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Padre selvaggio di Pasolini: Il colonialismo come “Struttura che vuol essere un’altra struttura” di Pasquale Verdicchio.


Introduzione:

Incontro con il professor Verdicchio organizzato dalla redazione di ZEST Letteratura sostenibile

a cura di Francesca Cecchetto*

Come si immagina Pasolini in “versione 2.0”?

Non saprei: gli argomenti di cui parlare non gli mancherebbero. Di sicuro se Pasolini vedesse la società di oggi, gli verrebbe in mente la celebre frase de Il Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”». Purtroppo, però, non solo tutto rimane com’è – in certi ambiti si torna addirittura indietro.

La notorietà di Pasolini nasce proprio dall’opporsi all’inerzia sociale del suo tempo, che non si scosta molto dalla realtà dei giorni nostri. Come sostiene il professor Verdicchio in questo breve saggio, l’arte di Pasolini mette con le spalle al muro gli attori che regolano i giochi socio-politici in quanto solleva quesiti scottanti a cui la cultura dominante non può sottrarsi. Le risposte che questa fornisce non sono però altro che delle palesi falsità contraddittorie.

Nel mettere in luce le fragilità e le fallacie della retorica ufficiale, Pasolini riesce a dare rappresentazione alle categorie marginalizzate, quelle che, come rileva Verdicchio, sono composte da “soggetti taciuti e tacenti”. Soggetti che è comodo ignorare; soggetti che hanno interiorizzato a tal punto la loro marginalizzazione da non riuscire a far sentire la loro voce; soggetti a cui mancano i mezzi tramite cui esprimersi e, cosa ancor più importante, un pubblico che li ascolti e li comprenda. Loro, come Pasolini, sono i diversi.

Pasolini va fiero di quest’etichetta che gli regala un posto tra gli autori più controversi e amati della letteratura italiana: gli intellettuali considerati “diversi”, eccentrici, ma innovatori. Sono loro che dispongono di un potere inventivo tale da riuscire a sfidare i canoni della cultura dominante per innescare una riforma sociale che dia spazio alla diversità intesa come inclusione, dove il “diverso” non sia più il difforme, l’estraneo o l’escluso.

È proprio questo sentimento di esclusione che ha portato Verdicchio a ritrovarsi in Pasolini e a voler approfondire figure come lui. Verdicchio si definisce infatti “straniero in due paesi”: nato a Napoli nel 1954, si trasferisce alla fine degli anni ’60 con i genitori a Vancouver in una comunità composta da immigrati prevalentemente di origine inglese e scozzese. Nonostante siano trascorsi molti anni, ammette di non aver ancora del tutto compreso quanto quest’enorme stravolgimento abbia influito sulle sue scelte di vita. Di certo dover confrontarsi ogni giorno con un’imponente barriera linguistica e culturale ha fatto nascere in lui il desiderio di voler mantenere a tutti i costi un legame con le sue radici e di imparare di più sulla sua terra natìa. Appassionato di lettura e scrittura fin dall’infanzia, Verdicchio iniziò a mettersi alla ricerca di libri in italiano e sulla cultura italiana, impresa che là in Canada si rivelò piuttosto ardua. Nonostante tutto, però, non c’è Paese che lui riesca a definire casa. La sua casa non è l’Italia perché se n’è andato quando era troppo giovane, non è il Canada perché lì si è sempre identificato come l’emigrato italiano e non sono gli Stati Uniti perché vi si è trasferito in età adulta per continuare gli studi di italianistica. Co-fondatore dell’Associazione di scrittori italo-canadesi, oggi vive a San Diego dove svolge l’attività di docente universitario che affianca a quella di poeta, scrittore e traduttore.

L’interesse che Verdicchio prova per “l’escluso” si riflette anche nella sua predilezione per le opere che la critica definisce minori. Opere come Il padre selvaggio, sceneggiatura “irrealizzata” in quanto mai divenuta film, che narra la riscoperta da parte delle popolazioni colonizzate del loro senso di responsabilità verso la propria cultura.

