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Anno naturale
Luca Baldoni

Passigli 2021, collana Passigli  poesia

 

 

 

 

 

Per gentile concessione di casa editrice e autori, vi proponiamo due poesie dalla raccolta e l’introduzione di Tommaso  Lisa.

APTENIA CORDIFOLIA I

Dunque mi sia concessa la lode, lo stupore
nel vederti tanto ridente dopo la prima
estate sul terrazzo, la scorsa primavera
solo un rametto gracile sul fusto, incerto
sulla diversa composizione del terriccio,
il clima, l’esposizione al sole e al ghiaccio,

ma giorno dopo giorno in vaso hai preso campo

e ora eccoti sbocciata, ovunque espansa,
spinta vitale così forte che ogni mattino
mi desta e mi sorprende, lo sguardo mi cattura;
di te voglio sapere, seguire il miracolo
di crescita e la rivoluzione stagionale,
nel mentre ti canto succulenta meraviglia

Aptenia cordifolia secondo il binomiale.

 

INTELLIGENZA DEGLI STORMI

Su bassa nuvolaglia volteggiano gli stormi,
contro grigie folate un folto di creature
miriadi pulsanti nel passo di stagione,

avvinto scorrimento il cui contorno vaga,
si allarga e poi condensa, eppure mai si spezza
mantiene una coerenza, la presa della forma
coi singoli concordi in armoniosa spinta;

progetti di ricerca, teoria dei molti occhi,
genetici algoritmi e modelli digitali
indagano stupiti il vostro stare insieme

dove arduo è capire, come tutto funzioni
così mirabilmente in assenza di un centro
che detti direzione, al posto di catene
la stigmergia si afferma, reazione singolare
che impronti al tuo vicino, a sua volta avvisato
dai moti di chi ha intorno, aggiusta il suo volere
e il brivido propaga, dialettica tensione
che in microaggiornamenti sé stessa riorganizza,
in ogni suo recesso s’illumina d’azione

è rete che raccoglie molteplice concordia
la vasta connessione di questa intelligenza
globale e ugualitaria, diffusa in ogni dove,

per l’uomo l’illusione: remota la sapienza.

 

Introduzione di Tommaso Lisa: La specola domestica

I testi racchiusi sotto al titolo Anno naturale sono stati scritti alcuni anni prima della pandemia di covid-19. Preannunciano, quasi profeticamente, l’atmosfera sospesa dei giorni di lockdown. La scrittura si muove in tempo astratto e armillare che rende il soggetto, libero dal brusio dell’incessante essere in relazione, più incline alla meditazione sulla realtà quotidiana. Le cose normalmente neglette, proprio perché a portata di mano, se viste sotto una differente luce si rivelano capaci di schiudere passaggi, aprire varchi verso altre dimensioni. Come nel caso delle semplici piante sul balcone, foriere, nel loro rapporto meteorologico e nel ciclico rincorrersi delle stagioni, di epifanie rivelatrici. A chi osserva la realtà con empatia appare chiara l’intima connessione di ciascuna parte con le leggi che regolano il cosmo.

Il poema filosofico è suddiviso in cinque sezioni. Quattro – quanti gli elementi e le stagioni – sono di nove componimenti ciascuna, più una, eccentrica, a far da fulcro della struttura, composta da cinque componimenti che sono hommages e riscritture che celebrano poeti filosofi dell’antichità ossia, in genealogica diacronia, Anassimandro, Eraclito, Democrito, Epicuro (da Lucrezio), Leonardo, Giordano Bruno. Il titolo inquadra l’opera in una prospettiva di philosophia naturalis in cui si descrive lo studio della realtà sia da un punto di vista empirico, talvolta dichiaratamente scientifico, sia da una posizione metafisica. Le poesie sono tutte, in modo omogeneo a sottolineare la continuità del dettato, composti in alessandrini, ossia doppi settenari, quasi sempre perfetti nella misura e raramente rimati. Ciò rafforza la trama omogenea della struttura di un’opera configurata in modo progettuale come un poema unitario, seppur frammentato dalla rapsodia delle osservazioni occasionali che lo compongono. Il doppio settenario mimetizza il ragionamento della prosa sotto le vesti di una poesia martellante come un rap, che sigilla la scansione del pensiero. Si tratta di osservazioni sparse, note rapsodiche per inquadrare il mondo in coordinate definite, all’interno del perimetro della pagina. Registrazioni di dati, appunti sul taccuino d’uno scienziato delle cose osservate sul balcone in un lasso di tempo che s’apre alla ricorsività ciclica più vasta.

