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Disastro e sopravvivenza | Raffaele Scolari
Mimesis Edizioni

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Il surriscaldamento climatico impone visioni molteplici, che tengano conto dello sconcerto, delle pressioni a cui sono sottoposti i singoli individui di fronte all’irreversibilità, a un probabile scenario di “non ritorno”.

I temi affrontati da Raffaele Scolari – nuclei che si intersecano, che ricercano connessioni reciproche -, analizzano il pensiero disorientato, gli attriti che rendono la rappresentabilità del disastro problematica.

Nel primo saggio del volume Disastro e sopravvivenza (Mimesis Edizioni) viene indagata questa frizione metodologica, viene esperita la possibilità di legittimare e avvalorare un’arte che assuma su di sé il compito di “mettere in scena” gli sconvolgimenti climatici.

È utile ricordare come il rischio di produrre arte didascalica, quando non volgarmente ideologica, è insita nella manipolazione di contenuti e nell’affastellarsi di materiali. A tal proposito occorre generare tensione fra evento artistico e ricezione dell’opera, esigenza che – nel caso dell’arte climatologica – si trova a fare i conti con specificità inedite, problematiche nella sistemazione di uno spazio “altro”, pensabile e rappresentabile.

Entra così in gioco lo slittamento del sublime, l’impossibilità per lo spettatore di contemplare l’opera da un rialzo panoramico, confortevole, in quanto i due termini della fruizione (contenuto e forma dell’opera, da un lato, presente di me che assisto al suo dispiegarsi, dall’altro) confluiscono e s’identificano.

Siamo costantemente “dentro” quanto accade e osserviamo, suggerisce Scolari, immersi nell’emergenza climatica e nel suo dispiegarsi, constatazione che travalica ogni riflessione filosofica per confluire nei territori dell’agire e della responsabilità individuale.

In un presente profondo, i fini universali si ritrovano in uno stato di assedio. Persiste una vaporizzazione dei contenuti, che permette all’industria dei mezzi di proliferare. Ciò può fare riferimento all’ordine capitalistico, ma non di meno all’idea che l’uomo ha della sopravvivenza, vissuta e promossa come entità autoreferenziale. Nel frattempo il tempo profondo, scandito dalle ere geologiche, fa la voce grossa in un contesto misurabile, storico, sferzando il presente e rammentando agli umani la fragilità degli ecosistemi. Il contrappunto delle metafore è quanto mai illuminante, per certi versi agevole. Scrive Scolari: Il brutto verbo “impattare” (nel suo impiego neologistico derivato dal sostantivo “impatto”) può qui essere utilizzato per rendere l’idea di ciò che sta accadendo: il tempo profondo “impatta” sui tempi storici, il che è come dire che un macigno cade o è in procinto di cadere su un granello di sabbia (sui pochi millenni di storia e anche di preistoria di homo sapiens). Nei fatti della realtà fisica ciò non è ancora avvenuto, oppure di esso vi sono solo avvisaglie, ma nelle nostre menti, nei nostri modi di stare nel tempo e di concepirlo, a prescindere dal grado di consapevolezza che i singoli ne possono o sanno avere, l’impatto ha già avuto luogo.

La crisi ambientale si alimenta di contrapposizioni, filosofiche e di conseguenza politiche. Nell’intervento Filosofia dei cambiamenti climatici viene rianalizzata la frattura tra finalità e mezzi, ovvero fra scienze morbide e scienze dure, scissione che ha condotto a una progressiva oggettivazione del mondo, all’identificazione della natura in quanto oggetto di ricerca, misurabile e appropriabile ai fini dell’uomo. Appare inesorabile questa deriva baconiana (sapere è potere…), a cui fanno da traballante contraltare i tentativi (perlopiù ideologici) di reincantamento, rimitizzazione o riscoperta mitologizzante della natura.

L’uomo si scopre agente geologico, trait d’union fra tempo profondo e tempo storico. Le sue azioni (o la sua inerzia) incidono sui piani della sostenibilità e dello spaesamento individuale, generando ansia metafisica, che – argomenta Scolari – è un modo per dire che ci troviamo senza adeguati dispositivi di “normalizzazione” degli eventi del mondo. Nel frattempo il sistema capitalistico sciorina il mantra “il faut être absolument optimiste”, inducendo la comunità scientifica a ritenere predominante la resistenza al cambiamento rispetto a una prospettiva di cura e salvaguardia del pianeta. L’ottimismo (gli interessi che ne promuovono la narrazione) ha indubbiamente più carte da giocare sui tavoli della governance planetaria, ne è testimonianza il fatto che nel 2017 la mole degli investimenti su scala mondiale nelle energie fossili, a fronte di un calo di quelli nelle energie rinnovabili, è di nuovo aumentata (il dato riportato da Scolari si riferisce al report World Energy Investment 2018).

La climatologia fa i conti con la realtà (nous sommes au bord du désastre sans que nous puissions le situer dans l’avenir: il est plutôt toujours déjà passé scrive il filosofo Maurice Blanchot), mentre il sistema capitalistico può permettersi di utilizzare a proprio vantaggio l’ideologia, l’approssimazione di chi parla, a scanso di equivoci, di importanti sfide da affrontare, di ipotetiche contromosse in grado di far fronte al declino del pianeta. La posta in gioco è altissima, riguarda il mantenimento di pratiche economiche arbitrarie, di dinamiche che allontanano sempre più il cittadino da un ideale di socialità, di responsabilità condivisa. Scrive Scolari al termine del volume, nello scritto Clima e forme di vita: L’uso globalizzato del mondo è oggi prevalentemente consumo dello stesso; conseguentemente, quella che la macchina mondiale del mercato e i suoi paladini promuovono è la libertà di consumare e non già la libertà (umanistica) fondata sulla coscienza, l’immaginazione e l’indipendenza da ogni asserita verità teo- o ideologica.


Raffaele Scolari è autore di saggi sul paesaggio e sui mutamenti della realtà spaziale del presente. Da alcuni anni è impegnato nel volgere l’indagine filosofica sul tema del global warming. Con Mimesis ha pubblicato anche Catastrofi e cambiamenti climatici (2017).

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Disastro e sopravvivenza

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