelle gelide acque vicine all’Isola di Re Guglielmo.

Dato che nessuno sa con precisione come andarono i fatti, questa storia drammatica ed epica ha ispirato canzoni, poesie, romanzi, film e serie televisive. Alcune missioni archeologiche hanno confermato che gli uomini, spinti allo stremo dalla fame, praticarono il cannibalismo sui corpi dei compagni morti. Questo e altri dettagli crudi sulla sopravvivenza degli uomini di Franklin hanno trasformato la vicenda in una leggenda dal fascino oscuro. È una delle tante storie che nell’Ottocento hanno reso l’Artico un luogo spettrale, pericoloso ma seducente e abitato da forze misteriose e sovrannaturali.

Ho raccontato la vicenda della Erebus e della Terror per via dell’amore che provo per le avventure di mare e le missioni leggendarie, ma non solo. Questa storia ci permette di entrare nell’argomento che analizzeremo nelle prossime pagine. Se l’avversario principale di Sir John Franklin è stata la morsa dei ghiacci in cui sono rimaste intrappolate le sue navi, che cosa ne è oggi del passaggio a nord-ovest? È possibile per- correrlo e sfruttarlo per i commerci marittimi? E in futuro, quando il ghiaccio, in particolare quello estivo, sarà soltanto un ricordo, navigare in un Mar Glaciale Artico sempre più blu sarà un’alternativa vantaggiosa per le flotte commerciali?

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In alto mare. Paperelle, ecologia, Antropocene  | Danilo Zagaria – Estratto

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