Il testo d’apertura esplicita il contesto, rendiconta come un radar le vibrazioni celesti e i risultati dell’osservazione microscopica del dettaglio biologico, secondo una disposizione filosofica dell’individuo che si pone in ascolto. Senza ricorrere alla vertiginosa mise en abyme de La vue di Raymond Roussel, col quale v’è comunque consonanza, il libro trova il suo inquadramento, la messa a fuoco nell’ancoraggio evenemenziale della cornice del balcone casalingo. Ne deriva una scrittura chiara, minuziosa, non priva di spunti d’ironia alla maniera della Cosmogonia portatile di Queneau, un Lucrezio da camera, un Epicuro minimo.

La necessità di limitare lo sguardo ad una porzione di mondo rappresenta l’elemento strutturante formale atto a catalogare l’erbario d’occasioni, illuminazioni liriche e filosofiche per metterle in cornice appunto ed esaltarne i dettagli. Le succulente, come il Mesembryanthemum cordifolium, sono piante ornamentali nominate col binomiale della tassonomia linneana che ne identifica genere e specie, senza tuttavia indugiare eccessivamente nella descrizione botanica. Non è un esercizio di versificazione d’un manuale di piante da appartamento e neppure indulge su una calligrafia da illustratore: chi legge tali versi riscontra sempre vivo l’elemento esperienziale, di cura pratica e appassionata che il soggetto pone nella relazione con l’oggetto. Tratto che stempera l’algore della notazione di carattere prettamente scientifico.

Le osservazioni hanno il loro cominciamento d’autunno. Il ritmo del tempo, della luce della giornata e della temperatura, vengono pazientemente registrate. La poesia si mostra nel limite, sul margine del verso come del cornicione, colta nel tentativo di affacciarsi tramite questa “specola domestica”, sul limite del dicibile di un’esperienza di meditazione e rarefazione, popolata di piccole forme viventi. Capita così che il prefatore possa aiutare non solo il lettore a venir introdotto nel microcosmo del testo, ma anche l’autore a sciogliere dubbi e domande. Le “doppioalate marroni farfalline” senza nome sulle quali s’interroga Limiti sono il Cacyreus marshalli detto altrimenti “Licenide dei gerani” che proprio in tarda estate sfarfalla massivamente. Importato negli anni Novanta del secolo scorso dal Sud Africa in gerani giunti dalla Spagna, tale grazioso lepidottero dotato di mimetizzazione disruptiva sulla superficie alare inferiore e di una livrea bruna uniforme su quella superiore, contornata da un elegante bordatura bianco avorio, s’è poi diffuso in tutta l’Europa diventando, in particolar modo nelle città, presenza ricorsiva se non infestante.

Un tiepido crepuscolarismo autunnale temprato dalla consapevolezza siderale anima lo spirito epicureo e lucreziano. I contorni delle cose si fanno netti nei versi scritti passeggiando nei pochi metri quadri del tepidarium domestico, in un minimo orto botanico del quale si fa l’amorevole inventario. Le piante – come il botanico Stefano Mancuso spiega in alcuni dei suoi libri più noti, organismi senzienti muniti d’intelligenza e percezioni – sono i personaggi protagonisti del libro, ritratte da varie angolazioni, con diversi profili che ne rivelano il carattere. Come il “falso gelsomino” ossia Trachelospermum jasminoides in esilio dalle remote regioni dell’Oriente, il quale evoca, tramite la sua presenza ancestrale e non del tutto addomesticata, le foreste equatoriali in cui le foglie lussureggiavano e s’evolvevano sviluppandosi senza i limiti imposti dall’uomo.

La Tillansia, bromeliacea del Centro America alla quale è dedicata un’altra poesia, è invece una pianta aerea senza radici che si nutre captando l’umidità dell’aria – ossia una epifita – originaria dei fianchi rocciosi delle Ande. È lei l’ultima arrivata sul balcone. In testi come questo Baldoni indulge nel didascalismo in versi, come un poeta scientifico del Settecento alle prese con un mercato globale che mette a disposizione con stupefacente facilità specie alloctone, ricomposte in casa come frammenti provenienti da ogni parte del mondo. Senza aver bisogno d’imbarcarsi su di un’arca o una goletta, immobile nel quadrilatero del quartiere cittadino, la testimonianza d’ogni regione del globo pare essere a portata di mano.