Al contrario di ciò che si può pensare di primo acchito, Il Padre selvaggio di Pasolini: Il colonialismo come “Struttura che vuol essere un’altra struttura” trova perfetto inserimento nel catalogo Zest. Questo articolo è un punto di partenza su cui riflettere circa importanti e attuali tematiche socio-ambientali strettamente connesse al colonialismo, come l’ipersfruttamento delle risorse naturali e delle popolazioni del Terzo Mondo, l’imposizione culturale e le ondate migratorie. Infatti, per dirla con le parole di Verdicchio, “dai flussi immigratori ed emigratori si capisce molto di un paese. Le culture non sono un qualcosa di statico e isolato. Le culture sono incontro”.


Il Padre selvaggio di Pasolini: Il colonialismo come “Struttura che vuol essere un’altra struttura”
Pasquale Verdicchio University of California, San Diego

traduzione dall’inglese a cura di Francesca Cecchetto* (progetto tirocinio FUSP | ZEST)

Scrittore, regista e saggista, Pier Paolo Pasolini fece il suo debutto nel 1948 con un piccolo volume di poesie in dialetto friulano, lingua natìa della madre. Lo scrivere nella lingua di una sottocultura segnò l’inizio dell’impegno e dell’interesse dell’autore verso le culture marginalizzate, due aspetti che lo accompagneranno per tutta la sua esistenza. Alla fine degli anni ’40 Pasolini, insegnante e membro attivo del Partito Comunista Italiano (PCI) del Friuli (allora regione sottosviluppata del Nordest italiano), iniziò a essere visto con ostilità dagli attori che orientavano la politica e la cultura dell’epoca. Le attività organizzative e pedagogiche che svolgeva con operai e contadini spinsero un curato locale a prendere provvedimenti contro l’autore. Pasolini venne denunciato per omosessualità in quanto rappresentava una minaccia per i suoi giovani allievi maschi, accusa che lo portò non solo a perdere la cattedra, ma anche a essere espulso dal PCI nel 1949. Questo susseguirsi di eventi mise ancora più in luce il carattere apparentemente contraddittorio della vita dell’intellettuale: l’omosessualità, il Marxismo e il Cattolicesimo ebbero un ruolo attivo e cruciale nel colorare l’arte di Pasolini e nel plasmare la sua relazione con la società italiana fino al 1975, anno in cui venne assassinato per ragioni politiche/passionali.

Dal 1949 al 1977, due anni dopo la sua morte, Pier Paolo Pasolini fu imputato in approssimativamente 33 processi per svariati capi d’accusa, tra cui: “offesa al buon costume e al comune senso della morale e del pudore” (per Mamma Roma, 1962); “vilipendio alla religione di stato, con il pretesto di descrizione cinematografica, dileggiandone la figura e i valori di Cristo con il commento musicale, la mimica, il dialogo ecc.” (per La ricotta, 1963); rappresentazione di “scene offensive del comune senso del pudore, a titolo esemplificativo, nella rappresentazione dei contatti e amplessi tra l’ospite e la cameriera, la padrona di casa e i componenti maschi della famiglia, nonché le tendenze omosessuali del padrone di casa, il padre, contrarie a qualsiasi valore morale, sociale e famigliare” (per Teorema, 1968); presenza di contenuto “blasfemo, sovversivo, pornografico, indecente ecc.” (per Il Decameron, 1971); accuse per “film pieno di oscenità… nient’altro che una serie di volgari esibizioni di organi sessuali, tutti chiaramente fotografati” (per Il fiore delle Mille e una notte, 1973).

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* Francesca Cecchetto è mediatrice linguistica e traduttrice dall’inglese e dal tedesco. Laureata in Mediazione Linguistica, ha continuato il percorso di formazione frequentando il Master in Traduzione Editoriale e Tecnico-Scientifica presso la SSML di Vicenza e ha preso parte al tirocinio con il progetto ZEST Letteratura sostenibile | FUSP in qualità di traduttrice.

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Il Padre selvaggio, di Pasolini: un saggio di P. Verdicchio

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