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Rubrica 2078 Fifth avenue
La rubrica prende il nome dalla strada in cui vissero i fratelli Collyer noti per aver accumulato un notevole quantitativo di oggetti, tra cui libri e giornali, è un pretesto narrandi per immaginare di avervi trovato libri di autori, che sebbene lontani nella memoria, hanno fortemente contribuito alla letteratura nazionale e poterne raccontare ancora.

a cura di Davide Morganti


romano-romualdo-scirocco-Non è che mi senta tanto bene, il freddo continua, le pareti sono ghiacciate, il vento rende opache le luci e mi muovo male in questa casa. Il tempo è così lento che mi pare di non esser mai stato vivo, i rumori sono l’unico conforto che ho, le uniche presenze e vorrei non smettessero mai. Di continuo devo stare attento a dove metto i piedi, non sono più giovane e se cado rischio di fare la fine di uno dei fratelli Collyer. Tra poco verrà a piovere, non chiuderò le finestre, la luce è già così fioca. Per pochi giorni mi ha tenuto compagnia il libro di Romualdo Romano, uno scrittore siciliano nato nel 1911 e morto nel 2001, maestro e ispettore didattico all’estero. Un nome che non mi diceva niente. L’ho aperto per curiosità, la copertina vecchia, arancione sbiadito di un suo romanzo: “Scirocco”. Del 1950. “Nel pomeriggio si mise a soffiare lo scirocco. Il segnale lo diede la banderuola di ferro sul terrazzo di fronte al mio balcone: cigolava sempre, ma quando soffiava lo scirocco pareva impazzisse addirittura e il suo stridio esasperante penetrava nelle vene. Avevo pranzato di cattiva voglia ripensando all’appuntamento di mezzanotte. Sapevo che a quell’ora lo scirocco urlava forte e nessuno andava per le strade”. Il vento caldo e poi umido travolge il paese di Castagneto, dove un insegnante si muove indolente. L’agonia di una giovane nel suo letto sarà il lento metronomo del tempo che non passa ma si fa arido, fino a diventare sterpaglia che consuma ognuno. Nel sonnolento paese avviene un omicidio misterioso e un panificio sarà bruciato, tutto questo appena desta dal torpore gli abitanti di una Sicilia lontana dal mare. Il protagonista racconta questa immobilità di cui è parte, provando a scrivere un libro “ma non sapevo con precisione quel che avrei scritto”. La sua mano resta inespressa, come ciò che lo circonda. Il romanzo di Romualdo Romano ebbe il premio Hemingway, assai importante allora. Chissà che cosa è successo, poi, a questo scrittore di cui non c’è memoria o quasi. Il libro in una cosa esagera: l’uso eccessivo degli avverbi con suffisso in -ente, davvero troppi. Nessuno glielo ha fatto notare, sono assai fastidiosi dopo un po’. La sensualità che si trova nelle pagine è ferale, cupa, disperata, un tentativo di fermare l’uggia di quei giorni. “Intanto la noia non se n’andava e il libro rimaneva sempre al primo capitolo. Ne aveva colpa colpa la figlia dell’albergatrice: amavo lavorare di notte, e invece dovevo fare l’amore con quell’animale tremendo che aveva tutte le caratteristiche d’una spugna! Ma un giorno avrebbe cambiato alloggio, lo presentivo. Anche lì dalle fessure fischiava lo scirocco e faceva oscillare il lampadario”. Il sesso è una fame che chiama altra fame, non la sazia, non la conclude, l’allarga fino a provocare solchi ancora più profondi tra le donne e gli uomini. Finalmente ha cominciato a piovere. Il “Saturday review” scrisse sul romanzo di Romano, tradotto in sei lingue: “An accomplishment … which must have delighted Hemingway”. Scrittura stringata, asciutta, un referto medico da consegnare a chi non ha cure per guarire dalla vita. Sono tutti malati, gli abitanti di Castagneto, ombre in mezzo alle ombre, fantasmi che sbiadiscono perché per principio hanno la morte. Non ho molta voglia di vivere oggi, mi sento solo, in questa casa grandissima non succede mai nulla, proprio come nel paesino siciliano. Mi piace “Scirocco”, non dico sia una capolavoro, non lo è, però ha una malinconia atroce, di quelle che vorresti metterti a letto presto e aspettare che la vita passi per sempre. Anche questo libro, come tanti, è andato via, nessuno lo legge più, nessuno sa più niente di questo scrittore palermitano. La storia è una fossa comune dove vanno a finire tutti, ma alcuni restano più in fondo. Mi fanno male le mani per il freddo, la 2078 fifth avenue ha un gelo che non si trova altrove in città. Non sono mai stato in Sicilia, non so se ci andrò mai, non importa, ci si arriva con le parole, anche se non sono segnate su nessuna mappa geografica. L’isola raccontata da Romano è arsa dal sole come in certi racconti di Verga, la vita nelle sue pagine diventa un arbusto secco che si piega verso terra. Non c’è una storia che muova il romanzo, il plot, come si dice, è piuttosto un osso di seppia, un lichene messo ad essiccare sulla carta del libro. “A Castagneto osservavano scrupolosi l’oscuramento, nonostante l’assenza assoluta di qualsiasi pericolo. Anche in questo gli abitanti si adattavan supini, probabilmente senza domandarsene il perché. Esasperavano per quell’apatia congenita che, in segreto, si tramutava in fervore incredibile di maldicenza e di corruzione, ispirato quasi sempre da sentimenti cattivi e perversi. Sonnecchiavo di dentro, sebbene camminassi precipitando giù per il ripido acciottolato”. Non trovo più il libro di Romano, mi è caduto mentre entravo nel soggiorno invaso da ogni cianfrusaglia. Sarà un’impresa ritrovarlo in questo inferno di cose, mi manca la forza di farlo. Non lo cercherò, riposi in pace, almeno lui, visto che a me nessuna requie è concessa.

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Vintage: Scirocco | Romualdo Romano

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