Col trascorrere del tempo la luce si fa radente e l’autunno s’inoltra verso il freddo siderale dell’inverno. Ci si scalda allora con vino e castagne, olio, i frutti di stagione, che virano al rosso e all’arancio. Sopra il cielo terso brillano le stelle, il cosmo, la Grande Nube di Magellano, il Ciclo di Orione, Betelgeuse, Bellatrix, con la sua infinità vastità che pone in risalto ancor di più la finitudine e la limitatezza, sia spaziale che temporale, della specola dalla quale l’occhio dell’autore osserva il mondo. Come accade spesso nella tradizione scientifica e positivista in particolare, v’è posto anche poesia d’occasione, quella della scoperta di una stella binaria, annunciata nel 2015 da “The Astrophysical Journal”.

Un libro contemplativo, spopolato, solitario e lunare. Una finestra sul cortile aperta per osservare non dentro le case delle persone ma le molteplici dimensioni dell’universo. Il buio dell’inverno è allegoria della terra scura, infera, nella quale riposano rarefatti i semi (la semina di Plutone), il cui microcosmo che cresce nello scuro vaso alchemico sotto al buio e agli astri la notte. Gli espliciti i riferimenti ai Filosofi greci della natura delineano una galleria di cinque busti marmorei, a partire da Anassimandro, la cui concezione meccanica del mondo non scade nel riduzionismo meccanicistico, ma anche Eraclito, Democrito, Epicuro, fino a Leonardo da Vinci e Giordano Bruno. Una genealogia di maestri e di pensiero che giunge fino a Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro, opera di Carlo Rovelli – la prima edizione è del 2009 – che rappresenta un riferimento bibliografico significativo per la creazione del poemetto.

Lo sguardo s’apre verso l’orizzonte, grazie all’affaccio di un’altra finestra che invece che sui colli fiorentini s’allarga con un grandangolo verso le cime degli alberi del viale, gli Appennini e più a ovest le vette bianche delle Apuane che, in un empito d’ascesi, s’astraggono fino a diventare cime himalaiane in cui meditare come un monaco. Svuotarsi di sé e dei rapporti con gli altri per concentrarsi sull’astrazione. Con una fiducia nel pensiero, nell’esercizio della ragione come portatrice di luce. L’ascesi e la meditazione zen sono la disciplina spirituale che sta sotto l’aspetto del pensiero scientifico. Oltre ad una rinnovata fiducia nella razionalità – che non può che richiamare alla mente un testo edito prima ma in realtà composto in un periodo coevo, ossia Betelgeuse di Franco Buffoni (2020), è proprio grazie all’apporto del pensiero buddista che viene allontanato lo spettro del pessimismo e del nichilismo, deriva verso cui talvolta vira il riduzionismo materialista.

Le piante sul balcone potrebbero evocare un’affinità con la siepe leopardiana, tuttavia il poeta non ha necessità di fingere nel cuor suo gli spazi infiniti, ne è anzi consapevole in maniera razionale, illuministica. Archiviato il romanticismo, non sente il bisogno né di fingere né tanto meno di naufragare, quanto piuttosto d’attraversare in modo lucido l’esaltante e vivo alternarsi degli stati della materia e il moltiplicarsi dei piani percettivi.

L’“occhio-cannocchiale” che scruta sopra i tetti di tegole, nell’algore della notte invernale, in cerca di segnali, di suoni, come una parabola, rende il poeta simile a un astronomo chiuso nel suo osservatorio in attesa di un messaggio che venga da un altrove impensato, innominabile. La risposta arriva ben presto dal vaso a portata di mano poiché già a febbraio il tulipano mette il primo germoglio che spunta da sotto terra e rivela il ciclo dei mutamenti, il ritorno della vita dopo il freddo siderale dell’inverno. Quasi a farsi allegoria della vita che rinasce a prescindere dalla volontà umana, ecco che la terra trema e, simile ad un sonetto del Seicento manierista, il terremoto ricorda quanto le forze della natura siano incommensurabili, come il germoglio spunta da sotto terra, così con forza ugualmente grande, la terra può vibrare dalle fondamenta, ricordando al contempo la fragilità e la forza dell’esistenza.

Oltrepassata la metà del cammino della sua vita l’autore trova una poesia dell’immanenza, della ragione che illumina le cose, non venata dal triste disinganno, quanto dall’entusiasmo della scoperta. Dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo, ogni elemento è in divenire, una continua mutazione di combinazioni della tabella periodica sotto svariate forme. Ciò che il libro cerca nel verso è proprio l’equilibrio di spazi e di tempi, di grandezze, che si fa misura del dettato ed equilibrio interiore. Se il demone inquieto è per ciascuno il proprio modo di essere, il libro cerca di venirne a capo, scovando il filo conduttore che lega l’esserci in mezzo a tante cose nello scorrere dell’esistenza, trascorsa – nel caso dell’autore – come un Ulisse che vaghi per il mondo, fino a far ritorno alla sua Itaca.

Come sul ponte d’una goletta che circumnavighi il globo pur restando ferma in porto, l’io è esposto ai venti che sospingono la scrittura: venti dei Balcani, come il grecale, che preannuncia la primavera. C’è poesia anche nelle antenne televisive irte, simili a chiodi, e in piccioni e tortore: tutto fa parte del disegno ricomposto nel testo, in armonia di metro e di sillabe. Il mirto e il rosmarino s’aggiungono al già citato tulipano in procinto di sbocciare, arricchiscono il catalogo nello spazio concluso del vivaio, ricordando la Natura, non matrigna, ma quasi un archetipo perduto.

Ciò che muove il cielo e le altre stelle è lo stesso amore che si manifesta nella danza dei piccioni a primavera, descritta con l’occhio al contempo ingenuo e indagatore del signor Palomar di Calvino. Macrocosmo e microcosmo rispondono alle stesse regole di aggregazione della materia, desiderio, affinità elettiva. Con la primavera arriva anche il canto della cinciallegra, che preannuncia il successivo garrire delle rondini e dopo il letargo invernale le piante tornano a verzicare, ciclicamente. Anche il comune potos (Epipremum aureum), noto per le sue doti di resistenza e adattamento, viene visto con occhi rinnovati e a lui viene dedicata una poesia che ne tesse le lodi e le caratteristiche.

La natura è mossa da cause interne, non esterne: come nell’ilozoismo democriteo, è in sé divina, nella propria molteplicità, manifesta su molteplici livelli. A differenza della tradizione predominante nella poesia occidentale, quella del platonismo cristiano, Anno naturale resta aperto al campo delle possibilità e delle combinazioni, refrattario alla reductio ad unum, ad un principio unitario e autoritario.

I settenari, nella rete delle molteplici corrispondenze naturali, tracciano esili fili, mostrando che l’intelligenza è globale, diffusa in ogni dove, insita nella materia, come spiega Laura Tripaldi in Menti parallele (2020). Nel testo poetico si riverbera così la vibrazione del molteplice. Non mancano le zanzare, attive anche per Natale, e stormi di storni che disegnano figure composte ed equilibrate nel cielo. Gli esseri viventi si muovono, anche quando non sembra, sincronizzati gli uni con gli altri, in una danza molteplice, come i flussi di traffico, le termiti, con un disegno che emerge da un’intelligenza diffusa.

Le stringhe dei versi legano così le cose più disparate. Nel tessuto dei quadri stagionali le parti del libro si rispondono con un gioco d’echi, rifrazioni, relazioni intime. Gli estremi si tangono e a fine estate il ciclo ritorna, di poco sfalsato, sui propri passi. Giro dopo giro, in dosi microscopiche, millimetriche, esatte, cambiando in maniera impercettibile l’angolazione del punto di vista, ogni proteiforme nuvola nel cielo – anche grazie al confronto sui manuali – può essere classificata, descritta e interpretata come in un esercizio di divinazione che ne mostri la meraviglia.


Nato a Napoli nel 1973 e cresciuto a Firenze, Luca Baldoni si è formato soprattutto all’estero, tra Dublino, Londra, Berlino e l’amatissima Grecia. Instancabile viaggiatore, ha collaborato con l’associazione Trekking Italia ideando e conducendo viaggi a piedi in varie località greche e dell’Italia meridionale, e ha partecipato a un progetto di cooperazione per la riapertura dell’antica rete di sentieri di Itaca. Proprio a quest’isola tra mito e realtà ha dedicato il libro “Itaca. L’isola dalla schiena di drago” (2019). Come poeta, ha al suo attivo le raccolte “Sensi diversi” (2004, premio Camaiore Opera prima), “Territori d’Oltremare” (2008, premio Sandro Penna per l’inedito) e “Sale del ricordo” (2018, finalista al premio Marazza).


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Ph. credit:  Natural History of Carolina, Florida and the Bahama Islands, v2. app. Tab 8  Mark Catesby, 1743

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Due poesie da “Anno naturale” di Luca Baldoni

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